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Vecchio 13-06-2014, 14.36.01   #1
Taliesin
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Le Cronache mai scritte: Storie nella Storia.

18 OTTOBRE 1009: LA DISTRUZIONE DEL SANTO SEPOLCRO.

Il 18 ottobre dell'Anno del Signore 1009 avvenne un fatto doloroso per la cristianità: la distruzione del Santo Sepolcro ad opera del sultano fatimide al-Hakim.

A stabilire la data esatta dell’avvenimento è stato l’archeologo francescano Eugenio Alliata, sulla base delle indicazioni del siriano Yahia ibn Said (sec. XI) che ci ha tramandato la cronaca di quegli avvenimenti: ” (Il sultano) al-Hakim scrisse in Siria a Baruch che si trovava a Ramlech perchè demolisse la chiesa della Resurrezione di modo che di essa non restasse segno alcuno(…) e la distrussero completamente, lasciando solo qualcosa la cui distruzione era molto difficile.

Distrussero anche il Calvario, la chiesa del santo Costantino e tutto quello che si trovava nei loro confini e tentarono di eliminare i sacri resti. Il figlio di Abu Dhaher si dette molto da fare per distruggere il Sepolcro proprio nei suoi resti, e realmente ne scavò e sradicò la maggior parte. C’era nei pressi un monastero femminile noto col nome di Deir es-Siri e anch’esso fu dustrutto.

Questa distruzione cominciò il martedì, il quinto giorno prima della fine del mese di Saffar nell’anno 400 dell’Egira”. Fin qui la cronaca dello storico siriano. L’anno dell’egira 400 inizia il 25 agosto 1009 ed essendo Saffar il secondo mese dell’anno lunare islamico bisogna aggiungere 54 giorni per arrivare a martedì 18 ottobre 1009, secondo il calendario gregoriano ( giorno evidentemente ricostruito essendo una data anteriore all’istituzione del medesimo).

Fu una distruzione radicale voluta dal sultano al-Hakim bi-amri-Ilah (985-1021) che impose una svolta nella politica dei fatimidi, dinastia appartenente alla corrente ismailita degli sciiti, che fino ad allora si era mostrata tollerante sia nei confronti della minoranza sunnita sia delle altre minoranze religiose. A subirne le conseguenze furono soprattutto ebrei e cristiani.
Nell’arco di 10 anni vennero confiscate le proprietà ecclesiastiche, abbattute le croci e distrutte 30.000 chiese. Un fatto che cambiò in maniera radicale l’aspetto dei luoghi cristiani a Gerusalemme perchè, anche se ricostruita, la basilica del Santo Sepolcro non ritrovò più l’antico splendore. In particolare andò perduto per sempre il Martyrium, cioè la grande chiesa in cui si faceva memoria della passione di Gesù.

Eusebio di Cesarea, che era presente all’inaugurazione della basilica avvenuta il 14 settembre 335, nella sua Vita di Costantino, racconta che l’elemento principale era “un emisfero collocato sulla parte più alta della basilica, cui facevano corona dodici colonne pari al numero degli Apostoli del Salvatore e ornate in cima con enormi crateri d’argento che l’imperatore (Costantino) aveva offerto personalmente quale bellissimo dono votivo al suo Dio”.

La basilica di Costantino era stata costruita sopra il tempio pagano, Elia Capitolina, che per 200 anni aveva occultato, sempre secondo Eusebio, la “grotta mistica dell’ultima battaglia ( contro la morte), esaltando così la vittoria del Salvatore”. Appena cinquant’anni dopo, intorno al 385, abbiamo testimonianza della chiesa costantiniana descritta nel Diario di viaggio di Egeria, una pellegrina proveniente dalle zone costiere dell’Atlantico che compì un lungo viaggio visitando scrupolosamente tutti i luoghi ricordati nell’Antico e nel Nuovo Testamento. La stessa che ritroviamo rappresentata nella mappa di Gerusalemme del VI secolo, un mosaico pavimentale di Madaba in Giordania e descritta successivamente nelle esperienze di viaggio del monaco Arculfo riportate nel De locis sanctis (Sui luoghi santi) dal monaco irlandese Adamnano.

Arculfo, verso il 690, trascorse nove mesi a Gerusalemme dove ha potuto visitare non solo il ” Sepolcro di Nostro Signore e la Chiesa del Santo Sepolcro” ma anche molte reliquie come la Sacra Sindone e l’albero di fico sul quale si sarebbe impiccato Giuda Iscariota.

Dunque, la distruzione del Santo Sepolcro fu il culmine della jihad, la guerra santa che, a partire dal VII secolo, aveva conquistato e islamizzato ciò che allora era più della metà della cristianità senza che vi fosse stata alcuna risposta da parte del mondo cristiano. La conquista di Gerusalemmme avvenuta nel 638, aveva rappresentato solo l’inizio di secoli di aggressioni musulmane contro i cristiani in Terra Santa, vittime di una crescente spirale di persecuzioni. E’ solo nel 1095 che Urbano II bandì la Prima Crociata durante il Consiglio di Clermont facendo appello ad un’azione difensiva, perchè senza un intervento difensivo, i turchi “continueranno ad avanzare opprimendo il popolo di Dio“, infatti “come a molti di voi è già stato detto, i Turchi, gente che viene dalla Persia e che ormai ha moltiplicato le guerre occupando le terre cristiane sino ai confini della Romania (l’impero bizantino) uccidendo molti e rendendoli schiavi, rovinando le chiese, devastando il regno di Dio, sono giunti fino al Mediterraneo cioè al Braccio di San Giorgio (il Bosforo)”.

La crociata non fu aggressione e non fu guerra santa, fu legittima difesa. Ciò che importava era riaprire ai cristiani la via del pellegrinaggio verso il Santo Sepolcro. Certo le Crociate furono guerre. Sarebbe un errore pensarle solo pietà e buone intenzioni. Come in ogni guerra, la violenza era brutale, anche se non brutale come nelle guerre d’oggi. Ci furono sventure, errori e crimini, ma non è corretto dire, come sostengono le “Garzantine”, la piccola Enciclopedia Universale, lo strumento di prima informazione più diffuso in Italia e altri testi di storia che “quelle spedizioni ebbero alla base ragioni sociali, economiche e politiche”. Come non vera è l’affermazione che la violenza presente affonda le sue radici negli attacchi brutali e immotivati delle Crociate contro il mondo musulmano tollerante e raffinato. Le Crociate hanno rappresentato solamente una risposta diretta alle aggressioni e un tentativo di arginare e controbattere la conquista di terre cristiane.
L’Islam nacque in guerra e crebbe nello stesso modo. Con formidabile energia i guerrieri dell’Islam attaccarono i cristiani subito dopo la morte di Maometto. In breve tempo, Palestina, Siria ed Egitto, un tempo le aree più fervidamente cristiane del mondo, soccombettero. Nell’ottavo secolo anche tutto il nord cristiano dell’Africa e la Spagna furono conquistati. Nell’undicesimo secolo fu la volta dell’Asia Minore (la Turchia), cristiana fin dal tempo di San Paolo. Tutte terre dove il cristianesimo si era diffuso non con la violenza ma con il richiamo della “Buona Novella”, furono conquistate e sottomesse.

