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Vecchio 09-08-2013, 15.32.20   #151
Taliesin
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LAURA LANZA: LA BARONESSA DI CARINI.

"Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati."



Don Cesare Lanza conte di Mussomeli


Con questo memoriale, presentato al Re di Spagna Filippo II, don Cesare Lanza si giustificò dall’accusa di omicidio della figlia Laura e dell’amante Ludovico Vernegallo, adducendo a suo favore la formula, riconosciuta dal diritto dell’epoca, del delitto d’onore, quell’onore macchiato dall’adulterio perpretato dalla figlia già sposa al Barone di Carini.
Di questo delitto restano come uniche notizie l’atto di morte registrato presso la Chiesa Madre di Carini recante la data del 4 dicembre 1563 e poche altre notizie riportate omettendo i nomi degli interessati, una ballata popolare che racconta la leggenda e un fantasma, quello di Laura, che si aggirerebbe alla ricerca di una risposta che forse nessuno ormai sa.

Siamo nella Sicilia del 1500, don Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli è un uomo potente, dal carattere duro e violento, vicino al viceré Ferrante Gonzaga e all' imperatore Carlo V. Ma questi stretti rapporto non gli serviranno a molto quando, per una questione di confini territoriali, fa uccidere un magistrato di Termini Imerese. Accusato del delitto, il Vicerè non può far altro che incriminarlo e disporre la confisca dei beni del conte.
Per sfuggire all’arresto il Lanza scappa a Bruxelles, alla corte di Carlo V a cui si affianca nella guerra di Germania e nella spedizione di Algeri.
Conclusa questa avventura don Cesare fa ritorno a Palermo grazie all’assoluzione datagli dal monarca con questo rescritto:

Sia il Maestro Portulano Don Cesare Lanza, nostro diletto, perdonato e assolto, reintegrato nelle cariche nel possesso dei beni


Qui Cesare Lanza si sposerà con una ricca vedova, Lucrezia Gaetani da cui avrà due figlie: Laura e Costanza.
Appena 14 enne, la giovane
Laura fu data in sposa a Vincenzo La Grua - Talamanca, signore e barone di Carini, discendente di un’antica famiglia Pisana approdata in Sicilia intorno al 1300.
Ma la piccola Laura mal può adattarsi alla vita coniugale con un barone molto più vecchio di lei, interessato soltanto alla caccia e alla cura dei suoi interessi economici. Così la giovane sposa, abituata agli sfarzi della Palermo nobile e lasciata quasi sempre sola nel castello di Carini, ritorna spesso nel capoluogo siciliano.

Qui la Baronessa di Carini incontra il giovane Ludovico Vernagallo, la cui famiglia si trova a frequentare quella dei la Grua per motivi sia economici che familiari (lo zio di Ludovico sposò infatti una La Grua).
Inevitabilmente tra i due giovani nasce qualcosa, ma quel qualcosa condannerà la vita dei due giovani.


Ben presto lo stretto rapporto tra Ludovico e Laura si fa più vivo, i due giovani iniziano a frequentarsi anche al di fuori delle feste palermitane e le visite di Ludovico, aiutate dalla presenza di un feudo dei Vernegallo non distante dalla dimora dei La Grua, al Castello di Carini si fanno sempre più frequenti.
Che i due siano realmente amanti, che da questa avventura amorosa siano nati dei figli, o che tra i due ci fosse soltanto una profonda amicizia non è chiaro. Ciò che è chiaro è quello che avvenne successivamente. Il Vicerè di Sicilia infatti in alcuni documenti rende noto alla Corte di Spagna che il Conte Cesare Lanza aveva ucciso la figlia Laura e il giovane Vernegallo. Un’altra versione vuole la giovane Laura uccisa e il Vernegallo fuggito nottetempo dalla Sicilia in abiti monacali e successivamente morto di vecchiaia.


La leggenda racconta che la notte del 4 dicembre del 1563, complice un monaco che avvisò della presenza di Ludovico nel castello, il padre della ragazza, accompagnato da un seguito di cavalieri per impedire qualsiasi via di fuga agli adulteri, fece irruzione nel castello e trovando i due amanti a letto li uccise.
Più tardi sopraffatto dal rimorso don Cesare si rifugiò nel castello di Mussumeli., mentre il Barone di Carini trovò consolazione convolando a nozze con una nobile spagnola.

