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Vecchio 27-09-2010, 17.59.21   #231
Guisgard
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Milady, prima di partire, il nostro nobile Ardea promise (immagino certo a qualche dama) che sarebbe ritornato con le sue gesta.
Ed un degno cavaliere mantiene sempre la parola data ad una nobile dama
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Vecchio 28-09-2010, 05.36.25   #232
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ARDEA DE' TADDEI

"Figlio di re, bisogna dunque che ci separiamo.
Ma prima voglio che sappiate, voi ch'io ho allevato,
che non sono vostra madre e che voi non siete mio figlio.
Il vostro lignaggio è tra i migliori del mondo e voi conoscerete
un giorno il nome dei vostri genitori."
(I Romanzi della Tavola Rotonda, Gli Amori di Lancillotto del Lago, Gli Adii)


Ardea restò qualche istante in silenzio.
Aveva il fiato rotto per la fatica e sentiva le braccia e la gambe doloranti.
Fissava la finestra dalla quale penetrava il vigore dei raggi solari.
Poi, dopo alcuni istanti, rivolse uno sguardo al suo avversario.
Questi lo fissava con una singolare espressione.
Un lieve e caldo sorriso era accennato sull’anziano volto di Memmone.
Le rughe che circondavano i suoi penetranti occhi chiari sembravano aver allentato quella morsa che rendeva l’espressione del vecchio uomo austera e severa.
Una luminosa serenità, mista a soddisfazione, illuminava il suo sguardo.
Il vigore di Ardea sembrava aver destato quell’uomo dal suo essere costantemente crucciato e schivo.
“Credo che per la fatica” cominciò a dire Ardea, mentre aiutava il suo avversario a rialzarsi “ci siamo guadagnati un’abbondante colazione. Non credete anche voi?”
“Il fragrante e caldo sapore di una dolce focaccia” rispose divertito Mammone “sarà la giusta ricompensa al nostro sudore!”
I due così mangiarono con gusto il meritato pasto, per poi uscire a camminare nel bosco.
Per un po’ si abbandonarono ai suoni, ai colori ed ai profumi del bosco senza scambiarsi alcuna parola.
Poi, come ridestatosi dai suoi pensieri, Ardea esordì:
“Prima parlavate delle mie Questioni come se le conosceste molto bene.”
Mammone non rispose nulla e continuò a d assaporare il caldo tepore del bosco.
“Chi siete in realtà?” Chiese ancora Ardea.
“La vita, ragazzo mio, altro non è che una serie di incontri.” Rispose Mammone palesando una profonda serenità. “Vi ho trovato in quel bosco come avrebbe potuto trovarvi chiunque altro fosse passato, quel giorno, da quelle parti.”
“Vivete qui da tempo” chiese Ardea “e non avete mai incontrato quel violento cavaliere?”
“Ho imparato a stare alla larga dalla cieca furia degli uomini.”
“Govarola quindi non vi ha mai incontrato?” Chiese Ardea.