All’inizio dell’XI secolo, dopo la distruzione del Santo Sepolcro e di quasi tutti i segni della presenza cristiana, anche l’imperatore di Costantinopoli, il cui impero si era ormai ridotto alla Grecia attuale, cominciò ad inviare lettere ai cristiani dell’Europa occidentale chiedendo aiuto. Così nacquero le Crociate. Come ha scritto Thomas F. Madden, professore associato della cattedra di Storia della Saint Louis University: ” Non è stato il progetto di un papa ambizioso o i sogni di cavalieri rapaci, ma una risposta a più di quattro secoli di conquiste, con le quali i musulmani avevano già fatti propri i due terzi del vecchio mondo cristiano. A quel punto, il Cristianesimo come fede e cultura doveva o difendersi o lasciarsi soggiogare dall’Islam. Le Crociate non furono altro che questa difesa”.
Concludo ancora con le parole di Madden: ” E’ abbastanza facile oggi aggrottare le ciglia. La religione in fondo è nulla se si basa sulla guerra. Eppure dovremmo pensare che l’uomo medievale sarebbe stato disgustato a sua volta dalle nostre guerre, molto più distruttive, combattute in nome di ideologie politiche. Dovremmo ancora pensare che sia il soldato medievale sia quello moderno combattono per il propiro mondo e per ciò che lo costituisce (…) Che noi ammiriamo i crociati o no, è un fatto che il mondo così come noi lo conosciamo oggi non esisterebbe senza i loro sforzi. La fede antica del Cristianesimo, col suo rispetto per le donne ed il suo rifiuto della schiavitù, non solo sopravvisse, ma fiorì. Senza le Crociate, si sarebbe estinta come lo zoroastrismo, un altro rivale dell’Islam”.

Una ricorrenza che media e giornali, tranne un’eccezione, hanno stranamente (stranamente?) passato sotto silenzio.


Taliesin, il Bardo
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Ultima modifica di Taliesin : 16-06-2014 alle ore 10.41.36.
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Vecchio 15-06-2014, 09.40.42   #2
elisabeth
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elisabeth è un gioiello nella rocciaelisabeth è un gioiello nella rocciaelisabeth è un gioiello nella roccia
Ormai ringraziarvi per quanto scrivete è una ritualità mio Amato Bardo......ma avete portato in superficie un tratto di storia molto importante......Frate Alliata lo conosco molto bene ogni anno quando vado a Gerusalemme é la nostra fonte di conoscenza.........
In queste pagine di Camelot intrise di storia e cavalleria non dovrebbero passare inosservate......Ma sembra che impugnare la Spada sia cosa da poco......invece può diventare Amore.............
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Vecchio 15-06-2014, 13.46.06   #3
Altea
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Sir Taliesin..voi siete un cuore pulsante di questo regno..con le vostre storie affascinanti di donne immortali, la vostra poesia e queste conoscenze storiche che ci donate e molto altro..lady Elisabeth si può dire sir Taliesin ha sia la spada che l'Amore e l'Intelletto.
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe

"Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit.

"I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam)

"La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea
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Vecchio 15-06-2014, 17.56.48   #4
elisabeth
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Siete una persona splendida Lady Altea.........ma voi mi sopravvalutate.....

Grazie amica mia......
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Vecchio 14-10-2014, 10.35.22   #5
Taliesin
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14 OTTOBRE 1066: LA MISTERIOSA SCOMPARSA DELL'ULTIMO RE ANGLOSASSONE


La Battaglia di Hastings di una incisione ottocentesca

Non molto si sa da fonti storiografiche, da documenti, quali siano precisamente gli storici che dettagliarono, anche se in minima parte, questa importante battaglia. Una versione differente, ma alquanto evocativa e stranamente precisa, la troviamo in un oggetto, un arazzo (1), passato alla storia come l’Arazzo di Bayeux. Commissionato da Oddone di Bayeux (2), fratellastro di Guglielmo I (3), è stato ricamato per evidenziare la campagna espansionistica dei Normanni che nel 1066 conquistarono l’Inghilterra e per enfatizzare la decisiva vittoria nella battaglia di Hastings.

Particolare di una delle vignette tratte dall’Arazzo del Bayeux

Nonostante sia stato fatto per la fine delle ostilità tra Anglosassoni e Normanni, gran parte del ricamo è dedicata alle battaglie e alle schermaglie inerenti al periodo antecedente alla guerra inglese. Questo pezzo di storia risultata essere un importantissimo documento storiografico, in quanto tramite esso si può risalire alle ambientazioni della Normandia e dell’Inghilterra, nonché avere informazioni sulle vesti del tempo, sulle imbarcazioni utilizzate per gli approdi e sulle locazioni degli stessi inglesi.
L’arazzo è sempre stato conservato nel palazzo vescovile di Bayeux. Vicissitudini lo hanno portato all’anonimato per preservarlo dalle varie guerre protratte nei secoli, come la Rivoluzione francese, la Guerra franco-prussiana o la Seconda Guerra Mondiale. Con piccole note in latino, disseminate sotto le vignette, molto semplici, con soli otto colori distribuiti, vengono narrate le gesta di Guglielmo e le scorribande di Aroldo II (4), con un breve spazio dedicato alla cometa di Halley.

Guglielmo I il Conquistatore, primo re normanno
Questo abile condottiero, in seguito capace anche di una duraturo e significativo mandato come re d’Inghilterra (5), cominciò la sua carriera nobiliare già all’età di sette anni. Venne proclamato Duca di Normandia, un titolo altisonante per un ragazzino di quella età, e a seguito della morte improvvisa e rapida dei suoi tre tutori, Gilberto di Brionne (6), il precettore Toroldo di Neufmarche (7) e il siniscalco Osberno di Crepon (8), si trovò praticamente solo a governare una regione in preda all’anarchia più totale.
I tre assassinii in rapida successione fecero piombare il popolo in un senso di non appartenenza che crebbe fino a diventare rivolta. Guglielmo, affidato quindi all’arcivescovo di Rouen, Roberto il Danese (9), non seppe placare le rivolte con efficaci manovre. Fu solo grazie alle istituzioni e alle imposizioni fatte dai predecessori di Guglielmo che la Normandia riuscì a rimanere a galla tanto da aspettare la cavalcata del Conquistatore, suo futuro re.

Guglielmo I il Conquistatore
Alano III (10) conte di Rennes e duca di Bretagna, fu insieme ai tre assassinati, uno dei quattro tutori iniziali di Guglielmo che suo malgrado ottenne la carica da giovane a causa del mancato ritorno in patria del padre Roberto I di Normandia (11). Si pensa che Guglielmo, quando Alano III rimase come ultimo tutore, fece torturare il quarto affinché confessasse la partecipazione ai tre delitti.
Guglielmo, come ultima nota, non veniva solo chiamato il Conquistatore, grazie alle sue vittorie anche antecedenti a quelle rilevanti per la regnanza, ma nacque con l’appellativo di il Bastardo. Per via dell’unione illegittima tra suo padre e una contadina, il giovane Guglielmo cominciò la sua carriera già non nei migliori auspici.

Aroldo II, il secondo di due
A differenza del suo contendente, Aroldo II, era immerso totalmente, sangue e mente, nel concetto nobiliare. Suo padre era Godwin (12), conte di Wessex, e la madre, seconda moglie, era Gythia Thorkelsdaettir, della quale si conosce solo il nome. Ebbe anche gradi di parentela con il penultimo re anglosassone, Edoardo il Confessore (13), tramite sua sorella, consorte appunto del re. Fu proprio la sua parentela con la moglie e la conseguente morte di Edoardo, che Aroldo II salì al potere come re d’Inghilterra.

