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Vecchio 13-08-2009, 22.22.51   #11
Morris
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Morris è un gioiello nella rocciaMorris è un gioiello nella rocciaMorris è un gioiello nella rocciaMorris è un gioiello nella roccia
Scrivete molto bene, lady Mordred...i miei complimenti più sinceri.
Vi esprimete molto bene..e riuscite a far emergere i vostri sentimenti..senza che ve ne accorgiate!


Sir Morris
__________________
[I][B][COLOR=red]Sir Morris[/COLOR][/B][/I]
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Vecchio 14-08-2009, 15.58.04   #12
Guisgard
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Damigella, apprezzo molto il vostro modo di narrare.
Il racconto è gradevole, scorre fluido ed è un piacere leggervi.
Mi colpisce anche il modo con cui riuscite a descrivere le atmosfere e le ambietazoni tanto care a chi è cresciuto e ha sognato con le leggende ed i miti arturiani.
I miei complimenti
__________________
AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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Vecchio 16-08-2009, 10.23.42   #13
Mordred Inlè
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
Vi ringrazio davvero ç*ç le vostre opinioni sono molto importanti per me.

(Capitolo 5 di 6)
05. Artù - parte seconda

"L'ho incontrato. Ti somiglia molto e so che ci sono delle voci... sul fatto che lui sia tuo figlio."
L'arrivo di Morgause era stato una gioia per Artù ma una gioia da non fraintendere. Era la felicità di chi trova qualcuno con cui condividere una colpa ed il peso di un peccato.
"E' un bravo ragazzo. Diverrà un grande cavaliere."
"Fallo diventare un grande cavaliere così potrà ucciderti meglio," sibilò Morgause. Sembrava completamente certa della colpevolezza di Mordred anche se nulla era ancora stato fatto. Sembrava completamente sicura della giustizia di quel gesto compiuto molti anni fa: annegare un bambino.
"E' mio-"
"Figlio? No. E' uno scherzo degli dei per distruggere il tuo regno. Nimue l'ha visto. Sono gli dei di Viviane che tentano di vendicarsi sul tuo sangue e quello di Uther."
Artù scosse il capo. Si era ripromesso di non credere più ad alcuna profezia. Aveva mandato Sagramor a morire, ignorando le suppliche di Mordred, pur di non credere a nessuna profezia.
Un altro motivo per odiarmi, pensò amaramente il sovrano, al quale non sfuggivano le occhiate di rabbia che il figlio sapeva lanciargli.
"Guardati," sussurrò Morgause ed Artù si stupì nel notare i suoi occhi colmi di lacrime. Era la prima volta che la vedeva piangere ed in quel momento si accorse di aver sempre creduto che lei non ne fosse capace.
"Guardati," continuò la donna, "Mordred ti sta uccidendo. Sei dimagrito, lo vedo, sei tormentato, da quando lui è qui. Non devi addossarti le colpe di tuo sangue. Gli dei non possono vendicarsi su di te di qualcosa fatto da tuo padre."
"Ma noi abbiamo fatto pagare a nostro figlio qualcosa che abbiamo compiuto."
Morgause lo abbracciò e gli accarezzò i capelli. Era invecchiata molto dall'ultima volta che l'aveva vista. Ora il suo viso sembrava più quello di una madre stanca ed affettuosa di quanto non lo fosse mai stato.
"Ed allora mandalo via da Camelot. Non c'è ragione per dar modo alla profezia di compiersi e più lui è vicino a te più le possibilità aumentano."
Artù la staccò da sé, sconvolto. "Credi davvero che sarebbe mai capace di uccidermi?"
"Tu non lo vedi come lo vedo io. Non è solo tuo figlio ma anche il mio." Era la cosa più vicina ad un'autocritica che la donna avesse mai fatto. E non avrebbe approfondito, Artù lo sapeva.
"Non posso esiliarlo."
"Perché non vuoi."
Artù non riuscì a negare. Non vedeva ragione per cacciare il figlio che non aveva colpe.
"Allora mandalo in guerra. Mandi tutti i tuoi cavalieri in guerra ma non lui."
"Temo per la sua vita."
"No," replicò Morgause, decisa e sapiente, "temi in ciò che potresti sperare. Quando lui sarà in battaglia potresti persino sperare di vederlo tornare morto."
Il re singhiozzò ma nessuna lacrima cadde dai suoi occhi. "Non è ciò che voglio!"
"Ma ciò che speri! Lascia che sia io a fare tutto."
La voce di Morgause era così dolce e rassicurante, così familiare e materna. Artù non poté non acconsentire, o questo fu ciò che si disse.
Così, qualche giorno dopo, affidò a Mordred un piccolo esercito e lo mandò sulle coste ovest, contro i predoni Irlandesi che razziavano i poveri villaggi indifesi di pescatori. Mordred non protestò e non replicò ma semplicemente partì. I cavalieri di Camelot tirarono un sospiro di sollievo nel vedere che il re sembrava aver smesso di avere quel trattamento di favore verso il nuovo arrivato.
Artù dovette ammettere che una parte di lui riuscì quasi ad essere felice, con l'assenza del figlio. Non doveva più temere di essere messo davanti ai suoi incubi più temibili.
Ginevra invece diventava sempre più scostante, ogni giorno che passava, e delle voci fastidiose iniziarono a vagare nella idilliaca terra di Camelot.
Ho sentito che la Regina ha un nuovo campione che combatte per lei ad ogni torneo
Non è più sir Bors?