La stanza in cui avvenne l’assassinio è situata nell’ala ovest del castello, ormai quasi del tutto crollata. La leggenda vuole che su una parete di quella stanza fosse rimasta l’impronta della mano insanguinata della giovane baronessa. Quella stessa impronta pare appaia ogni anno la notte del 4 dicembre a ricordo dell’evento , mentre il fantasma senza pace di Laura vaga nel castello.
Altre storie raccontano che il fantasma di Laura appaia tutt’oggi nel castello di Mussumeli, alla ricerca di quel padre che lì si nascose dopo l’omicidio.
Secondo gli abitanti del paese donna Laura apparirebbe in tutti il suo splendore in un abito del 500 dalla gonna di seta ampia e un corpetto sul quale avvolge uno scialle, vagando per le stanze del castello o mentre si reca verso la Cappella dove, una volta giunta, si inginocchia e prega. Forse nella speranza di comprendere ciò che spinse sua padre a quell’orribile gesto.


tratto da: Mysteria

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Vecchio 21-08-2013, 09.07.32   #152
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MONNA TESSA: DI MADONNA POVERTATE VESTITA.

Monna Tessa fu la prima donna infermiera, fondatrice dell’Ordine delle Oblate nell’anno 1288.


Il titolo di Monna nel 1200 equivaleva a Madonna ed era attribuito a donne maritate di un certo lignaggio.
Sappiamo invece che Monna Tessa nacque da famiglia povera ed umile; non si conosce la sua data di nascita. La morte avvenne il 3 Luglio del 1327.

Monna Tessa fu moglie di Ture, un sellaio e fu una Fantesca o Serva presso la ricca famiglia di Folco Portinari. Fu l’educatrice delle figlie di Folco Portinari, in particolare di Beatrice, la donna angelicata di Dante Alighieri.
Questa famiglia divenne la sua seconda famiglia.

Folco, da magnate e fiero Ghibellino, abbracciò l’idea dell’assistenza dei malati propostagli da Monna Tessa e con le sue sostanze fu il promotore del progetto della fondazione dell’Ospedale di Santa Maria Nuova che fu costruito negli anni dal 1285 al 1288. Nel 1281 il Cardinale Latino, inviato a Firenze dal Papa Niccolò III°con il compito di riportare la pace fra Guelfi e Ghibellini, acquistò dai Fratelli Lippi e Ture di Benincasa alcuni appezzamenti di terreno fuori dal secondo cerchio di mura della città di Firenze, detto Santa Maria in Campo.Era l’inizio dell’ospedale. Il Vescovo di Firenze Andrea dé Mozzi, il 15 gennaio 1287 benedì la prima pietra della fondazione.

Come risulta da una Bolla del 20 Marzo 1287 emanata dal Papa Onorio IV, lo spazio per la costruzione fu aumentato e in seguito lo stesso Papa proponeva ai Frati Saccati di Sant’Egidio, confinanti coi possedimenti di Folco, di cedere a questo un appezzamento di terreno precedentemente richiesto dal Portinari per portare a compimento la costruzione dell’Ospedale.

In seguito alla donazione dei frati venne a crearsi e svilupparsi la fondazione delle Oblate Ospitaliere che fu riconosciuta ufficialmente il 23 Giugno 1288. Nella creazione dell’opera, Folco era stato aiutato da vari collaboratori tra i quali il notar Ser Grazia, (figlio di Arrigo di Grazia). Si prese poi la decisione di presentare il progetto al suddetto vescovo fiorentino. In quella circostanza Folco Portinari definì l’approvazione del suo Ospedale e lo presentò per un’ultima analisi al vescovo fiorentino, Andrea dè Mozzi. Egli riconobbe e diede l’“imprimatur ecclesiastico” a tutto il complesso dell’Ospedale. A Monna Tessa, della famiglia Portinari, venne concessa l’autorità di dedicarsi completamente al nuovo Ospedale.
I malati ricoverati in principio furono sei, poi dodici …. L’idea assistenziale di Monna Tessa era ispirato dalla regola di San Francesco d’Assisi.

Alle prime donne sue collaboratrici riuscì ad infondere uno spirito cristiano, senza l’ obbligo di un vincolo monacale.. Nel 1301 Tessa volle che la regola fosse scritta. Nel bassorilievo marmoreo della pietra tombale, che oggi si trova nell’ingresso dell’ospedale di Santa Maria Nuova, la Fondatrice delle Oblate é rappresentata in piedi; dal braccio sinistro scende il cordoncino del terz’ordine francescano. L’abito è“di panno bigio romagnolo”. Tra le mani si vede il libro della Regola.