Incoronazione di Aroldo II d’Inghilterra

Anche se molti ritengono che la causa della battaglia sia da riscontrare nella perpetua sete di potere dei vari successori e delle casate e regioni contrastanti, la scintilla che innesco la lotta tra sassoni e normanni, fu sì la voglia di Guglielmo di rubare il trono ad Aroldo, ma giocò un ruolo notevole anche Aroldo III di Norvegia (14), in quanto pretenzioso contendente come erede al trono. Come succede spesso, aiutate dalla voglia che il proprio re fosse ancora vivo, cominciarono a nascere leggende sulla morte di Aroldo II.
La prima, la più accreditata, vedeva il re morire in battaglia trafitto da una freccia all’occhio e successivamente finito dai soldati avversari. Per altro si narra della maledizione del nome Aroldo, nome legato alla morte con una freccia. La seconda invece riguarda la sua fuga dal campo per rifugiarsi in Cornovaglia dove morì nel 1080.
In tutto questo anche la sua sepoltura ha diatribe tra gli studiosi. Secondo alcuni non venne sepolto, Guglielmo si rifiutò di concedergli il rito. Secondo altri venne posto in una bara nell’Abbazia di Waltham o nell’Abbazia di Battle, quest’ultima sorta proprio sul campo di battaglia a Hastings.

La battaglia
La battaglia, come ogni scontro che si rispetti, inizia con lo schieramento. Fu una schermaglia con quantità di soldati omogenea per numero (8000 da entrambe le parti), ma eterogenea per qualità degli individui. Infatti la tattica dei due comandanti veniva a a costruirsi in diverso modo. Guglielmo, forte di 2000 cavalieri, cercò discoprire il nemico facendolo correre in campo aperto, in modo da tale da facilitare l’operazione dei suoi uomini a cavallo.

Schematizzazione della battaglia di Hastings

Le posizioni in campo
Aroldo II invece, privo di cavalleria, doveva fare affidamento su di una formazione salda e compatta, attorniata di forti scudi e difesa strenuamente dalla sua migliore fanteria, gli huskarli (15), che avrebbero spaccato l’avanzata nemica con i loro grandi scudi. Fu così che la mattina iniziò lo scontro.
Aroldo era posto su di una collina dove i suoi uomini stretti e chiusi negli scudi aspettavano il nemico. Guglielmo cominciò a tempestare il nemico con nugoli di frecce dei suoi arcieri, ma l’effetto fu inutile. O sorvolavano il nemico o si piantavano negli scudi enormi. Guglielmo allora mise in campo la cavalleria e la sua fanteria più veloce, corazzata leggermente. Anche qui la sortita offensiva fu quasi inutile. La collina ripida sfiancò sia gli uomini appiedati, sia i cavalli che cozzarono contro la linea preparata da Aroldo.
Un’unica nota positiva venne da un distaccamento di fanti di Aroldo che presi dall’euforia inseguirono i nemici, staccandosi dal resto del gruppo e sancendo di fatto la loro fine. In seguito, forse con un poco di ritardo, Aroldo fece contrattaccare i suoi che si lanciarono sulla sinistra dell’esercito di Guglielmo, dove i Bretoni erano posizionati, rendendoli privi di stabilità e facendoli separare leggermente dal centro dove il loro comandante portava lo stendardo papale.
Un’ulteriore voce che vedeva Guglielmo ucciso da una freccia, serpeggiò nelle file normanne che cominciarono a credere di aver già perso la battaglia. “Guardatemi bene, sono ancora vivo, e per grazia di Dio sarò vincitore”. Con queste parole lo stesso duca uscì da una mischia gridando e risollevando gli animi dei suoi uomini.
L’abilità tattica di Guglielmo, visto che i suoi uomini si stavano sfaldando sempre più, venne fuori nel momento migliore. Forti della loro posizione rialzata e delle file sempre compatte, gli anglosassoni mentalmente avendo la vittoria in pugno. Guglielmo fece una finta. Ordinò alla fanteria centrale di ritirarsi per permettere al resto della cavalleria di rifiatare ed essere ignorata per qualche momento. I sassoni inseguirono i fanti Bretoni che subito si fermarono per affrontarli. Era troppo tardi ormai. La posizione sopraelevata della collina era stata sgombrata e i cavalieri, approfittando dell’avventata decisione di inseguimento del nemico, si gettarono sulle prime linee dei fanti sassoni, falciandoli letteralmente.
Aroldo corse incontro agli uomini attaccati, ma era ormai troppo tardi. In quell’incursione Aroldo venne trafitto da una freccia e nonostante l’abilità degli huskarli, senza un comandante, in poco tempo i sassoni capitolarono. Tra le file di Guglielmo infine, quasi 2000 furono i soldati che raggiunsero al morte, mentre tra quelle di Aroldo, oltre allo stesso comandante, pochi furono quelli che riuscirono a fuggire al di là delle colline.
Quello che venne poi
Prima si era parlato delle svariate ipotesi sulla morte di Aroldo e sulla sua sepoltura. Quella che ha più riscontro, la morte conclusa dalla mano di soldati, ha un’ulteriore pensiero: Guglielmo, raggiunto il corpo morente di Aroldo, lo percosse più e più volte con la sua arma fino a renderlo irriconoscibile, sorte per altro dovuta ad ogni sconfitto sassone.
Quello che successe in seguito è storia: incoronazione di Guglielmo a re d’Inghilterra, intreccio quasi totale, almeno fino al 1453, con la Francia con cui si combatterono cruente e importanti battaglie tra cui quella dei cent’anni (16), e infine nascita della potenza dei Tudor (17) che nonostante la vittoria del 1453 dei francesi contro gli inglesi, continuò a far crescere l’ascesa di questo popolo che ha cambiato la faccia del mondo occidentale.
Un’ipotesi semplice, ovviamente solo illazionale, vede Aroldo vincere contro Guglielmo. Il quadro che ne verrebbe fuori sarebbe completamente differente: ovviamente nessuna di queste cose elencate non sarebbe successa (su tutte la guerra dei cent’anni) e la vittoria di Aroldo sarebbe stata valutata solo come una delle tante dei normanni sui sassoni.

Note
  1. in realtà, convenzionalmente è stato chiamato arazzo, ma in effetti è un ricamo su lana e lino. Confezionato tra il 1070 e il 1077 (anche se fonti estendono il periodo dal 1066 al 1082) ha delle diatribe riguardo all’a persona che lo ha permesso. Secondo alcuni non fu Oddone ha commissionarla, ma la regina Matilda delle Fiandre (infatti in alcuni testi il nome è “Arazzo della regina Matilda”), consorte di Guglielmo I.
  2. Odone di Conteville; Normandia 1036 – Palermo, febbraio 1097.
  3. Guglielmo il Conquistatore o Guglielmo il Bastardo, fu il primo re normanno d’Inghilterra; Falaise, 8 novembre 1028 – Rouen, 9 settembre 1087.
  4. Harold Godwineson fu l’ultimo dei re della stirpe sassone; 1022 – 1066.
  5. 25 dicembre 1066 – 9 settembre 1087, data della sua morte.
  6. non si sa molto su questo conte, se non che fu nipote di Riccardo senza paura, il primo ad ottenere il titolo di Duca di Normandia.
  7. anche di questo precettore di Guglielmo non si sanno né data di nascita ne luogo, ma probabilmente, oltre a ricoprire la carica di tutore del futuro re, era insignito anche del titolo di connestabile del ducato, ovvero colui che sovrintendeva, in epoca romano-bizantina e barbara, alle scuderie del palazzo reale.
  8. era il sinisalco del re, colui che si occupava della mensa e della casa della famiglia reale.
  9. oltre che arcivescovo di Rouen fu anche conte d’Evreux; morì nel 1037.
  10. non si sanno notizie attendibili su quest’uomo.
  11. detto anche Roberto il Magnifico; Normandia 1010 – Nicea, 3 luglio 1035.
  12. non molto si sa del padre di questo importante uomo di Inghilterra. Quello che affiora dai documenti è solo la morte di questo uomo. Il figlio lo accompagnò in esilio nel 1051 e probabilmente, un anno dopo, Godwin morì. Aroldo II quindi prese di diritto il titolo di conte di Wessex.
  13. Oxfordshire, 1002 – Westminster, 5 gennaio 1066.
  14. 1015 – 25 settembre 1066. Fu un importante condottiero conosciuto ai molti come Harald Hardrada. Dal 1047 al 1066 fu re di Norvegia e proprio nel suo ultimo anno di mandato cercò invano di invadere l’Inghilterra, morendo nella battaglia Stamford Bridge, colpito da una freccia alla gola, proprio contro il rivale al trono, Araldo II.
  15. questi abili condottieri, nati la maggior parte dall’addestramento di contadini, erano gli addetti alla difesa deli re scandinavi, la lor guardia del corpo. Si fecero una grande nomea soprattutto nelle guerre d’Inghilterra e di Norvegia, diventando di fatto la spina dorsale di molti eserciti regionali. La classica ascia danese e lo scudo torre erano le loro armi e nel loro nome risiedeva proprio la difesa. Infatti in norreno huskarl significa “uomo di casa”.
  16. 1337 – 1453
  17. fu una dinastia gallese che regnò in Inghilterra negli anni bui dopo la sconfitta contro i francesi dal 1485 a 1603.
tratto da www.antika.it