“Il bosco è grande, molto più di quanto voi possiate immaginare.” Rispose Memmone. “In esso si cela il naturale ed il soprannaturale. Il finito e l’infinito. Proprio come nell’animo umano.”
“Io in verità non comprendo...” cominciò a dire Ardea.
“Voi avete ben altro da cercare e trovare, ragazzo mio.” Lo interruppe Memmone. “E stare qui a domandarvi di un povero vecchio non fa altro che ritardare il vostro viaggio.”
“Sembrate conoscere bene il mio viaggio.” Disse Ardea.
“In fondo...” rispose Memmone “... ogni uomo compie il medesimo viaggio. Un viaggio diretto verso un’unica meta...”
“Quale meta?” Chiese Ardea.
“La ricerca di noi stessi.” Rispose Memmone.
“Il mio viaggio invece è volto solo a cancellare le mie colpe.” Disse Ardea. “Ma dubito che questo sia possibile.”
“Ogni uomo pecca.” Rispose Memmone “Tanto il giusto, quanto lo stolto. E’ nella natura umana.”
“Credo che la felicità, per queste mie colpe, mi sarà sempre negata.” Disse amaramente Ardea.
“La felicità è lo scopo di ogni uomo.” Sentenziò Memmone. “Amare ed essere amati. Questa è la vera felicità.”
“Non ho più nessuno che possa amare e dal quale pretendere di essere amato.”
“Allora” rispose secco Memmone “siete già morto, amico mio.”
Ardea lo fissò.
“E voi quindi?” Rispose di getto. “Solo in questo bosco, siete anche voi come morto?”
“Ogni uomo ha la sua storia.” Rispose Memmone.
“E qual è la vostra?” Chiese Ardea.
“Ebbi un figlio, molto tempo fa.” Rispose Memmone. “Tanto di quel tempo che fa, che spesso mi domando se sia davvero mai esistito quel dolce figlio.”
“E dov’è ora?”
“Partì per un lungo viaggio.”
“Dove?” Chiese Ardea. “In Terrasanta?”
“Forse.” Rispose Memmone.
Poi aggiunse:
“In fondo ogni viaggio è simile a tutti gli altri viaggi. La destinazione è inutile.”
“Inutile?” Ripeté stupito Ardea.
“Si, amico mio.” Rispose Memmone. “Non conta cosa troveremo alla fine del viaggio. Ma ciò che saremo diventati noi nell’arrivarci.”
Giunsero allora presso un piccolo ruscello, che scorreva limpido dai colli vicini.
L’acqua era trasparente e limpida ed attraverso di essa si potevano scorgere i ciottoli consumati sul fondo del ruscello.
Ardea mise entrambe le mani in quelle chiare, fresche e rigeneranti acque.
Si lavò il viso e respirò forte.
“Torniamo alla capanna, amico mio.” Disse Memmone. “Dovete prepararvi per riprendere il viaggio.”
E per un’infinitesimale istante, Ardea avvertì una profonda inquietudine.
Quel bosco appariva come un luogo idilliaco, dove il giovane cavaliere aveva ritrovato una serenità smarrita da tempo.
Ma quelle parole di Memmone ridestarono Ardea, come a volerlo strappare da un sogno per mostrargli la cruda realtà.
E la realtà era scandita dalle altre Questioni che erano rimaste.
Ed attorno ad esse ruotavano il destino e la salvezza di Ardea.