Oh no, è sir Lancillotto del Benoic. Il figlio del re Ban. Dovreste vederlo, è l'uomo più bello che sia mai giunto in Britannia.
Se fossi nel re sarei davvero geloso. Sembra che la Regina ed il suo campione trascorrano molto tempo assieme.
Qualche servo giurò persino di averli visti passeggiare una sera nei giardini del castello.
Ginevra non sembrava per nulla turbata da queste voci anzi, quando le capitava di sentirne, smentiva con veemenza ma con un'aria quasi compiaciuta per la loro apparizione. Artù faceva di tutto per ignorarle e la compagni di Morgause lo teneva occupato.
Morgause sarebbe stata un grande condottiero ed un grande sovrintendente, se fosse nata uomo. Sembrava sapere sempre quale fosse la soluzione giusta, come governare sul popolo sempre più spaventato dai sassoni e come amministrare il raccolto quando scarseggiava. Affidarsi a lei, per Artù, era come poter prendere una boccata d'aria fresca in mezzo a mille responsabilità.
E qualche mese dopo Mordred tornò e tutto crollò.
La regina corse nelle stanze del suo re, piangente e distrutta, tremante. Artù la abbracciò nel tentativo di proteggerla da qualcosa che non conosceva. Qualche attimo dopo Morgause irruppe nella stanza e gli raccontò ciò che era successo.
"Mordred, Gaheris ed Agravaine sono piombati nelle stanze della regina! Mordred, oh Mordred, quella vipera! Quel mostro!" urlò Morgause. Solo allora Artù che entrambe le donne erano in abiti da notte, con i capelli sciolti e sconvolti.
"Cosa è successo, mia regina?" domandò il re a Ginevra, tentando di evitare la rabbia della sorellastra verso il figlio.
La regina ci mise qualche minuto a calmarsi fino a riuscire a mormorare un flebile: "Mordred è entrato nelle mie stanze."
"Cosa ti avevo detto?" esultò Morgause.
"Per quale motivo?"
Ginevra nascose il volto sulla spalla del proprio re e marito ed Artù capì.
"Lancillotto."
"Mio signore, giuro, giuro che era solo venuto a parlarmi, lo giuro."
Sfortunatamente il re non le credette. Il suo cuore si distrusse e si frantumò davanti ad una realtà che sapeva da tempo ma che non era mai stato disposto ad accettare. Ed ora se la trovava davanti, nelle vesti della propria regina, una donna e non un angelo, una donna che aveva ceduto alle proprie passioni.
Per un attimo, Artù pensò di voler chiamare le guardie e di chieder loro di farsi portare Lancillotto per distruggerlo e tagliargli la sua dannata testa. Ma le spalle di Ginevra tremarono ed Artù si sentì improvvisamente stanco e vecchio.
"Tornate nelle vostre stanze," ordinò il re.
"Mio signore," supplicò Ginevra.
"Non temete, non vi verrà fatto alcun male. Tornate nelle vostre stanze, questa non è una questione che vi riguarda."
La regina fece per parlare ancora ma Morgause la prese per le spalle e la trascinò dolcemente via, portandola alla porta. Lì, chiamò due damigelle ed una guardie ed ordinò loro di portare la regina sconvolta nelle stanze regali e di sorvegliarla.
"Vattene anche tu, Morgause, voglio stare solo."
Ma la sorellastra non si mosse, anzi, si avvicinò ad Artù e lo abbraccio.
"Va tutto bene, tutte le mogli tradiscono i mariti."
"L'amavo... devo aver fatto qualcosa per renderla infelice altrimenti-"
"Sei troppo buono con gli altri e troppo duro con te stesso."
Artù sorrise. Era una frase che Merlino gli diceva spesso quando lui era solo un bimbo. Sentì un'improvvisa fitta di nostalgia per il vecchio zio scomparso e che, ormai, aveva dato per morto.
"Oddei, Morgause, se lei mi ha tradito, se lei mi ha tradito-"
Morgause appoggiò un dito, delicatamente, sulle labbra del fratellastro e probabilmente meditò anche di baciarlo, per un fugace secondo.
"Lei non ti ha tradito. E' stato un malinteso."
"Ma Ginevra stessa lo ha ammesso."
"No," insistette la donna, "non lo ha fatto. Se lei ti avesse tradito tu dovresti cercare Lancillotto ed ucciderlo. Inoltre dovresti anche ripudiare Ginevra e bruciarla, davanti alla corte, secondo le nostre leggi. Non è così?"
Artù annuì, atterrito. Era vero. Ed era anche vero che Ginevra gli aveva spezzato il cuore ma il re sentiva di non poterla uccidere, non lei, non la dolce regina che un tempo aveva riso per lui.
"Quindi, mio sovrano e fratello, è una vera fortuna che Ginevra non ti abbia affatto tradito con Lancillotto."
"Mordred ed Agravaine avranno già diffuso-"
Ancora una volta Morgause interruppe il sovrano. Era l'unica, in tutta la corte, ad avere un simile potere su di lui ora che la regina aveva perso qualsiasi posto nel suo cuore.
"Mordred, Gaheris ed Agravaine erano gelosi, sono molto vicini a te, anche di sangue, e volevano sbarazzarsi di Ginevra per impedirti di avere altri eredi."
"E' tuo figlio," sussurrò Artù, sconvolto per il modo in cui la sorella parlava del suo stesso sangue. Ma nemmeno lui sapeva se volesse riferisci a Mordred o ad Agravaine con quelle parole.