Taliesin, il Bardo
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Vecchio 14-10-2014, 19.34.41   #6
elisabeth
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In queste pagine di storia avete dato a questa giornata un momento importante da ricordare...per chi conosce questa storia e per chi non ne sa nulla......qualcosa di interessante da leggere..........Ma Voi siete Il Bardo.....e tacca a Voi ricordarci cosa successe in quegli anni conosciuti come bui......
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Vecchio 14-10-2014, 22.55.39   #7
Galgan
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Galgan è sulla buona strada
Dite bene, lady Elisabeth, in quegli anni conosciuti come bui, ma dei quali, il nostro buon Taliesin, riesce a valorizzare le luci, quelle stesse luci che l'attuale, arrogante umanità vorrebbe negare, relegare all'ingrato ruolo di inutile romanticismo.......Come se questo potesse, realmente essere inutile.....
Amo ogni aspetto della storia della Terra d'Albione, ma quello che mi ha maggiormente scosso è stato il narrare del Santo Sepolcro, e la successiva, genuina visione delle crociate, senza false propagande di sorta, nel bene o nel male.......Solo, semplicemente, quello che fu.
Lord Taliesin, vi dimostrate sempre di più, appunto, un Bardo, nel senso più nobile del termine.
Lady Elisabeth, possedete il Dono della Vista, è innegabile.
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Vecchio 15-10-2014, 11.14.58   #8
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Grazie Cavaliere Galgan...
Grazie Milady Elisabeth...
Diciamo, senza presunzione di sorta, che tutti e tre sappiano "vedere" oltre abbastanza bene...:)

Taliesin, il Bardo
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Vecchio 16-10-2014, 10.11.03   #9
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16 OTTOBRE 1793: MARIA ANTONIETTA, LA VEDOVA CAPETO.

Giovani Viandanti,
in verità questa Storia è stata scritta e riscritta, riadattata e reinterpretata, bistrattata e venerata, favoleggiata e romanzata, ma in quell'autunno di duecentoventuno anni fa, tra le nebbie e le foschie del mattino, nell'inverno del lupo che azzannava le porte di quel giorno nefasto, una Donna salì sul patibolo come novello caprone espiatorio. Probabilmente nella sua sfavillante vita commise molti errori e soprusi, ma ditemi miei Giovani Viandanti, alla luce di questo tempo nefasto e giustizialista, quanto giusta può essere una sentenza che decreta Morte?

Taliesin, il Bardo

Principessa Austriaca
Quando la sua vita cominciò, poco poteva far presagire un tale capovolgimento di fortuna. Maria Antonietta nacque nel 1755 all’apice della piramide sociale europea.

Nacque principessa ed arciduchessa, la quindicesima figlia di Maria Teresa, Imperatrice d’Austria, e la sua preferita. La casa reale degli Asburgo era la più antica casa regnante d’Europa, e la giovane principessa godette dell’ambiente rilassato del Palazzo di Schonbrünn e dell’indulgenza dei suoi tutori, dei genitori, di fratelli e sorelle.
Maria Teresa fu la famosa imperatrice austriaca che annoverava, tra le sue molte doti, l’abilità di sposare la sua numerosa prole in modo strategicamente conveniente per l’impero d’Austria. Che è proprio quanto accadde con Maria Antonietta. Per la sua graziosa figlia favorita, Maria Teresa combinò uno speciale matrimonio per cementare la nuova alleanza con la Francia che ella aveva concluso con Luigi XV. Pertanto, Maria Antonietta dovette lasciare l’Austria in cambio del più prestigioso trono in tutta Europa.
Regina di Francia

La vita di Maria Antonietta sembrava un sogno quando all’età di 15 anni sposò l’erede al trono di Francia, il Delfino. La Francia era allora la più potente nazione dell’Europa continentale, e il palazzo di Versailles il più opulento. La giovane principessa non avrebbe potuto sperare in un matrimonio più prestigioso, e la sua magnifica cerimonia matrimoniale nel 1770 non ebbe eguali in fatto di pompa reale.
Al confine, fu spogliata e rivestita con l’abbigliamento allora di moda alla corte francese. Quando fu presentata al re di Francia Luigi XV, questi la definì deliziosa e commentò con tutti sul suo grazioso aspetto ben proporzionato, di cui egli molto si compiaceva. Maria Antonietta divenne la Delfina, circondata da tutti gli agi della corte francese.
La sua vita d’incanto raggiunse l’apice quando il vecchio re morì e suo marito divenne Re Luigi XVI nel 1774. Maria Antonietta – non ancora ventenne – divenne Regina di Francia.
Matrimonio infelice e vita noiosa

Tuttavia, questa figlia della fortuna conduceva una vita matrimoniale infelice. Luigi era scialbo, goffo e certamente non quello che lei avrebbe desiderato. La devozione di lui per la caccia, per gli orologi e per la sua fucina, e la sua abitudine di alzarsi e coricarsi presto erano in contrasto con l’amore di lei per l’arte, la moda, la danza e la vita notturna di Francia. Viene alla mente il contrasto tra Carlo e Diana. Mentre il Re Luigi XV, i fratelli di suo marito, Provence e Artois, e altri a corte notarono subito la sua grazia e bellezza, il suo timido marito fu lento nel sostenere i suoi diritti matrimoniali. Da lontano, Luigi XVI, come gli altri, ammirava molto il fascino e il carattere di Maria Antonietta, e divenne in seguito un marito devoto, ma fu di poco conforto per lei durante i suoi primi anni in Francia.
Sospinta dalle lettere di sua madre, Maria Antonietta continuava a inseguire Luigi. Tuttavia, anche quando ella riuscì a raggiungere con lui una certa intimità, Luigi fu incapace di avere soddisfacenti erezioni, il che non fece che aumentare la frustrazione della sua sposa. Antonietta e Luigi non riuscivano ad avere rapporti sessuali e il loro matrimonio non potè essere consumato per sette anni. Fu necessario l’intervento del fratello maggiore della regina, l’imperatore Giuseppe d’Austria, in un incontro a quattr’occhi con Luigi nel 1777, per convincerlo della necessità di un’operazione. Nel frattempo, la giovane regina soffriva in silenzio le maligne insinuazioni di non essere capace di dare un erede al trono.
Oltre a sentirsi frustrata per i rapporti con suo marito, Maria Antonietta era infastidita dai doveri legati alla sua posizione. I giorni della giovane principessa e, successivamente, regina venivano trascorsi in eterni rituali di corte dettati da una rigorosa etichetta che risalivano ai giorni di Luigi XIV.
La giovane regina si stancò presto di doversi continuamente esibire in pubblico secondo i requisiti della sua posizione. Le mancava l’ambiente più rilassato e la libertà di Vienna. Il suo dispiacere e il suo sarcasmo, diretti alle zie e ai membri più anziani dell’alta nobiltà furono notati e diventarono oggetto di commento.
Un circolo di amici