(Continua...)
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Vecchio 29-09-2010, 03.50.55   #233
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ARDEA DE' TADDEI

"Amleto: Ahimé, povero spirito.
Spettro: Non compassionarmi, ma sta ben attento a ciò che ti svelerò.
Amleto: Parla. E' mio obbligo ascoltarti."
(William Shakespeare, Amleto, I, V)


I due percorsero la via a ritroso e si ritrovarono di nuovo fuori alla capanna di Memmone.
Quel cammino di ritorno, nonostante i due avessero affrontato la stessa via dell’andata, apparve diverso ad Ardea.
Il sentiero pareva aver un’inclinazione diversa e gli alberi gli erano apparsi difformi da quelli visti mentre andavano verso il ruscello.
Insomma Ardea avrebbe giurato che la via fatta del ritorno dal ruscello fosse diversa da quella sostenuta per arrivarci.
“Abbiamo preso un cammino diverso?” Chiese Ardea ad Memmone. “Nel giungere al ruscello abbiamo attraversato un’altra parte del bosco.”
Memmone lo fissò per qualche istante e poi rispose:
“La realtà spesso ci appare diversa da quella che è. Non fatevi ingannare, abbiamo percorso lo stesso cammino, sia all’andata che al ritorno.”
“Ma come è possibile?” Si domandò stupito Ardea voltandosi indietro sulla via appena percorsa.
“La realtà è sempre la stessa...” disse Memmone “...siamo noi che la osserviamo con occhi diversi.”
“Come è possibile?” Domandò ancora Ardea. “Eppure avrei giurato...”
“Non giurate, amico mio!” Lo interruppe Memmone. “Non fatelo mai! Ogni giuramento richiede un pegno. E qualcuno potrebbe un giorno domandarvi tale pegno.”
“Eppure sono sicuro che nel tornare qui abbiamo attraversato un punto diverso del bosco.”
“Vi confondete.” Rispose Memmone. “Al ritorno avevate uno stato d’animo diverso. Ecco perché la via vi è apparsa differente.”
Ardea lo fissò confuso.
“Ora entriamo, così che possiate prepararvi per ripartire.” Concluse Memmone.
Rientrati nella capanna, Memmone offrì al suo ospite un delizioso amaro fatto di particolarissime erbe.
Era di un colore molto strano, mai visto prima da Ardea.
Poi, finitolo di gustare, il cavaliere cominciò a preparare le sue cose.
Indossò la sua corazza e per ultima legò al cinturone la fedele Parusia.
Memmone, durante i preparativi del cavaliere, restò tutto il tempo accanto al camino acceso.
Poi, quando Ardea fu pronto, gli mostrò qualcosa di particolare.
“Guardate bene queste frecce.” Disse mostrandogli una faretra colma di lucidissimi ed aguzzi dardi cromati. “Sono in grado di colpire bersagli impensabili anche per il più abile arciere. Purché, ovviamente, chi le scagli sia all’altezza della loro efficacia.”
“Da dove provengono queste fecce?” Chiese Ardea.
“Le ho preparate io stesso per voi.” Rispose Memmone, mentre le mostrava al suo ospite. “Le ho forgiate fondendo le armi del cavaliere che voi stesso avete sconfitto in singolar tenzone.”
“Govarola?” Domando incredulo Ardea. “Queste frecce sono nate dunque dalle armi di quel violento cavaliere?”
Memmone annuì, mentre quei fieri dardi emanavano argentei riflessi al contatto con la luce del fuoco.
“Le armi di Govarola” aggiunse Ardea “sono maledette dal sangue di tutti coloro che egli uccise!”
“Sciocchezze!” Esclamò Memmone. “Le armi non hanno né volontà, né giustizia. E’ la mano di chi le impugna a sottostare al giudizio del Sommo Giudice.”
Ardea lo fissò turbato.
“Rifiutereste forse” continuò Memmone “la lancia di Lucifero che egli adoperò quando era ancora il duce delle Milizie Celesti? Sarebbe sciocco da parte vostra! Siete un cavaliere, non un filosofo.”
Ardea lo fissava senza rispondere nulla.
“Le armi non hanno colpa.” Continuò il vecchio uomo. “Esse servono solo a chi le utilizza. Prendete queste frecce e conservatele con cura.” Concluse Memmone, porgendo ad Ardea la faretra.
“Credete che potrebbero essermi utili queste frecce?” Chiese Ardea.
“Fu una freccia” rispose con un sorriso Memmone “ad abbattere Achille, il più forte guerriero mai nato.”
Ardea non chiese altro e prese con sé quelle armi.
“Come farò a tornare a Casorre?” Chiese a Memmone. “Probabilmente il mio scudiero è là a domandarsi se io sia vivo o morto.”
“Seguite il sentiero e non abbandonatelo mai.” Rispose Memmone. “Alla fine troverete la porta di Casorre.”
Poi accompagnò il suo ospite ad una piccola stalla che si trovava sul retro della capanna, dove si trovava il fiero Arante.
Ardea lo accarezzò per qualche istante.
Poi vi montò su e prese la direzione del sentiero.
Ma fatti pochi passi si voltò indietro verso il suo salvatore.
“Ci incontreremo ancora?” Chiese.
“E chi può dirlo!” Esclamò Memmone.
“Già...” disse Ardea “...siamo alla mercè del caso.”
“Io non credo al caso...” rispose Memmone “...ma alla volontà di Dio ed al Libero Arbitro che Egli dona agli uomini.”
“Addio e grazie di tutto.” Disse Ardea. “Non vi dimenticherò.”
“Né io” rispose Memmone “dimenticherò voi, cavaliere.”
In quel preciso istante, dopo aver detto quelle parole, Ardea ebbe la sensazione di cogliere una strana ed intensa luce negli occhi di quel misterioso uomo.
Ma fu solo per un breve ed infinitesimale istante.
Allora, Ardea si incamminò sul sentiero, per essere inghiottito poco dopo dal folto e verde bosco.