"Ma tu sei mio fratello. Bandiscili dalla corte. Se la caveranno," aggiunse subito la donna, quando vide la protesta negli occhi del re, "sono i miei bambini, dopotutto."
"Mi stai chiedendo di scegliere tra Ginevra e loro. Tra Ginevra e mio figlio?"
"No," spiegò la sorellastra, "questo è l'unico modo per salvare le vite di tutti. Se accetti il tradimento Ginevra e Lancillotto moriranno e tu dovresti comunque punire quei tre incoscienti per essersi introdotti senza permesso nelle stanze della regina. Ma se non c'è nessun tradimento, come vedi, salvi ben due vite."
E tutto sembrava logicamente perfetto nella calma e rassicurante voce di Morgause.
Non passò nemmeno un giorno che il re ordinò ai tre giovani delle Orcadi di presenziarsi ad un'udienza privata e li esiliò. Agravaine fumava di rabbia e gelosia, mentre guardava disperato ed affamato la madre, impassibile. Gaheris impallidì, sconvolto, e si buttò in ginocchio. Mordred si spezzò.
Artù lo vide chiaramente perché vide qualcosa negli occhi del figlio distruggersi completamente. Amore, fiducia, speranza. Non lo sapeva.
Nel momento stesso in cui i tre giovani uscirono dalla stanza, Artù capì di non aver mai compreso la profezia.
Un peccato che compirai con tua sorella sarà la tua fine.
Quale peccato? Ne aveva compiuto così tanti. Aveva tentato di uccidere il figlio, aveva dato al figlio del bugiardo, non l'aveva mai accettato come figlio e l'aveva cacciato. In confronto a questi, un innocente concepimento non era davvero nulla.
Non ci mise molto a pentirsi del suo gesto e solo due mesi dopo mandò dei messaggeri alla ricerca dei tre e chiedendo loro di tornare a Camelot e che sarebbero stati perdonati se si fossero scusati con la regina. Gahersi tornò immediatamente e con gioia riabbracciò la moglie ed il piccolo bambino che nel frattempo era nato.
Agravaine si rifiutò di ritornare e preferì viaggiare fino al regno di Lot dove si trovava suo fratello Gawain.
Nessuno riuscì a trovare Mordred. Tutti i messaggeri destinati a lui tornavano a mani vuote.
Qualcosa si era distrutto definitivamente in lui, ed in Artù.
Persino Morgause se ne accorse e notò le nuove rughe sul volto del fratello e la nuova freddezza nella sua voce. Lui sembrava aver perso qualsiasi fiducia nel mondo ed in lei e Morgause decise che era ora di andarsene per un breve viaggio di piacere.
Il viaggio di piacere la portò alla sua morte. Era partita con una scorta di alcuni cavalieri, tra cui sir Lamorak, figlio del re Pellinore che tutti sapevano essere uno dei più grandi nemici dei fratelli delle Orcadi da quando Gaheris aveva ucciso in un torneo il suo nipote più giovane. Forse Lamorak aveva voluto vendicarsi o forse era stato un incidente. Morgause e la sua scorta caddero in un'imboscata, o così venne raccontato, e l'unico sopravvissuto fu Lamorak, che riuscì a fuggire mentre Morgause venne trovata abbandonata e senza testa.
Solo una simile notizia riuscì a richiamare Agravaine a Camelot. Il giovane sembrava non riuscire a trovare pace per la morte della madre, una morte così brutale, e partì alla ricerca di Lamorak.
Artù osservava impotente i suoi cavalieri dividersi e fuggire. I fratelli delle Orcadi ed i figli di Pellinore iniziarono una terribile guerra e faida che non terminò finché Agravaine ed il giovane ed innocente Gareth, l'unico rimasto fuori dalla guerriglia, morirono. Lamorak e Pellinore erano morti, così come molti altri della loro famiglia.
Come se non bastasse, Nimue tornò a Camelot ed iniziò a lanciare profezie su una misteriosa coppa magica chiamata Graal che aveva il potere di esaudire tutti i desideri di chi fosse in grado di trovarla. Molti cavalieri partirono alla ricerca della famosa coppa.
Lancillotto non era più tornato, da quella lontana notte, e nessuno aveva più visto Mordred.
Era quasi strano, per Artù, vedere facce nuove e così giovani alla Tavola Rotonda, dove un tempo vi erano i suoi vecchi amici.
Un giorno, anche la Regina scomparve, lasciando dietro di sé una flebile lettera.
Mio re e sovrano Artù,
so di non meritare nulla da voi e di non avere il diritto di chiedervi nulla ma devo domandarvi un solo ed unico favore: lasciatemi partire e ritirare al convento di Canterbury. Là forse potrò guarire le mie ferite e, lontano da me, potrete guarire le vostre.
Sono stata un donna sciocca ma a mio modo vi ho amato e non potete immaginare la mia tristezza nell'avervi così profondamente ferito, perché so che l'ho fatto. Camelot non è più come un tempo, quando tutto sembrava avvolto in una nebbia di speranza e le rose erano ancora rosse. Mi sento grigia, a Camelot, mi sento morta.
Sento che in questa nuova religione di Cristo, forse, potrò trovare una nuova luce di speranza e spero che sarà così anche per voi. Tenete questa croce come pegno del mio amore e del mio affetto,
Vostra Ginevra

Erano solo poche righe ma bastarono. Da quel giorno Artù non tolse mai il piccolo crocifisso che Ginevra gli aveva donato.