Maria Antonietta tentò di sfuggire alle frustrazioni coniugali e alla noia della vita di corte. Con il passare del tempo, Maria Antonietta cominciò ad esercitare il suo potere di regina: trascorreva meno tempo a corte e si circondava di una dissoluta combriccola, guidata da Yolande de Polignac e Thérèse de Lamballe. Elargiva costosi doni e posizioni a questi amici e, nel farlo, ignorava i grandi casati della nobiltà francese.
Con i suoi giovani amici, Maria Antonietta si gettò in una vita di piacere e spensierata stravaganza. Ciò includeva balli in maschera a Parigi, gioco d’azzardo, spettacoli teatrali e passeggiate a tarda sera nel parco. Il suo circolo comprendeva il frivolo fratello più giovane del re, il Conte d’Artois, e piacenti giovani cortigiani come il Duca di Ligne, i Conti Dillon, Vaudreuil e Axel Fersen.
Le indiscrezioni della regina con il suo circolo di amici condusse a scandali come l’Affare della Collana di Diamanti, e a voci riguardanti i suoi rapporti con quel circolo ad inclusione di Axel Fersen.
Vita stravagante

La giovane regina, con la sua bionda bellezza e il suo stile, dettava moda in tutta la Francia e in Europa. La sua ritrattista Élisabeth Vigée-Lebrun elogiava il colore luminoso della sua carnagione, i suoi lunghi capelli biondi e la sua figura ben proporzionata e sviluppata. Tutti facevano commenti sul suo portamento. Il paggio Tilly disse che camminava meglio di qualsiasi altra donna e, se si offriva una poltrona ad una donna, a lei si doveva offrire un trono.
Alla regina piacevano stile e bellezza, ma la sua rinomanza nel campo della moda le costò cara. La regina spendeva in abbondanza per i propri vestiti ed ornamenti. Ogni anno eccedeva la somma destinata al suo abbigliamento, regolarmente pagata dal re. Gli eccessi dei suoi copricapo, delle piume e dei voluminosi vestiti furono oggetto di pubblico commento, di caricature e – di tanto in tanto – di ridicolo.
La regina spendeva altrettanto abbondantemente per i suoi già menzionati amici e per il proprio divertimento, compreso il suo ritiro al Petit Trianon. Questo era un piccolo palazzo vicino a Versailles, donato a Maria Antonietta da Luigi XVI. Là, la regina fece apportare grandi decorazioni d’interni e ordinò la costruzione di un teatro per i suoi spettacoli e del Tempio d’Amore nel parco.
Maria Antonietta fece inoltre costruire un tipico rustico viennese chiamato ‘hameau’ dove si divertiva a recitare la parte di una semplice mungitrice. Per maggior divertimento, furono prodotti vasi in porcellana di Sevres utilizzando come calchi gli abbondanti seni di Maria Antonietta (come si diceva fosse stato fatto per Elena di Troia). La fattoria fu provvista di pecore e capre profumate, ma la mungitura e altre incombenze venivano eseguite da servitori.
Rabbia nei confronti della regina

Mentre si avvicinava lo scoppio della Rivoluzione, l’invidia e l’odio nei confronti di Maria Antonietta erano generalmente diffusi. Molti a corte si erano sempre opposti all’alleanza con l’Austria, e si erano risentiti degli sforzi della regina di intercedere occasionalmente per cause austriache.
Il fratello del re, il Conte di Provenza, e suo cugino, il Duca d’Orleans, erano entrambi considerati più capaci di Luigi XVI. Entrambi erano gelosi del titolo regale di Luigi e del suo matrimonio con la bella Maria Antonietta.
Molti altri membri della nobiltà erano invidiosi nei confronti della regina e si sentirono insultati dal suo rifiuto dell’etichetta di corte, dalla sua preferenza per un piccolo circolo di amici e dalla preferenza a loro riservata. Pertanto, alcuni nobili insoddisfatti diventarono terreno fertile per la produzione d’infamie contro la regina. Costruirono e fecero circolare storielle scurrili sulla regina e sulla sua vita privata: alcune l’accusavano di prestarsi ad ogni sorta di atti sessuali con vari cortigiani e cortigiane (si metteva altresì in dubbio la paternità dei figli della coppia reale), e altre di inviare somme di denaro in Austria.
L’Affare della Collana di Diamanti

Intorno al 1784-85 abbondavano i racconti sulle stravaganze della regina, sulla sua dissolutezza e sui suoi vizi a sfondo sessuale. Fu a questo punto che l’Affare della Collana di Diamanti diventò un evento sensazionale che catturò l’attenzione dell’intera nazione.
L’affare mise insieme tre situazioni slegate tra loro, fondendole per mezzo della certezza ormai ampiamente diffusa della condotta immorale di Maria Antonietta. Per anni, una certa Madame de Lamotte – squattrinata discendente dell’antico nobile casato dei Valois – tramava per ottenere una posizione a corte. Nello stesso tempo, il Principe de Rohan – cardinale di Francia molto noto in società – soffriva per essere escluso da anni dal circolo personale di Maria Antonietta, e il gioielliere Boehmer era incapace di convincere Maria Antonietta ad acquistare una favolosa e costosissima collana di diamanti originariamente preparata per Madame du Barry, l’amante di Luigi XV.
La Lamotte, che era una donna attraente e prosperosa, catturò l’attenzione di entrambi gli uomini e riuscì a convincerli di essere l’amante (lesbica) di Maria Antonietta. La Lamotte persuase il Rohan del fatto che la regina voleva davvero la collana, il Rohan la ottenne dal Boehmer e la diede alla Lamotte dopo un incontro a tarda notte con una prostituta che aveva le sembianze di Maria Antonietta vicino al Tempio d’Amore, dove si diceva che la regina desse i suoi appuntamenti segreti.
Mentre la regina si preparava ad interpretare il suo ruolo nella commedia di Beaumarchais “Le Nozze di Figaro”, che era stata recentemente messa al bando, Boehmer l’avvicinò per ottenere il pagamento e solo allora si scoprì l’arcano. Quando vennero a conoscenza dei fatti che stavano alla base dell’affaire, entrambi il re e la regina si adirarono con il Rohan, perché questi aveva creduto che la regina arrivasse a ricorrere ad un intermediario per ottenere una collana.
Il processo della collana e il suo impatto