(Continua)
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Vecchio 30-09-2010, 04.12.33   #234
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ARDEA DE' TADDEI

"Non lodarti del tuo valore, poichè troveresti
un giusto gioco per la tua superbia.
Non vantarti per le tue imprese, perchè le hai
conseguite solo per un antico diritto.
Sii dunque umile e sarai cavaliere."
(Antica canzone)


Il cavaliere seguì le indicazioni dategli da Memmone e non deviò mai il suo cammino.
Percorse il lungo sentiero, che sembrava scorrere in seno al bosco come fosse una arteria della sua linfa vitale, fino a quando avvistò da lontano le mura di Casorre.
Il bosco allora sembrò finalmente allentare il suo lussureggiante abbraccio e si aprì su una vasta e verdeggiante campagna.
Al centro di questa, come detto, sorgeva la vasta contrada di Casorre.
Ardea nel vederla si abbandonò ad un sospiro di liberazione, ma non poté evitare di voltarsi indietro verso il bosco, interrogandosi ancora sugli arcani fatti che aveva vissuto.
Poi, spronando l’agile Arante, galoppò rapido e deciso fino alla contrada.
Appena vi fu giunto, una folla di curiosi gli si fece innanzi.
Lo guardavano con stupore misto ad ammirazione.
Si chiedevano sull’identità di quel misterioso cavaliere e da dove fosse mai giunto.
Ad un tratto gli si avvicinò un anziano e cortese uomo.
Era vestito con gusto, anche se i suoi abiti non tradivano un eccessivo sfarzo.
Il portamento era aggraziato e gentile ed i suoi modi palesavano il rango senza dubbio di alto lignaggio.
“Vi porgiamo il nostro benvenuto a Casorre, cavaliere.” Esordì. “Questa contrada è sotto il dominio di Dio e della protezione di sua signoria il duca d’Altavilla. Ed io ne sono il potestà.”
Ardea rispose chinando cortesemente il capo.
“Gli stranieri sono sempre benvenuti in questa terra” continuò a dire l’anziano uomo “e quindi ciò che è nostro è anche vostro, milord. Ma permettetemi di domandarvi in che modo siete riuscito a giungere in questa nostra isolata contrada.”
“Attraverso il bosco.” Rispose Ardea.
“Impossibile!” Esclamò il potestà. “La via che conduce qui attraverso il folto bosco è sotto il dominio di un feroce quanto invincibile cavaliere! Egli tiene in scacco Casorre, impedendo a chiunque di entrare ed uscire senza aver prima combattuto contro di lui!”
“Parlate di certo del cavaliere conosciuto come Govarola.” Disse Ardea.
Tra tutti i presenti sorse un confuso ed intenso mormorio.
“Infatti!” Rispose il podestà. “Come fate a conoscerlo?”
“Lo conosco perché l’ho veduto, eccellenza.”
“Impossibile!” Esclamò il podestà. “Nessuno può incontrarlo senza doverlo poi affrontare!”
“Ed infatti” disse Ardea “io l’ho sfidato.”
Il mormorio allora diventò un insieme di voci irregolari e stupite per le parole di quel cavaliere.
“Govarola è un demonio!” Disse il podestà. “Nessuno è mai riuscito a batterlo in singolar tenzone!”
“Govarola non era un demonio” ribatté Ardea “più di quanto non sia stato un cavaliere. Egli era un brigante, un vile, tanto sgradevole nell’aspetto quanto poteva esserlo nell’animo. Ma in fondo era solo un uomo. E come tutti gli uomini era di mortale natura.”
“Dite quindi, milord, che l’avete sconfitto?” Chiese il podestà.
“Mandate alcuni uomini all’inizio del territorio di Casorre, dove il marrano amava sfidare i suoi avversari. Lì troverete la prova di ciò che dico.”
“Non c’è bisogno, milord.” Disse il podestà. “Trovammo già il corpo di quel furfante, anche se non sapevamo chi l’avesse sconfitto. Molti potevano vantarsi di tale impresa. Perdonate le mie domande, ma erano dettate dalla volontà di sapere se voi foste davvero colui che uccise il malvagio Govarola.”
“Dunque trovaste il suo corpo senza vita nel bosco?” Chiese Ardea.
“Si, milord.” Rispose il podestà. “E morto quel marrano, i suoi servi si diedero alla fuga.”
“E non giunse qui uno scudiero?” Chiese Ardea.
“Si” rispose una voce alle sue spalle “e ho atteso qui il tuo ritorno, senza perdere mai la speranza di rivederti vivo!”
Ardea si voltò di scatto e riconobbe il fedele Biago.
I due allora si abbracciarono e si salutarono.
“Passarono delle ore e tu non ritornasti dalla selva.” Cominciò a raccontare Biago. “Allora cercai di raggiungerti. Trovai il corpo di Govarola sena vita, ma di te nemmeno l’ombra. Giunsi allora qui a cercare aiuto. Raccontai tutto, di te e della missione in nome del duca. Sentivo che eri vivo e decisi di attendere qui il tuo ritorno.”
“Grazie, amico mio.” Disse Ardea.
Tutta Casorre allora fece festa.
Una festa attesa da anni e che ora poteva cominciare, poiché l’ospite d’onore, il cavaliere che l’aveva liberata da quel crudele giogo, era finalmente giunto.
La festa durò fino all’alba e dopo un breve riposo, Ardea e Biago, ripresero il loro cammino.
Non prima però di incaricare il podestà di suddividere le ricchezze di Govarola ed inviare alle Cinque Vie il tributo destinato al duca.
Tutti lodarono la nobiltà e la lealtà di quel cavaliere, ringraziando il Cielo per averlo inviato a liberarli.
Ed il suo ricordo fu sempre vivo in quella contrada.