Quando, alcune sere, nel suo letto, toccava il piccolo crocifisso argenteo, Artù pensava a tutte le donne che erano entrate nella sua vita e poi ne erano violentemente uscite. Vi era sua madre, una donna che non aveva mai amato suo padre e che, pur di ferirlo, si era uccisa, lasciando solo Artù prima che lui riuscisse a rendersene conto.
C'era poi Morgana, sua sorellastra maggiore, bellissima e velenosa come una febbre. Sapeva mentire e voleva diventare Artù e non si tratteneva dall'usare qualsiasi trucco per il suo scopo.
Elaine, un'altra sorella che si era sigillata in un convento, nella speranza di dimenticare tutti gli uomini.
Morgause, la più bella e la più dolce, con la quale aveva compiuto le azioni più crudeli e terribili ma che lo aveva sempre saputo amore ed accudire.
Ed infine Ginevra, la donna bellissima e perfetta, irraggiungibile. La donna che più di tutte lo aveva ucciso.
Vi erano anche le donne che non aveva mai conosciuto bene: Nimue e Viviane, due streghe che sembravano odiarsi a vicenda e tramare nell'ombra per scopi impossibili a tutti da comprendere.
E fu proprio una delle due, Nimue, che andò a fargli visita. Nessuno osò fermarla perché tutti la temevano e, dopotutto, Nimue, per quanto misteriosa fosse, non aveva mai avuto motivo per volere male ad Artù.
"Lady Nimue, finalmente vi conosco."
"Mio re," si inchinò la donna. Con delusione, Artù notò che aveva l'aspetto di una qualsiasi contadina. Le mani erano piene di calli e la pelle iniziava ad avere qualche macchia bruna, fra le dita. I capelli, di un biondo cenere stopposo, erano raccolti in una lunga treccia. Anche i suoi occhi sembravano molto comuni. Castani, o verdi.
"A cosa devo l'onore della vostra visita? Volete allettare anche me con visioni del Graal?"
Nimue rise e si inchinò di nuovo. "No, mio signore, sono qui per dirvi addio. Sono malata, purtroppo, ma non perdete tempo a compatirmi perché avevo visto il futuro e sapevo sarebbe successo."
Artù la osservò, a disagio. "Mi dispiace per il vostro male, lady, so che siete stata importante per Merlino."
"Merlino," sorrise Nimue, "è stato l'uomo da me più amato ed odiato. Lui era tutto ciò che io non potevo essere, eppure anche i più grandi muoiono. So che una parte di voi spera ancora in lui, ma è morto. Molto tempo fa. Viviane è riuscita ad ucciderlo e lei è morta con lui."
Il re si sentì piccolo, ed impotente.
"Tutti i grandi del passato sono morti o quasi," continuò Nimue, "tutte le profezie, la magia-" sospirò come fanno coloro che ricordano qualcosa di particolarmente divertente, "Morgana è l'unica rimasta a saperla usare. Anche Morgause è morta."
Era vero. Da anni ed anni nessuno usava più la magia e coloro che la sapevano usare, coloro che profetizzavano, erano scomparsi.
"Che cosa accadrà?"
"A voi? Al regno? Alla magia?"
"Ditemi."
Nimue si guardò le mani rugose e secche, aprendole e chiudendole, per testarle. "E' la fine. Ma è iniziata da tempo. Non piangete, mio re, tutto ha fine prima o poi e la fine è l'inizio di qualcosa di nuovo."
"Perché siete qui, dama Nimue?"
"Merlino vi voleva bene, molto. So di non aver fatto abbastanza per lui e spero, con la speranza dei vecchi e degli sciocchi, di poterlo ripagare aiutando voi. Si avvicina un grande pericolo."
"Come posso scongiurarlo?"
La maga tese una mano e chiese al sovrano di darle Excalibur, la spada che anni prima Merlino aveva donato al suo giovane e spaventato nipote.
"Questa lama è impregnata di una magia più potente di qualsiasi cosa. La stessa magia del Graal. Una magia di un altro mondo."
"Allora il Graal esiste."
"E speravo che qualcuno lo trovasse per voi," Nimue ridacchiò, "ma sono degli incapaci."
"Non capisco, a cosa vi serve la mia spada?"
Nimue toccò l'elsa, con adorazione e sguainò la spada con riverenza. "Vi donerò la mia magia. Voi siete un grande re e meritate questo dono. Forse è qualcosa che avrebbe fatto anche Merlino se avesse potuto, ma è morto prima. Lo farò io al posto suo."
Artù si alzò, allarmato. Non era spaventato per ciò che Nimue avrebbe potuto fare ma semplicemente per il momento in cui si trovava. Perché sapeva che Nimue sarebbe morta davanti a lui.
"Meritate di regnare ancora molti anni e di essere perdonato e di perdonare. Vi dono la vita e dono alla vostra spada il potere di salvarvi."
Il re non riuscì a fermare la strega, o maga, ma solo a correre verso di lei ed ad afferrarla quando questa chiuse la mani sulla lama, sprizzando sangue e cadde a terra. Una simile ferita non avrebbe mai ucciso nessuno ma Nimue era morta.
Ed Excalibur brillò leggermente, per un attimo.

Artù non ci mise molto a capire che il dono di Nimue era quanto mai prezioso.