Il risentimento dei sovrani si rivelò disastroso. Il cardinale, il più alto prelato di Francia, fu arrestato il giorno della Festa dell’Assunzione nel bel mezzo della corte. In seguito, la regina pretese di essere vendicata pubblicamente e pertanto il re ottenne un processo davanti al Parlamento di Parigi.
Il processo fu un evento sensazionale per mesi, e i panni sporchi della monarchia vennero lavati davanti a tutta la Francia. Il “cast” incluse membri dell’alta nobiltà, ciarlatani, una prostituta che assomigliava alla regina e, soprattutto, la favolosa collana di diamanti e la regina stessa, che tuttavia non fu mai chiamata a testimoniare. Alla fine, la nobiltà sfidò l’intera nazione nell’Affare della Collana di Diamanti con l’assoluzione del Principe de Rohan dall’accusa di avere insultato la regina. A tutti gli effetti, secondo la sentenza del Parlamento dei Nobili, la regina era degna di tale insulto a causa della sua reputazione. Il Rohan poteva ragionevolmente credere che Maria Antonietta volesse usarlo come intermediario e alla fine prestare favori sessuali, in cambio di una collana di diamanti.
Quando fu annunciato il verdetto di non colpevolezza in un affollato teatro dell’opera di Parigi, si levò un enorme strepito e tutti i presenti si voltarono in direzione del palco reale. Maria Antonietta – in preda allo shock – se ne andò immediatamente alla sua carrozza, tra i fischi della folla.
Il tribunale condannò la Lamotte (che non godeva di influenze altolocate) ad essere marchiata sui seni ed imprigionata. Suo marito, tuttavia, era riuscito ad evadere dalla prigione e lei stessa fuggì in Inghilterra. Da lì, si vendicò inventando e facendo circolare storie secondo le quali lei era veramente stata l’amante lesbica della regina, la regina era insaziabile nei suoi desideri e aveva ricevuto la collana, e l’affaire era stato messo insieme per il suo divertimento. Per quanto la sua storia avesse del fantastico, ne circolarono migliaia di copie e venne ampiamente creduta. Così tanto che se la Lamotte non fosse morta nel 1793, sarebbe probabilmente stata testimone per l’accusa nel processo contro Maria Antonietta.
Madame Deficit e la crisi finanziaria

Per ironia della sorte, proprio quando scoppiò lo scandalo della Collana di Diamanti e la popolarità della regina sprofondò nell’abisso, il passare degli anni e la maturità attenuarono il suo stile di vita. Luigi e Antonietta riuscirono ad avere figli ed ella partorì quattro volte. Dedicava ormai poco tempo alla vita notturna di Parigi e ne trascorreva di più con la famiglia ed i figli. Sebbene ancora graziosa ed attraente, una volta arrivata ai trent’anni, Maria Antonietta cominciò ad apparire più robusta e ad orientarsi verso colori più scuri. La sua modista Madame Bertin iniziò a proporre una moda meno sfarzosa, pur tuttavia mettendo in evidenza gli ampi seni della regina. Nonostante quest’ultima continuasse a flirtare con gli uomini della corte e a trascorrere molto tempo con Axel Fersen, Luigi era sempre più devoto alla sua bella moglie, che egli adorava.
La vita personale di Maria Antonietta cominciava a diventare stabile, mentre lo stato in cui versava la Francia non lo era affatto. Negli anni precedenti la Rivoluzione, i raccolti furono pessimi e i meno abbienti ne soffrirono. La regina mostrava il suo buon cuore e cercava di aiutare i poveri del suo paese: partecipava a recite a scopo di beneficenza (anche la sera in cui il verdetto del processo della Collana fu annunciato), e utilizzava il suo “hameau” per aiutare alcune famiglie bisognose. Tuttavia, le sue piccole azioni non vennero affatto notate da chi soffriva. Ciò che si ricordava era che la regina giocava a fare la mungitrice e la pastora nel suo ben curato “hameau” del Trianon, mentre i veri contadini morivano di fame. Veniva considerata insensibile, il che fece credere a molti che avesse risposto “Che mangino le brioches”, quando le fu detto che il popolo non aveva pane.
Inoltre, la Francia sprofondava in enormi debiti ereditati da Luigi XV che Luigi XVI era stato incapace di saldare. Il debito del paese si era ormai trasformato in una crisi e l’ultima goccia fu il costoso aiuto prestato dalla Francia alle colonie americane, dal 1778 al 1783, impegnate in una guerra contro la Gran Bretagna per ottenerne l’indipendenza. Per cercare di ridare vigore alla popolarità della regina ed aumentare il sostegno a favore della monarchia, furono dipinti ed esibiti ritratti che mostravano la regina circondata dall’affetto dei suoi figli. Tuttavia, l’ovvio esercizio di propaganda reale ebbe risultati negativi in quanto i detrattori notarono i pomposi abiti della regina e soprannominarono “Madame Deficit” la protagonista dei ritratti.
Luigi XVI aveva quanto mai bisogno dell’appoggio della nobiltà in questo momento di impopolarità, che continuava ad aumentare sull’onda dell’Affare della Collana. Egli tentò di effettuare riforme necessarie attraverso una serie di ministri, cercando consiglio ogni volta da parte della sua regina, e infine chiamò un’assemblea di notabili per cercare ancora una volta di effettuare quelle riforme che dovevano rimediare alla crisi finanziaria. Luigi non era un sovrano energico e l’influenza di sua moglie suscitava risentimenti, il che non fece che indebolire la posizione della monarchia.
Gli Stati Generali – 1789

Luigi e Maria Antonietta furono colpiti da una tragedia nel 1789. Il loro primo figlio ed erede, il Delfino, colpito da una malattia ereditaria agonizzante ed invalidante, morì nel mese di giugno. Senza contare vari aborti spontanei, questo fu il secondo lutto a colpire i sovrani, in quanto la figlia più giovane era morta nel 1786. Durante questo nuovo dolore, la coppia doveva affrontare la crisi che ora minacciava la loro autorità e che avrebbe portato ulteriori tragedie nel seno di questa famiglia.
Incapace di obbligare la nobiltà ad effettuare le necessarie riforme finanziarie, il disperato monarca richiamò gli Stati Generali nel maggio del 1789. Era la prima volta in 175 anni che quest’organo di consultazione veniva richiamato. Tuttavia, era un evento unico perché dava rappresentanza alla gente comune, che poteva ora votare in qualità di uno dei tre Stati. Luigi lo fece per cercare di ottenere l’appoggio della borghesia (il Terzo Stato) per forzare le necessarie riforme.
I lavori degli Stati Generali non iniziarono sotto un buon auspicio, poiché le apparizioni della regina furono prima accolte con il silenzio e poi con grida di “Viva il Duca d’Orleans”, il corteggiatore che lei aveva disdegnato e che era ora un acerrimo nemico. Questa atmosfera di ribellione era un segno di ciò che doveva seguire. La gente comune era scontenta del limitato ruolo del Terzo Stato che Luigi immaginava. Il genio era ormai fuori dalla lampada. Il Terzo Stato si autodichiarò Assemblea Nazionale e con il Giuramento della Pallacorda stabilì che non si sarebbe sciolto, fino a che la Francia non avesse una costituzione.
Presa della Bastiglia

Luigi mancava della volontà di spegnere questa ribellione, ma fu ripetutamente spinto all’azione da Maria Antonietta. La regina desiderava ardentemente conservare la monarchia assoluta ed era risoluta nella sua opposizione a riforme che avrebbero dato maggiori poteri alla gente comune.
Tuttavia, il popolo non voleva la soppressione del Terzo Stato, in previsione dei successi che si sarebbero ottenuti. A luglio, la folla assediò il palazzo degli Invalidi e ottenne rifornimento di armi da fuoco. La mossa seguente era quella di ottenere la polvere da sparo cosicché si sarebbe potuto difendere l’Assemblea in caso di bisogno. Si raggiunse questo scopo quando la folla attaccò un grande simbolo della monarchia assoluta, l’antica e famosa prigione-fortezza della Bastiglia, che sovrastava il centro di Parigi.
Luigi mancò di risolutezza e la folla riuscì a prendere la Bastiglia. Il governatore della fortezza, che tentò di resistere minacciando di far saltare la polvere da sparo, fu ucciso dalla folla e la sua testa venne portata per la città su di una picca. Il popolo aveva ormai armi e munizioni. L’illegalità era prevalsa e nessuna azione era stata intrapresa dal re a titolo di risposta. Luigi si recò a Parigi per riportare la calma, ma nulla si fece contro coloro che avevano attaccato la Bastiglia.
La Grande Paura