(Continua...)
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Vecchio 30-09-2010, 15.40.45   #235
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Più leggo più la mia stima per Ardea cresce..ah che uomo (sospiro)...sempre dedito ai più alti valori della cavalleria..non si riposa un attimo...ha tutta la mia ammirazione...per quello che può valere
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Vecchio 06-10-2010, 20.27.14   #236
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Eh... la quiete dopo la tempesta... e ora cosa accadrà?
Attendo trepidante...
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"Essere profondamente amati ci rende forti.
Amare profondamente ci rende coraggiosi."

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Vecchio 11-10-2010, 03.03.18   #237
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ARDEA DE' TADDEI

"Accanto alla fonte si vedevano le rovine di
una cappelletta con il tetto in parte diroccato."
(Walter Scott, Ivanhoe, XVI)


QUINTA QUESTIONE: MADDOLA, L'ENIGMA DELLA VAMMANA



La contrada di Maddola sorgeva nella zona Settentrionale del feudo delle Cinque Vie.
Posta tra i grandi monti che racchiudevano il passaggio verso l’interno, questa contrada era adagiata in una grande e fertile vallata.
Ed i monti, che apparivano come giganti addormentati a guardia di quel mondo, erano legati fra loro dai resti di un grandioso e colossale acquedotto romano, che attraversava la vallata con un’impotenza tale da rendere nulli i secoli che erano passati dalla sua fondazione.
Come una fiera ed indomita immagine della forza dell’uomo ad ammansire la natura, questa ciclopica costruzione, con le sue ampie ed alte arcate, dominava quelle terre come se la grandezza di Roma fosse ancora là ad intimorire possibili conquistatori.
Durante le stagioni calde, Maddola appariva luminosa e splendente, come un inno alla natura con i suoi colori, i suoi profumi e tutti i suoi suoni.
Un tripudio delle tonalità più fresche che la natura sa assumere attraversavano quel ridente territorio ed il Sole lo baciava con tanta foga ed ardore da apparire come il più appassionato tra gli innamorati.
Ed infatti solo un amore così bello, tra tutti gli elementi che compongono il mondo, poteva spiegare la meravigliosa immagine che Maddola dava di se tra la fresca e sognante Primavera e la calda e luminosa Estate.
L’Inverno invece mutava di getto questa solare ed accogliente immagine, dando a Maddola un volto totalmente diverso durante il suo passaggio.
Anticipato dal piovoso e ventoso Autunno, il freddo Generale, al suo arrivo, portava con sé un manto di foschie ed umidità.
L’intera valle veniva circondata da una pesante e spessa foschia, capace quasi di estraniare Maddola dal resto del mondo.
E l’unica cosa capace di squartare quel velo era il rigido gelo, che durante i mesi più freddi dell’anno raggiungeva ed avvolgeva l’intera contrada.
E fu proprio nel pieno Inverno che Ardea e Biago giunsero alle soglie del territorio di Maddola.