Le prime “compagne” di Tessa, sue prime collaboratrici furono ricche e nobili donne fiorentine: alcuni nomi sono Margherita dei Caposacchi, che era parente del Portinari, Madonna Tancia, Giovanna Dé Cresci e Antonia Dé Bisdomini… queste pie donne formarono il primo nucleo delle Oblate dell’era eroica del nascente istituto.

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Vecchio 11-09-2013, 12.23.42   #153
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LA SIGNORA DEI TEMPORALI: FLORA DI BEAULIEU

Nacque a Maurs (Cantal) verso il 1300; i suoi genitori, Pons e Melhor, ebbero tre figli e sette figlie, di cui quattro si dovevano fare religiose a Beaulieu. Flora non contava che quattordici anni quando entrò presso le religiose dell’ospedale di Beaulieu, fondato per i pellegrini verso il 1240 da Guiberto de Thémines e da sua moglie Aigline sulla strada da Figeac a Rocamadour, presso St-Julien d’Issendolus (Lot), dove dal 1298 si seguiva la regola degli Ospitalieri di s. Giovanni di Gerusalemme.

Nel suo convento Flora fu sottoposta a grandi prove interiori. Ella, che aveva lasciato il mondo per fare penitenza, temeva di dannarsi restando in questa casa dove non le mancava niente. Ma un religioso la rassicurò dicendole che questa abbondanza sarebbe stata per lei un’occasione di grandi meriti se per amor di Dio si fosse astenuta dal superfluo. Subì anche molte tentazioni contro la castità – il demonio le ricordava le parole di Dio: “Crescete e moltiplicatevi” – e ne fu così turbata da essere considerata folle dalle sue consorelle.

Tante difficoltà furono ricompensate da favori mistici; per tre mesi il Signore le apparve sotto la fugura di un angelo che era dipinto sotto il chiostro del convento e le fece comprendere che le sofferenze che sopportava l’associavano alla sua passione. In una festa d’Ognissanti, mentre si cantava “Vidi turbam magnam” ebbe la visione dei santi in Paradiso.

Si confessava e assisteva alla Messa ogni giorno, ma, secondo l’uso del tempo, non si comunicava che la domenica e nei giorni di festa. Meditava diligentemente la pasione di Cristo, aiutandosi con l’Ordine della Croce di s. Bonaventura, cioè, probabilmente, l’Officium de Passione Domini composto da questo santo. Mostrava una devozione particolare per la Vergine Maria nel mistero dell’Annunciazione, per s. Giovanni Battista patrono del suo Ordine, per s. Pietro e s. Francesco.

Flora morì nel 1347. Numerosi miracoli ebbero luogo sulla tomba, ciò che indusse l’abate di Figeac a procedere all’elevazione del corpo l’11 giugno 1360. Un secolo più tardi un autore anonimo compose una raccolta di centonove racconti di prodigi o miracoli attribuiti alla sua intercessione; questi miracoli, che avvennero nell’Alvernia, nel Limosino, nel Rouergue, nel Périgord, nella Guascogna e a Montpellier, attestano l’estensione del suo culto.

Tuttavia solo nel sec. XVIII la festa di Flora, fissata al 5 ottobre, entrò nel Proprio della diocesi di Cahors. Nell’Ovest della Francia è invocata durante i temporali insieme con s. Barbara e s. Chiara.

La Vita di s. Flora fu scritta il latino dal suo confessore; il testo si è perduto, ma se ne è conservata una traduzione nel dialetto di Quercy fatta alla fine del sec. XV dall’autore anonimo che redasse la raccolta dei suoi miracoli.


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tratto da www.santiebeati.it autore: Philippe Rouillard
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Vecchio 11-09-2013, 12.35.08   #154
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LA REGINA DEI PELLEGRINAGGI: BONA DA PISA.

Il Codice C 181 depositato presso l'Archivio Capitolare del Duomo di Pisa che raccoglie una prima biografia scritta dal monaco pulsanese Paolo, morto nel 1230, quando era ancora in vita la santa pisana ci informa che Bona nacque a Pisa verso il 1155/1156 nella parrocchia di San Martino di Guazzolongo nel quartiere di Kinzica.