La presa della Bastiglia turbò molto un certo numero di nobili che conoscevano il grado di povertà del popolo e temevano vendette, se il potere reale si fosse dimostrato inadeguato a controllare gli impulsi della folla. Membri di spicco della corte, tra i quali amici intimi di Maria Antonietta lasciarono il paese. Tra luglio e agosto se ne andarono il Conte d’Artois e Madame de Polignac e, in ottobre, la sua amica e ritrattista Madame Vigée-Lebrun.
Il palazzo reale di Versailles si trovava ad appena 20 miglia dal calderone ribollente di Parigi. Anche Maria Antonietta temeva la folla di Parigi e consigliò al re di riparare altrove in modo che egli potesse spegnere la ribellione da lontano, ma Luigi non volle lasciare Versailles.
La regina riuscì a persuadere Luigi ad aumentare il numero delle truppe dalle province, che si sperava sarebbero state fedeli alla Corona. Le azioni di Maria Antonietta non passarono inosservate. Il suo portamento fiero e quella che veniva percepita come la sua arroganza la resero il primo obiettivo di denigrazione da parte dei rivoluzionari. Nonostante gli sforzi di Maria Antonietta, il re fu riluttante a confrontare l’Assemblea dopo che nuove truppe furono richiamate perché Luigi non voleva aprire il fuoco contro il suo popolo. Durante l’estate, in un periodo che venne chiamato “la Grande Paura”, i contadini si rivoltarono in tutto il paese per paura che il re venisse spinto dalla regina e dal suo “comitato austriaco” a soffocare la rivoluzione. In agosto, fu pubblicata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo con la quale si rinunciava ai titoli nobiliari, e il popolo affermava la propria posizione reclamando pari diritti contro una riaffermazione della monarchia assoluta.
La marcia delle donne

Il 1° ottobre 1789, fu tenuto a Versailles un grande banchetto in onore delle guardie reali nel quale il vessillo reale e quello austriaco vennero applauditi, si brindò al re e alla regina quando apparirono e la coccarda tricolore del popolo francese venne calpestata. Storie sul banchetto e su “orge” cominciarono a circolare nei bassifondi di Parigi, in cui incombeva nuovamente la mancanza di pane.
I parigini ne ebbero abbastanza ed il 4 ottobre si riunì una gran folla per chiedere pane al re. Il giorno seguente, una folla composta principalmente di donne parigine marciò sotto la pioggia fino a Versailles per porre termine alle orge e domandare pane. Molte impugnavano coltelli e giuravano di usarli per “tagliare il bel collo dell’Austriaca” che era la fonte di tutti i loro problemi. “Sarei contenta di infilare questa lama fino al gomito nel suo ventre.” Altre promettevano di tagliare vari “pezzi di Antonietta”.
Raggiunta Versailles, esse incontrarono l’Assemblea ed ebbero una breve udienza con il re. Ancora una volta, la regina aveva desiderato di fuggire mentre esse avanzavano, ma Luigi non volle né partire né aprire il fuoco contro le donne. Quella notte, la marmaglia (forse con l’aiuto di agenti del Duca d’Orleans) trovò un’entrata priva di guardie e si diresse fino agli appartamenti della regina, che stava dormendo. Mentre gli assalitori imprecavano e dicevano di voler “uccidere la puttana austriaca “, le due guardie della regina diedero la vita per salvarla. Madame Campan ed altre dame raccolsero in fretta biancheria e vestiti, e Maria Antonietta corse via dalla sua camera da letto letteralmente “mezza nuda” (secondo alcune versioni) riuscendo di poco ad eludere l’attacco. Il letto della regina fu fatto a brandelli.
Il trasferimento alle Tuileries

La regina si era salvata, ma la folla non era soddisfatta. Più tardi si chiese che il re e la regina apparissero al balcone e poi che i sovrani seguissero i dimostranti a Parigi. E così, Luigi e Maria Antonietta lasciarono Versailles per essere installati nel polveroso palazzo disabitato delle Tuileries a Parigi. Maria Antonietta non avrebbe più rivisto il suo amato Petit Trianon. Da allora in poi, il re e la regina sarebbero rimasti sotto il controllo dei comuni cittadini di Parigi e sarebbero stati vulnerabili ad attacchi da parte loro. I sovrani sapevano bene che il trasferimento a Parigi non era stata una loro scelta, e che non avevano il potere di annullare il volere della folla.
Nel 1790 e 1791, la rivoluzione sembrava essersi stabilizzata. Tuttavia, si cominciavano a spargere i semi della futura discordia e di una più violenta rivoluzione. L’Assemblea, ormai imbaldanzita, concesse ampi diritti al popolo, a spese della nobiltà e del clero. Si conferì valore legale a molte delle riforme, nonostante il veto del re. Luigi era particolarmente contrario al voto civile che veniva ora richiesto al clero cattolico romano.
Fuga di Varennes

Molti nobili avevano lasciato la Francia e Maria Antonietta temeva per la sua salvezza ed autorità reale. Ella cospirò con quegli émigrés e cercò aiuto da parte di altri sovrani europei, tra cui l’imperatore d’Austria suo fratello. Dopo la morte del leader moderato Conte di Mirabeau nel 1791, ed ulteriori azioni da parte dell’Assemblea che violavano l’autorità del clero cattolico romano, Antonietta persuase il riluttante Luigi a lasciare la Francia.
L’amico e supposto amante della regina Axel Fersen organizzò di tasca propria la carrozza necessaria, i falsi documenti di identità e i piani di fuga. La coppia reale fuggì da Parigi con i figli, tutti travestiti da comuni viaggiatori. Il re e la regina avevano insistito sulla necessità di viaggiare con tutti i comforts, e pertanto la loro carrozza si muoveva lenta e pesante. Cambi di cavalli si resero necessari e ciò attirò l’attenzione.
Durante un cambio, un attento patriota notò una donna attraente ma familiare che dava ordini nonostante fosse vestita da cameriera. Gli sembrò di riconoscere la regina e, da una moneta d’oro datagli come mancia, riconobbe il re. Jacques Drouet, questo il nome del patriota, si precipitò verso la piccola cittadina di Varennes e, una volta raggiuntala, avvertì la popolazione affinché si fermassero il re e la regina al loro arrivo. Questi avevano viaggiato per 200 miglia ed erano quasi vicino al confine franco-austriaco dove leali truppe erano pronte a portarli in salvo. Ma l’operazione non si potè condurre a compimento. Il re e la regina subirono l’umiliazione di essere riportati a Parigi con la forza, su strade polverose, nel corso dei successivi quattro giorni. Da ogni parte giungevano francesi che volevano vedere i famosi prigionieri e, in qualche occasione, assaltarli. Alcuni membri dell’Assemblea arrivarono in seguito e presero posto con loro nella carrozza già strapiena.
Quando arrivarono a Parigi, essi furono accolti dal più assoluto silenzio. Tutti gli uomini tennero il loro cappello in testa e al re non venne offerto alcun saluto o altro segno di deferenza. Gli stanchi viaggiatori erano coperti di polvere e di sudore. Mentre Madame Campan preparava il bagno per Maria Antonietta, la regina si tolse il cappello e il velo ed entrambe notarono che i suoi capelli biondi erano diventati completamente bianchi per la paura e i tormenti del viaggio.
Caduta della monarchia