E lo scenario che si mostrò ai loro occhi parve ai due viaggiatori come il preludio di ciò che avrebbero dovuto affrontare.
La grande via, che sorgeva quasi a fatica tra la selvaggia e folta vegetazione del bosco, era tanto angusta quanto sconosciuta ai due viandanti.
Il cielo era grigio e scuro, solo a tratti lacerato da macchie di luce, come se il Sole a stento tentasse di affacciarsi sull’umida terra.
L’aria era pesante ed un freddo vento soffiava in quell’inospitale scenario.
“Questa valle sembra volerci ricacciare indietro” disse Biago con il volto contratto dal tagliente vento “o è solo una mia impressione?”
“No, non ti inganni.” Rispose Ardea, scrutando con attenzione quel luogo. “La natura appare inospitale ed anche il vento sembra condurre con sé lamenti e minacce.”
“Qui l’Inverno” disse Biago “comincia a mostrare i muscoli. Rimpiango il caldo ed accogliente ozio della corte afragolignonese.”
“Anche io rimpiango il mio mondo e la mia vita...” rispose Ardea con tono sarcastico “...ma dimentichi che non siamo giunti fin qui per un viaggio di piacere!”
Biago sorrise ironicamente.
“Riprendiamo il cammino” aggiunse Ardea “prima che la notte ci colga ancora in questa bosco.”
“Dubito che la notte possa essere più buia di questo posto!” Rispose Biago con un tono tra la beffa ed il dramma.
Così, i due ripresero il loro cammino, fino a quando, ormai prossimi al crepuscolo, avvistarono da lontano la valle di Maddola.
Era circondata da un’alta ed inquietante nebbia, dalla quale emergevano, quasi a fatica, le arcate più alte dell’antico acquedotto romano.
“Se per tutto il giorno la nebbia ha dominato questo posto” cominciò a dire Biago “non oso immaginare come sarà la notte da questa parti!”
“La valle è ancora troppo lontana” disse Ardea “e continuare sarebbe da sciocchi. Ormai è quasi notte.”
“Cos’è quell’immensa costruzione che appare tra la nebbia in lontananza?” Chiese Biago indicando l’acquedotto.
“E’ un antico e maestoso acquedotto di età romana.” Rispose Ardea. “Era capace di rifornire d’acqua diverse città che sorgevano a nord di Afragolignone.”
“Accidenti!” Esclamò Biago. “Ed è ancora in piedi dopo tutto questo tempo?”
Ardea sorrise.
“Già e faremmo meglio a cercare un riparo per stanotte, visto che non possiamo vantare la stessa resistenza di quella poderosa struttura.” Disse il cavaliere.
Proseguirono ancora fino a quando avvistarono una piccola luce in lontananza.
La raggiunsero e scoprirono che proveniva da una vecchia chiesetta abbandonata.
La facciata era semplice e consumata ed una vecchia campana si affacciava ad accogliere qualche sperduto visitatore.
Una grande croce di ferro battuto dominava la sommità del sacro edificio ed una pesante porta di legno di quercia, rinforzata da spesse barre di ferro, sbarrava l’ingresso a chiunque volesse profanare quel luogo di preghiera.
E spinti dall’oscurità ormai dominante e dal freddo vento che aveva cominciato a soffiare con ancora più vigore, i due decisero di bussare a quella porta, sperando che oltre ai simboli della Fede anche le carità Cristiane abitassero quell’austero edificio.