Notizie allarmanti iniziarono ad arrivare da est e da nord. Nuove orde di sassoni erano sbarcate, rubando terre ai sassoni che si erano stabiliti oltre Londinium. Eserciti di quei bruti e barbari biondi si stavano quindi avvicinando al regno di Camelot, alla ricerca di nuove terre e nuove ricchezze.
Camlann era una piccola cittadina tra Londinium e Camelot ed un esercito di sassoni era riuscito a giungere fino a lì.
Gawain non perse tempo e fuggì da Camelot alla ricerca di Lancillotto e dei suoi rinforzi. Artù lo pregò di affrettarsi perché la cerca del Graal, le faide, il tempo, avevano indebolito le sue schiere ed il numero dei suoi eserciti.
Sir Kay andò per primo, con un piccolo esercito, all'insaputa di Artù, sperando di sbaragliare i sassoni e spaventarli abbastanza da farli fuggire. Sfortunatamente la retata fu un disastro ed il fratello adottivo del re tornò a Camelot ferito e con la coda fra le gambe.
Le donne, i vecchi ed i bambini fuggirono dalla città sentendo il respiro sassone sul collo, avvicinarsi sempre più e sempre più velocemente. Le Orcadi ed il regno di Lot furono pronti ad accogliere tutti i fuggitivi ma si rifiutarono di mandare rinforzi, sentendo anche loro di averne bisogno per il futuro.
Erano anni che Artù non combatteva nuovamente in una battaglia e questa volta fu con un senso di soddisfazione ed eccitazione, come la prima volta che lo fece da ragazzo, che decise che avrebbe condotto lui l'esercito. Sapeva di doverlo fare perché i suoi soldati avevano bisogno di tutto l'appoggio ed il sostegno possibile e la leggenda della mitica Excalibur sembrava dar loro forza.
Lasciò Kay, ferito, e Bedivere, il sovrintendente, ad occuparsi di Camelot e sperò che Gawain lo raggiungesse presto assieme a Lancillotto.
Prima di arrivare a Camlann sperò ancora in un accordo ma quando giunse e provò a mandare qualche ambasciatore, capì che i sassoni erano troppi e troppo affamati per qualsiasi tipo di accordo.
Sapeva di doversi battere con loro e questo non lo stupì.
Ciò che stupì davvero il sovrano fu vedere Mordred nelle loro file.
__________________
[English Arthurian fandom]

❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends
Mordred Inlè non è connesso   Rispondi citando
Vecchio 23-08-2009, 11.33.51   #14
llamrei
Dama
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llamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamba
Benissimo! E il seguito?
llamrei non è connesso   Rispondi citando
Vecchio 23-08-2009, 15.14.06   #15
Mordred Inlè
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
Eccolo qui : D
Vi ringrazio <3

Capitolo 6 di 6
06. Epilogo: Camlann

Re Cedric arrivò la mattina successiva al giungere di Artù sul futuro campo di battaglia.
Cedric non era come tutti gli altri piccoli re sassoni, avidi di potere e terre, combattenti feroci e senza cervello. Cedric era il Re sassone. Aveva un'astuzia degna di un celta e un'avidità da far invidia a qualsiasi altro sassone.
Per questo, quando Bors corse da Artù per riferirgli l'arrivo di Cedric, il re sperò in qualche giorno di tregua.
"Qualche giorno di tregua?" chiese, confuso, il cavaliere, "per quale motivo dovrebbero concedercela?"
"Perché possiamo pagarli in oro e possiamo consegnare loro alcune terre. Saremo convincenti. Metteremo in atto una trattativa degno di questo nome. Ci fingeremo spaventati, siamo spaventati, da loro."
Il re osservò la propria tenda, con attenzione, ed il suo sguardo cadde su Excalibur, calma ed al sicuro nel proprio fodero.
"Cedric ci crederà. Sa bene quanti altri messaggeri abbiamo mandato e sir Mordred," la voce di Artù non riuscì a rimanere ferma ed immobile quanto avrebbe voluto, "mi considera un vile. Saprà consigliare Cedric a dovere."
"Avete davvero intenzione di cedere ai sassoni oro e terre?" chiese Elyan, figlio minore di Bors.
"Certo che no. Intavoleremo le trattative. Consegneremo loro ciò che abbiamo, oro, gioielli e promesse. Chiederemo del tempo per far arrivare da Camelot e Lothian altre ricchezze."
Sir Tor, uno dei figli bastardi dei defunto Pellinore, si toccò pensieroso il volto ed espresse a voce alta i pensieri di tutti. "Prederemo tempo per l'arrivo di Gawain e l'esercito di Lancillotto."
Artù annuì. Non era fiero del suo piano perché sembrava più un imbroglio che un vero astuto stratagemma, ma sapeva di non avere scelta. I sassoni erano troppi e troppo affamati e dietro di loro le terre di Camelot si estendevano pacifiche ed impaurite.
Se i sassoni avessero vinto, gli uomini sarebbero stati uccisi nel loro sonno, uomini innocenti e semplici contadini, le donne violentate ed i bambini schiavizzati. Il caos si sarebbe diffuso sulla Britannia e la disperazione sarebbe divenuta di casa.
"Che cosa facciamo se Cedric rifiuta o ci attacca violando la tregua?" chiese Bors ed il figlio aggiunse: "O se Gawain non riesce a trovare Lancillotto o non arriva in tempo."
"Tristano sta mandando rinforzi e prego gli dei che Lancillotto non ci tradisca."