Dopo la disastrosa fuga di Varennes, Maria Antonietta lavorò in un primo tempo con il monarchico costituzionale Barnave per cercare di restaurare il prestigio reale. Tuttavia, l’odio per la regina era ormai salito a nuovi livelli.
Maria Antonietta cominciò di nuovo a cercare aiuto dall’estero per un intervento in Francia che restaurasse l’autorità reale. L’Austria e la Prussia minacciarono la Francia da parte della famiglia reale e la Francia dichiarò guerra a quelle potenze nell’aprile 1792, ancora una volta nonostante il veto del re. A giugno, il palazzo delle Tuileries fu invaso e saccheggiato dalla folla, al re e alla regina furono inflitti ridicolo ed umiliazione ma non venne fatto loro altro male. Nello stesso momento, si cercavano volontari al grido di “la patria in pericolo ” e i Francesi furono chiamati a respingere gli invasori.
Nel luglio 1792, quando l’esercito prussiano invase la Francia, il Duca di Brunswick minacciò il popolo di Parigi che se fosse stato fatto del male alla persona del re o della regina, gli invasori avrebbero cercato vendetta sulla Francia. La proclamazione fu resa pubblica e fece grande sensazione nel paese.
Il 10 agosto 1792, il palazzo delle Tuileries fu preso d’assalto dal popolaccio, e il re e la regina si rifugiarono presso l’Assemblea. La famiglia reale fu installata in una piccola tribuna per la stampa, nel caldo soffocante e sotto le occhiate e i commenti della folla. In quella gabbia, sentirono i resoconti sulla caduta delle Tuileries e sul massacro di 900 guardie svizzere che erano rimaste per difenderli. Videro i tesori delle Tuileries ammassati sui banchi degli oratori, tra i quali vi erano carte, gioielli, e oggetti preziosi appartenenti alla famiglia reale. Ascoltarono i dibattiti e le votazioni con le quali si sospese e si pose fine alla monarchia. Fu dichiarata la Repubblica e la famiglia reale fu imprigionata nella fortezza del Tempio.
Il regno del Terrore

Altri aristocratici furono imprigionati nello stesso periodo. Quando le fortune dell’esercito francese sul campo comiciarono a vacillare, si levarono grida che incitavano ad uccidere i traditori all’interno del paese. Centinaia di aristocratici furono massacrati nelle prigioni nel settembre 1792. La vittima più famosa fu Madame de Lamballe, amica intima di Maria Antonietta che era ritornata a Parigi per assisterla in tempo di pericolo. La Lamballe fu portata dinanzi ad un tribunale e quando rifiutò di giurare contro la regina, fu fatta a pezzi dalla folla. La sua testa, i seni e gli organi genitali tagliati e montati su picche furono portati in processione fin davanti alla finestra della regina al Tempio. Il regno del Terrore era cominciato.
La famiglia reale si trovava ora sotto stretta sorveglianza e, privata delle raffinatezze e dei servitori, era obbligata a vivere semplicemente, confinata nella fortezza del Tempio. Ma la loro pace non era destinata a durare.
Nel dicembre 1792, Re Luigi XVI fu portato davanti alla Convenzione Nazionale e processato per tradimento. Fu giudicato colpevole e, con voto segreto, condannato a morte. Nel gennaio 1793, Luigi XVI fu giustiziato dalla ghigliottina. Nei due anni che seguirono, migliaia di altri vennero processati davanti al Tribunale Rivoluzionario e allo stesso modo giustiziati dalla ghigliottina.
Il destino della Regina

Dopo la morte del marito, il figlio di Maria Antonietta fu strappato con la forza alle cure materne nel luglio 1793. La povera donna implorò che fosse concesso a suo figlio di restare ma non riuscì a cambiare la volontà dei ministri. Il ragazzino fu affidato alle cure del ciabattino Simon e morì di stenti nel giro di due anni.
Nel settembre 1793, Maria Antonietta fu separata dalla figlia e dalla cognata. Ora chiamata “la vedova Capeto”, Maria Antonietta fu trasferita all’umida prigione delle Conciergerie, nella quale visse per mesi di solitario confino sotto la sorveglianza totale dei rivoluzionari, che ora controllavano ogni sua mossa. La prigione delle Conciergerie era l’anticamera della morte. In questa malsana prigione, ella perse molto peso e la sua vista cominciò a diminuire, ma non le restava molto da vivere.
Il 14 ottobre, la povera pallida donna fu svegliata in piena notte e portata al Tribunale Rivoluzionario. Il processo fu un orrore e la regina fu attaccata più come persona che come sovrana. Si obbligò perfino il suo bambino a testimoniare di abusi sessuali a cui lei lo avrebbe sottomesso. Davanti a quell’accusa, la regina – che aveva risposto coraggiosamente a tutto – disse: “Se non rispondo è perché non è possibile. Faccio appello a tutte le madri in questa sala.”
Nonostante la sua eloquenza, il verdetto non fu mai messo in discussione. Come il re, anche Maria Antonietta fu giudicata colpevole.
Quando andò incontro alla morte il 16 ottobre 1793, molti trasalirono … Maria Antonietta aveva soltanto 38 anni, ma la folla vide (come l’artista David si affrettò a disegnare) una vecchia in abiti contadini, grigia e spettinata, un contrasto impressionante con l’elegante e voluttuosa Regina del Trianon, la figlia della fortuna che era stata fino a solo 4 anni prima. I capelli di Maria Antonietta erano stati tagliati rozzamente e, con le mani legate dietro la schiena, fu trasportata su di una carretta tra i fischi e gli insulti della folla. Tuttavia, la povera donna rimase seduta in posizione eretta e cercò di conservare la sua dignità. Fino alla fine, Maria Antonietta mostrò un portamento e un coraggio da regina, nonostante le avversità.
Dopo l’ultima sofferenza, il corpo di Maria Antonietta fu spinto sulla tavola della ghigliottina, la sua testa venne sistemata nella morsa e a mezzogiorno in punto la lama fu lasciata cadere tra l’entusiasmo generale. Secondo le parole di un organo di stampa rivoluzionario, “Mai Père Duchesne aveva assistito a così tanta gioia come quando la testa di quella puttana fu separata dal suo collo di gru”. Sanson alzò la testa sanguinante in modo che tutti la vedessero. In seguito, la testa fu gettata sulla carretta tra le gambe del corpo senza vita. Il cadavere di Maria Antonietta fu lasciato sull’erba prima di essere gettato in una fossa comune. Così terminò la vita di colei che era stata un tempo la donna più illustre e affascinante d’Europa.

Taliesin, il Bardo

tratto da: www.marieantoinette.org
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Ultima modifica di Taliesin : 16-10-2014 alle ore 10.45.15.
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Vecchio 16-10-2014, 18.54.08   #10
Galgan
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Galgan è sulla buona strada
Lord Taliesin, sottoscrivo quanto avete enunciato in tutto e per tutto; la regina Maria Antonietta, è un chiaro esempio di come sia spietato e nefasto quell'animale rabbioso che viene definito "Furia Popolare", spietato e nefasto perchè, magari nelle rivendicazioni che possono essere più che giuste, mette soltanto un odio cieco che spesso, come in questo caso, colpisce chi, suo malgrado, deve fungere da capro espiatorio.
Sono passati anni, troppi anni da allora, eppure ancora oggi sono ben poche le voci che si elevano alla difesa di quello che fu, nella sua pura verità; voi siete una di quelle voci, buon Bardo.....Ma in effetti, un bardo non si può fermare, ne comprare, no?
__________________
".....la purezza non si ottiene senza sforzo."
Yamamoto Tsunetomo, Hagakure
"Il cavaliere è l'uomo che percorre il tremendo cammino del sacrificio, per un bene superiore."
Plinio Correa de Oliviera
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Saggio Due in una carne, chiesa e sessualità nella storia llamrei Libri 1 23-03-2009 15.29.12


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