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Appena ho letto mi è venuto da esclamare "non bussate a quella porta!"...sono curiosa chi troveranno i nostri due amici?
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sublime la descrizione del paesaggio, sir...
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"In un luogo lontano, lontano dalla vista di tutti,
crebbe dalla giovinezza alla vecchiaia un venerabile
eremita. Il muschio era il suo letto, la caverna la sua
umile cella, i frutti erano il suo cibo, la fonte cristallina
la sua bevanda. Lontano dagli uomini, trascorreva con
Dio i suoi giorni: pregarlo era il suo dovere, lodarlo il suo
piacere."
(Parnell, L'eremita)


Ardea smontò allora dal suo Arante e si diresse verso quella massiccia ed austera porta.
“Fa attenzione!” Gli gridò Biago. “Questo luogo sembra lamentevole ed ostile!”
“Questa è una chiesa” rispose Ardea non curandosi più di tanto delle premure del suo scudiero “e non ci negherà un riparo!”
E quando fu davanti alla porta, si accorse di un curioso oggetto che pendeva inchiodato ad essa.
“Cosa guardi?” Chiese Biago, incuriosito dall’esitazione mostrata dal suo compagno.
“Questa strana cosa...” rispose Ardea toccando quell’insolito oggetto “... sembra un fascio di capelli... anzi, sembra crine di cavallo...”
“Già.. sembrerebbero...” disse Biago fissando l’oggetto con attenzione e curiosità.
Ardea bussò allora con vigore su quella porta, mentre il sibilo del vento si faceva sempre più sinistro ed inquietante.
Nessuno rispose da quella porta ed Ardea bussò di nuovo, con ancora più forza.
Ad un tratto si udì abbagliare con forza un cane.
“Sembra provenire da dietro la porta...” disse Biago.
Ardea bussò ancora, quasi a far scricchiolare quella porta.
L’abbagliare di quel cane si fece più disperato e rabbioso, come a voler scoraggiare ed intimorire i nuovi arrivati.
“Anche se buttassi giù quella porta” disse Biago impressionato dal vigore che mostrava quel cane nell’abbagliare “quella belva ci farebbe a brandelli prima di oltrepassarne la soglia.”
Ma Ardea incurante del prudente parere di Biago bussò di nuovo, con ancora più decisione.
Ad un tratto, sovrapponendosi ai versi ed ai ringhi di quel cane, una voce si udì da dietro la porta.
“Chi bussa a quest’ora?” Disse. “Questo è un luogo sacro e disturbate le mie orazioni!”
“Degno padre...” rispose Ardea “...siamo viandanti colti dal sopraggiungere della notte. Abbiamo fame e freddo. In nome di San Raffaele protettore dei viaggiatori vi chiediamo un riparo per la notte.”
“Non sapete che è peccato” disse infastidita quella voce “interrompere le orazioni di un monaco? Il giorno volge alla fine ed io non sono dispensato dai miei obblighi. Ripartite e non indugiate oltre ad infastidirmi. Io pregherò per voi.”
“Non vi recheremo noie e fastidi, statene certo.” Si giustificò Ardea. “Né abbiamo intenzione di interrompere le vostre sante mansioni. Ma non possiamo proseguire oltre poiché la notte è ormai calata e la strada ci è sconosciuta. Siate un buon samaritano ed accoglieteci nel vostro eremo per stanotte!”