Tutti in quel momento pensarono Come ha già fatto in passato perché nessuno aveva dimenticato la notte in cui Mordred fu cacciato da Camelot e Lancillotto fuggì per la vergogna.
Artù non credeva agli dei. Da piccolo Merlino gli aveva insegnato a temere antichi dei del passato e gli spiriti del mondo. Gli aveva anche parlato di divinità straniere ed alcune di queste, Ares ed Iside, si erano da tempo diffuse in Britannia. Artù non credeva nemmeno nell'uno e buono Dio cristiano. Un solo dio è troppo poco per così tanti uomini.
Ma quella mattina qualche divinità ascoltò la sua preghiera perché, poco prima di partire verso il campo sassone per la proposta di tregua, un messaggero arrivò ansante e festoso portando la notizia dell'imminente arrivo di Gawain, a soli pochi giorni di cammino.
Con una nuova speranza nel cuore, Artù, Bors e qualche altro cavaliere, raggiunsero il campo sassone. I nemici, che conoscevano lo stemma di Artù, un drago dorato su sfondo rosso, e conoscevano anche il volto del re, lo lasciarono passare ma non senza una scorta di guerrieri sassoni a guidarlo.
Gli dei protessero ancora una volta il re che arrivò da Cedric, incolume.
La tenda di Cedric non aveva nemmeno la metà della maestosità di quella del re Bretone ma, al contrario, aveva una rustichezza feroce che terrorizzò i soldati del re. Ma nessuno di loro lo diede a vedere.
Re Cedric sedeva su una rozza seggiola di legno, appoggiato ad un ampio tavolo massiccio. Aveva un aspetto comune ed era piuttosto basso, per essere di sangue sassone, ma comunque più alto di re Artù ed alto almeno quasi quanto sir Bors.
Aveva folti capelli biondi, lunghi fino a metà spalla e raccolti in una treccia decorata con piccoli ossicini di provenienza ignota. La faccia era quasi completamente nascosta da un paio di folti baffi dorati e da una lunga barba, anch'essa intrecciata. Sul capo, Cedric aveva una piccola corona di bronzo, tetra e semplice.
Re Cedric osservò i suoi ospiti e prese spada, ancora nel fodero, per porla davanti a sé, in segno di pace.
L'aspetto del re sassone era temibile e sicuramente impressionante ma ad impressionare Artù fu, ancora una volta, la presenza di Mordred.
Il figlio era in piedi, accanto al re, immobile e vestito con armatura ed armi sassoni. Sembrava più vecchio e sembrava più stanco ma non si tirò indietro quando Artù tentò di guardarlo negli occhi.
"Sono il vostro interprete, re sassone," disse, con un breve inchino, dolorosamente formale.
"Mordred- Sir Mordred," provò Artù ma re Cedric iniziò a parlare, in quella aspra lingua sassone che evidentemente Mordred era in grado di capire.
"Il mio sovrano si chiede perché i topolini vogliano far visita al leone," tradusse subito il traditore.
Artù voleva evitare Cedric, voleva evitare quella trattativa, voleva solo parlare con Mordred ma Bors gli mise una mano sulla spalla ed il re si ricordò di essere il re.
"Dite al vostro sovrano," rispose, con voce incerta, "che non vediamo topolini ma che, se non se ne fosse accorto, gli orsi della Britannia sono a fargli visita. Dì anche che siamo disposti ad offrire oro al grande leone sassone e così anche terre e gioielli."
Mordred si voltò verso Cedric ed iniziò a tradurre, con un accento che aveva molto poco della sua nuova lingua. Cedric rise leggermente, facendo tremare l'aria e sputando per terra in segno di scongiuro, o divertimento.
Artù ebbe un moto di gioia nel notare l'occhiata disgustata che suo figlio lanciava a quel re. In quell'attimo si accorse di essere stato geloso di Cedric.
"Il mio sovrano vi dice che se vuole oro e terre non dovrà far altro che prendersele. Non ha motivo di creare una tregua a meno che il vostro oro non sia così tanto da sfamare tutto il suo popolo."
"Vi assicuro che il nostro oro è abbastanza. E ne faremo arrivare altro da Camelot. Ho mandato messaggeri."
"O li hai mandati per i rinforzi?" ribatté Mordred ma non aspettò la risposta del re di Camelot perché subito dovette tradurre in sassone.
Il colloquio andò avanti quasi un'ora, con insulti, lodi, proposte, trattative. Quando giunse il tramonto e nessun accordo era stato preso, il gruppo decise di rimandare il tutto a domani ed Artù donò, in segno di amicizia, un piccolo carro colmo d'oro e di pelli.
Fino al giorno successivo ci sarebbe stata una breve tregua e nessun soldato aveva il permesso di sfoderare la spada.
Il re, con i suoi cavalieri, riuscì quindi a tornare sano e salvo nel proprio accampamento ed a meditare sull'accaduto.
Sentiva di aver lasciato qualcosa di troppo importante nella tenda di quel re sassone, e non si trattava dell'oro. La notte fu insonne ed il risveglio doloroso. Solo la presenza di Excalibur riusciva a ridargli della speranza perché tenerla accanto gli ricordava di Nimue, Merlino e di tutti coloro che avevano creduto in lui, o che ancora ci credevano.
Ed un po' mitigavano gli occhi scuri di Mordred ed il suo sguardo avvelenato e disperato.

Il sole sorse e fu domani.