Mamma Berta era di origine corsa e dopo essersi stabilita a Pisa conobbe un mercante, Bernardo. Bona fu l'unico frutto di quel matrimonio: Bernardo si imbarcò quando Bona aveva solo tre anni e non fece più ritorno, lasciando così Berta in grandissime difficoltà economiche in quanto straniera e unica responsabile della famiglia.

All'età di sette anni ebbe un primo incontro con Gesù e grazie a padre Giovanni dell'Ordine dei Canonici Regolari di San Agostino entrò in convento. Bona scelse di martoriare il suo corpo con prove sempre più dure e giunse ad indossare il cilicio dopo una nuova visione di Gesù. All'età di dieci anni ebbe una nuova visione che la segnerà per la vita: insieme con Gesù e Maria incontra San Giacomo.

Preparata da padre Giovanni, all'età di dieci anni si presenta al Priore che la consacrerà al Signore. Dopo tre anni di raccoglimento ed aspre penitenze (durante le quali continua a punire il suo corpo), nel 1170, a seguito di una nuova visione di Gesù, parte per Gerusalemme, dove il Signore le rivela che vive Bernardo. Avvertita ancora da Gesù sfugge al suo tentativo di impedirle di scendere dalla nave e si rifugia da un eremita di nome Ubaldo, che diventa il suo padre spirituale.

Nel tentativo di ritornare a Pisa con alcune sue compagne di viaggio viene ferita al costato e catturata dai saraceni. Riscattata da alcuni mercanti pisani, ripara finalmente verso il 1175 nella sua stanzetta di San Martino.
Qui avviene una nuova visione: con Gesù si presenta San Giacomo che la invita ad unirsi a dei pellegrini in viaggio per Santiago de Compostela. Il pellegrinaggio era un'autentica avventura che durava circa nove mesi, i pellegrini sapevano di rischiare anche la morte: ragione per la quale era prassi normale stendere il testamento. Bona, così esile e continuamente sottoposta a prove fisiche che lei stessa si procurava, non esita, partecipa a quel primo pellegrinaggio, al quale seguiranno molti altri.

Il suo compito è di sorreggere nelle difficoltà, incoraggiare nei momenti più difficili, prestare soccorso sanitario ed invitare tutti i pellegrini alla preghiera e alla penitenza. Raggiungerà ben nove volte Santiago ed altrettante volte ritornerà a Pisa! Ma guidò anche i pellegrini a Roma e raggiunse anche San Michele Arcangelo sul Monte Gargano.

All'età di 48 anni è costretta ad interrompere i pellegrinaggi e il 29 maggio 1207 raggiungerà il suo Sposo in cielo. Ora riposa nella Chiesa di San Martino a Pisa. Il 2 marzo 1962, Giovanni XXIII la dichiarò ufficialmente patrona delle hostesses di Italia.

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tratto da: www.santiebeati.it autore:Massimo Salani
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Vecchio 11-09-2013, 12.45.28   #155
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UNA VITA OLTRE LE MURA: ELOISA DI MEULAN.

Appartenente ad una nobile famiglia francese, Eloisa fu moglie del conte Ugo di Meulan, detto "Testa d'orsa", del quale però rimase ben presto vedova. Donna religiosissima e di grande pietà, donò una considerevole parte dei beni ereditati dal marito all'abbazia benedettina di Notre-Dame di Coulombs (presso Nogent-le-Roi, nella diocesi di Chartres), il cui abate Berengario ricevette da lei nel 1033 le due chiese parrocchiali di Lainville e di Montreuil-sur-Epte, con le relative rendite e metà delle terre annesse, come risulta dall'atto di cessione, confermato in quello stesso anno dal conte Galerano di Meulan, il quale aveva in feudo quelle chiese.

Perduto anche il secondo marito, Eloisa decise di rinunciare al mondo per sempre, ritirandosi a condurre vita religiosa nella stessa abbazia di Coulombs, a cui donò ancora, senza tener conto dei nipoti, figli del fratello Erluino, le terre e la chiesa di Anthieux, nella diocesi di Evreux, il cui possesso da parte dei monaci venne confermato da Guglielmo, duca di Normandia, solo nel 1066, allorché i beni furono restituiti all'abbazia da Riccardo, nipote di Eloisa, il quale li-aveva rivendicati, dopo la morte della zia, occupandoli con la forza.

A Coulombs Eloisa si fece costruire un'angusta celletta, a ridossa del muro della basilica, dove si rinchiuse per sempre, rimanendovi forse murata sino al giorno della sua morte, avvenuta in concetto di santità prima del 1060.