“Buon fratello...” disse la voce dalla porta “...tornate da dove siete venuto e vedrete che non vi accadrà nulla. Ora lasciatemi perdere che ormai solo a stento riesco a frenare il mio cane. Esso non è un buon cristiano e non conosce la pietà per i suoi simili. Figuriamoci per gli sconosciuti! Ora, ascoltatemi, allontanatevi e le mie orazioni saranno per voi in questa notte.”
“Forse è meglio proseguire oltre...” consigliò timidamente Biago, intimorito com’era dalle parole udite da quella porta.
“Un cane è degno se tale è il suo padrone!” Eslamò irritato Ardea. “Esso non ha la coscienza cristiana e la vostra vi si ritorcerà contro se ora ci lasciate al freddo ed all’oscurità della notte!”
“Ingenuo figlio...” rispose fingendosi calma quella voce “...non fui io a chiamarvi qui. Queste vie non si attraversano nelle notti invernali! Il detto recita aiutati che Dio ti aiuta! Non fu perciò per suo volere, né per il consiglio di San Raffaele, che giungeste in queste lande! Non coinvolgetemi quindi nella vostra avventatezza e partite da casa mia!”
“Se vi è una croce” tuonò Ardea “allora questa è la casa del Signore! Egli aprì le porte a tutti e voi farete altrettanto o, su quanto ho di più sacro, spezzerò questo legno con il vigore della mia spada!”
“Briganti, non temete neppure la casa del Signore?” Gridò quella voce, liberando finalmente la sua insofferenza. “Se volete aprirò questa porta, ma solo per aizzarvi contro il mio cane!”
“Come me ed il mio scudiero anche la mia spada è a digiuno... il vostro cane capita a proposito!” Rispose Ardea ormai travolto dalla rabbia.
“Andate via, figlioli, vi supplico...” quasi supplicò quella voce “... le provviste che possiedo potrei dividerle solo con il mio cane, tanto sono indegne e sgradevoli, quanto al giaciglio è costruito per fare penitenza, non per riposare uno stanco corpo. Datemi ascolto e ritornate da dove siete giunti.”
“Cosa temete?” Chiese Ardea. “Che siamo furfanti e ladri? Credete che si possa solo pensare di attentare ad un santo luogo senza subire il giusto castigo dal Cielo?”
“Vedo che siete buoni cristiani... vi supplico quindi di proseguire oltre...”
“Ed il vostro saio non fa anche di voi un degno cristiano?” Chiese Ardea. “Aprite questa porta ed accoglieteci come insegna il Santo Vangelo.”
“Andate via!” Intimò allora quasi disperata quella voce. “Non capite... non sapete… ed io non voglio il vostro sangue sulla coscienza!”
Ardea e Biago, a quelle misteriose ed inquietanti parole, si scambiarono un rapido sguardo.
“La morte ci è da sempre alle calcagna, in questo nostro viaggio.” Rispose Ardea. “Qualsiasi cosa potrebbe accaderci non sarà mai riversata su di voi… dateci un giaciglio per questa notte ed all’alba, vi giuro sul mio onore, ripartiremo per sempre dal vostro eremo.”
Per alcuni istanti non si udì più nulla provenire da quella porta.
Neanche la rabbia del cane.
Poi, ad un tratto, si sentì scorrere una pesante catena e l’aprirsi di diversi lucchetti.
Un attimo dopo quella porta finalmente si aprì, mostrando il suo interno ai due viaggiatori.


(Continua...)
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