Nell'aria aleggiava ansia e timore. I soldati passavano il tempo a scrutare l'orizzonte, sperando l'arrivo di Lancillotto e temendo quello di Cedric. Ma nulla di tutto ciò accadde perché l'inferno iniziò solo poche ore dopo l'alba.
Nessuno seppe mai che cosa accadde veramente. I più attenti videro un guizzo di lame, il sole riflesso contro una spada, un urlo e quindi altre lame che uscivano dai loro foderi. Ululato di cani e piccole asce che venivano lanciate. Così anche i meno attenti decisero di sfoderare le loro armi per prepararsi all'attacco dei nemici.
Il caos devastò Camlann ed Artù non poté farci nulla. A niente servirono i suoi tentativi di trattenere i soldati, perché Lancillotto ancora non c'era, perché era troppo presto, perché non ve ne era ancora motivo.
"Che cosa è successo?" urlò il re bretone, ma nessuno gli rispose.
Quello che accadde fu uno dei più crudeli giochi del fato. Una maledizione doveva scorrere nel sangue Pendragon perché fin troppe volte il destino aveva riso colpendo ripetutamente Artù ed i suoi parenti. Questa volta il destino assunse la forma di una vipera.
La vipera uscì dal suo rifugio e c'è chi disse che un soldato, vedendola così vicino al suo piede, si spaventò e sfoderò la spada, prima di venir morso dal serpente. L'urlo fu il suo.
Nessuno seppe dire se il soldato era sassone o bretone ma la tregua era stata rotta e la paura, l'agitazione, l'attesa aveva giocato a favore di questa rottura.
Artù fu costretto a richiamare quei pochi cavalieri che ancora non si erano buttati nell'esercito, li radunò e li costrinse in una formazione compatta, in grado di rompere le file disordinate dei sassoni e di uccidere più nemici possibile.
Prese la lancia e partì al galoppo.
Perse il conto di quanti ne uccise o di quanti ne ferì. Il suo cavallo, Caradoic, correva come il vento, implacabile e senza temere nulla. Dietro di lui Bors ed il figlio avevano già in mano la spada perché la lancia era andata spezzata qualche sassone prima.
"Mio re!" urlò Bors dietro di lui ma Artù non riuscì a fuggire ad un'ascia che tagliava una delle zampe del suo cavallo, facendolo cadere. Il sovrano riuscì a rimettersi in piedi e lasciò cadere la lancia, troppo ingombrante, per prendere Excalibur e lasciarle mietere le vittime che preferiva.
Non perse tempo a guardare dove fossero finiti i suoi cavalieri, perché ormai i sassoni erano troppi, erano ubriachi di follia e di battaglia ed erano ovunque. Riusciva solo a parare, qua, parare, colpire, un sassone, ucciderlo, ferirlo, parare di nuovo, ma era tutto troppo veloce.
Sentì un lancinante dolore alla spalla sinistra e ben presto si ritrovò zuppo di sangue di cui molto era proprio suo.
Finalmente riuscì a districarsi dal groviglio di lame ed asce e si allontanò leggermente dal punto centrale della battaglia, in cui era stato un attimo prima. Respirava a fatica e sentiva sempre la bocca piena di sangue. Leggermente intontito si tastò il petto e sentì una piccola ferita da lancia vicino al fianco destro.
"Vi vedo distratto," sibilò una voce dietro di lui, non abbastanza rauca per impedire ad Artù di riconoscerla. L'uomo si voltò.
Mordred era senza elmo ed il viso era completamente coperto di sangue, così come i suoi abiti. Allarmato il re si chiese se le ferite del ragazzo fossero gravi.
Non riusciva- semplicemente non riusciva a guardare con serenità ai propri peccati ed alle proprie colpe ed a non perdonare quelle del figlio. Ed ancora, l'amore che non aveva potuto dargli, aveva bisogno di raggiungerlo.
Ora che era la fine.
"So della profezia," ringhiò Mordred, "io sarò quello che dovrà uccidervi, vero? E non voglio davvero deludervi, padre."
Il ragazzo non aspettò risposta ed alzò velocemente la lama per scagliarsi contro Artù. Excalibur parò ed il re si allontanò di qualche passo. Era ferito ed era stanco, non sarebbe resistito molto.
"Mordred, le profezie... le profezie non sono il nostro destino."
"Tu hai mandato Sagramore a morire, ed anche me!" urlò il figlio, buttandosi ancora una volta contro il padre. Questa volta Artù riuscì a fatica a pararsi, sentiva la testa girare e le forze già venirgli meno, e venne colpito alla mano, facendo cadere Excalibur. Lui stesso si trovò a terra, con la lama di Mordred contro la sua gola.
"Ora chiedete il mio perdono," sorrise il figlio.
"Perdonami, Mordred. Uccidimi se non puoi. Ho tentato di ritrovarti in tutto questo tempo, di riportarti a me."
"Pensi che sia per quello?" rise Mordred, ma la sua bocca tremò, incerta.
"Sei mio figlio, l'unico che io abbia mai avuto. Ti perdono ed ho bisogno del tuo perdono."
Anche in mezzo a tutto quel sangue ed a tutto quello scrosciare di urla, Artù poté sentire il respiro di Mordred che si bloccava nel suo petto e poté vedere i suoi occhi spalancarsi.
"Sei mio figlio, Mordred," ripeté. Ed era così semplice dirlo. Così bello, così naturale. Si chiese perché non lo avesse mai fatto prima.
Le profezie, le parole di Morgause, le paure, tutto sembrava svanito ed inutile, ridicolo quasi.
La testa rombava ed Artù sentì che il sangue che usciva dalla sua ferita alla spalla portava via tutta la sua energia.
L'ultima cosa che vide prima di svenire fu Mordred, suo figlio, trafitto da una lama, lì, davanti a lui, che si accasciava al suolo.
Artù non fece in tempo ad urlare che tutto fu buio.

Tra tutte le persone che Artù si aspettava di vedere, quella era sicuramente l'ultima.
La sorpresa lo lasciò senza fiato quando, appena aperti gli occhi, dolorante e sanguinante, si voltò ed alla penombra del tramonto vide Morgana. Riuscì appena a boccheggiare e la donna, sporca di sangue come tutto in quel luogo, si inginocchiò accanto a lui.
"Morgana," rantolò il re, alzando una mano per toccarla e sapere se lei era davvero lì. Morgana lasciò che il re le toccasse i capelli ed volto, dopodiché prese la sua mano tra le sue.
"Artù."
"Dove sono?"
"A Camlann," rispose prontamente Morgana, "la battaglia è finita. Lancillotto è arrivato ed anche Tristano. Ma il fato ha portato entrambi alla morte."
Artù chiuse per un attimo gli occhi. Ancora una volta le persone che amava svanivano.
"Cosa ci fai qui?"
"Stavo arrivando a Camelot quando ho sentito dei sassoni e sono venuta per-" la donna si interruppe e rise. "Pensavo di riprendermi il trono ma eccomi qui. Sono finita, come te."
Artù non le chiese nulla. Sapeva di essere mortalmente ferito. Sentiva le fredde dita di una dea che strisciavano tra i suoi capelli.
"Non sei finita," rantolò il sovrano.
"Lo sono. Volevo essere te. Volevo avere Ginevra ed essere un re. Ma se perdo te, perdo tutto. Tutti coloro che abbiamo conosciuto stanno morendo e sono troppo stanca per continuare senza loro."
La donna toccò, esitante, il petto di Artù, tastando le sue ferite.
"Saresti stata una grande regina."
"Lo so. Me ne andrò, molto lontano. In questa terra ho visto troppo dolore."
Artù tossì e spalancò gli occhi. Si guardò attorno, come poteva, e tentò di alzarsi. Il ricordo del suo ultimo incontro con Nimue era tornato nella sua mente.
"Excalibur, dov'è?"
Morgana non protestò ed alzò la lama accanto al re, per mostrargliela.
"La vita- la-" iniziò a balbettare Artù, sentendo l'agitazione che portava un po' di colore nelle sue membra, "il perdono. Ho bisogno del perdono."
"Che cosa intendi?"
"Morgana, promettimi- Morgana," Artù si interruppe nuovamente e provò ancora una volta ad osservare ciò che gli stava accanto. I cadaveri delle persone vicino a lui. "Dov'è?"
"Artù?"
"Morgana, promettimi che porterai Excalibur ad Avalon."
"Al lago sacro. Te lo prometto, ripagherò le colpe che ho verso di te," promise Morgana, tenendo stretta a sé la spada. Ma Artù non aveva finito.
Il re non rimase a pensare all'avidità che aveva caratterizzato la sorella perché gli occhi di Morgana sembravano sinceri, sembravano bisognosi di una vita di semplicità, dove la sottigliezza non esisteva e le persone erano ciò che erano.
Per quello le fece promettere di portare Excalibur al lago, di buttarla nel lago e di pregare. Perché Excalibur aveva il dono della vita.
Perdonami Nimue, il mio regno è finito. pensò il re, sapendo che il dono della Maga era per lui e per nessun altro.
"Prega per la vita di Mordred."
"Te lo prometto," rispose Morgana.
La donna rimase accanto a lui ancora qualche minuto prima di vedere la vita che lasciava le sue membra. Si era immaginata una morte più grandiosa per un grande re come lui.
"Ed invece muori come un essere umano, come tutti noi. Porterò Excalibur al lago, per te e per Mordred."
Ma Artù ormai non poteva più sentirla, perché era morto.
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Vecchio 23-08-2009, 15.35.11   #16
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llamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamba
Stupendo! Complimenti milady! Mary Stewart sarebbe orgogliosa di voi
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Vecchio 24-08-2009, 17.38.53   #17
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Vi ringrazio immensamente : D per avermi seguita fin qui e per i vostri complimenti <3
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Vecchio 24-08-2009, 18.49.20   #18
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Dico quel che penso e penso che siete veramente brava
Il passo della vipera e dell'incontro tra i due re fa riferimento a "il giorno fatale" ho visto. Piace anche a voi quel libro? Credo proprio di poter dire che è tra i miei preferiti, se non proprio il mio preferito
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Vecchio 24-08-2009, 19.15.20   #19
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Sì : D la vipera era troppo bella e fa riferimento sia al Giorno Fatale che all'opera di Malory.
Vi ringrazio ancora <3
Dopo questo volevo rubare Mordred a Camlann e catapultarlo in un mio racconto fantasy su una professoressa di mezza età che viaggia fra i mondi.
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Vecchio 12-09-2009, 15.15.18   #20
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Hastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luce
Solo ora dopo parecchie settimane, termino la lettura di questa storia.
A me è sembrato un gran bel lavoro.
Sono veramente contento che siate giunta qui a Camelot e che ci abbiate messo a disposizione le vostre creazioni.
Complimenti, complimenti, complimenti
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