Il Mabillon indica il 10 febbraio, festività di s. Scolastica, come giorno del suo felice transito, che avvenne in realtà l'8 gennaio, come chiaramente risulta dall'Obituario della cattedrale di Chartres, dove infatti si può leggere: "VI idus Januarii. Obiit Helvisa sanotissime memorie reclusa".

Già nel sec. XVII si era persa ogni traccia della tomba di s. Eloisa, della quale, tuttavia, si conservava ancora il teschio tra le altre reliquie custodite nel tesoro dell'abbazia. La sua festa si celebra l'11 febbraio.

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tratto da: www.santiebeati.it autore Niccolò Del Re

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Vecchio 11-09-2013, 13.02.01   #156
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LA ROSA DI VOLTAIRE: ZAIRA DI SPAGNA.

Le notizie su santa Zaira sono veramente poche, anzi quasi nulle; non è citata nei testi ufficiali della Chiesa, forse lo era in qualche edizione precedente del ‘Martyrologium Romanum’ che dal Cinquecento, quando fu fatta la prima stesura, ha avuto vari aggiornamenti.

Comunque in un catalogo odierno degli onomastici, essa viene citata come martirizzata in Spagna, durante l’occupazione dei Mori e ricordata il 21 ottobre.

Altro sulla figura di questa santa non si sa, ma facendo qualche riflessione possiamo dedurre che deve perlomeno essere esistita.

Il nome deriva dall’arabo Zahirah e significa “la rosa” e ricorre spesso nella letteratura orientale, anche nella forma Zara. In Spagna l’occupazione dei Mori musulmani, che durò dal 711 fino al 1212 per buona parte della Spagna, cadendo completamente solo nel 1492 con la perdita di Granada; provocò una nutrita persecuzione religiosa contro i cristiani preesistenti e le loro Istituzioni, con lo scopo di imporre la religione musulmana, negli stati diventati islamici con la loro dominazione.
E in quel lungo periodo, in varie regioni spagnole, si ebbero molti martiri cristiani, i quali resistettero alle ingiunzioni, difendendo la fede cristiana, che grazie a loro non fu mai soppressa.

In quel periodo di convivenza forzata e di schiavitù dei cristiani, imbarcati e portati nei paesi arabi d’origine degli occupanti, parecchi arabi si convertirono al cristianesimo, cambiando il loro nome arabo in un nome cristiano; cito ad esempio s. Bernardo di Alzira che si chiamava Hamed, s. Maria di Alzira che si chiamava Zaida e s. Grazia di Alzira che si chiamava Zoraide, fratelli, convertiti e diventati monaci poi martiri per mano dei parenti musulmani.

Come si vede in questo esempio, c’è una Zaida e una Zoraide, nomi arabi simili a Zaira, quindi è probabile che se fino a noi è arrivato il nome di una martire Zaira, essa probabilmente deve essere conosciuta anche con altro nome cristiano, che non si riesce ad abbinare, perché probabilmente si tratta di una convertita.

Altra riflessione è che il nome Zaira è stato l’ispiratore di opere letterarie e musicali che ebbero fortuna per tutto l’Ottocento, come la tragedia “Zaire” di François-Marie Voltaire (1694-1778), scritta nel 1763 e l’opera lirica omonima di Vincenzo Bellini (1801-1835).

La tragedia “Zaira” di Voltaire, è considerata la più riuscita opera drammatica del grande autore francese, animato da una sottile polemica contro l’intolleranza religiosa. Il soggetto si rifà al periodo già citato dell’occupazione ed espansione musulmana in Europa, agli schiavi cristiani in Medio Oriente, ai tentativi di riscatto dei prigionieri da parte dei principi cristiani e di Ordini religiosi sorti per questo, come i Mercedari.

È probabile che Voltaire si sia rifatto alla martire Zaira per il suo soggetto, anche se non ambientato proprio in Spagna e con un contorno sociale di fantasia; vale la pena di raccontarne la trama.

Prossima alle nozze con il valoroso Orosmane, soldano (sultano) di Gerusalemme, la bella schiava Zaira (cristiana) scopre d’essere sorella del cavaliere francese Nerestano, giunto in Medio Oriente per riscattare i prigionieri, e figlia del vecchio Lusignano, discendente dei principi cristiani di Gerusalemme, anch’egli tenuto come ostaggio dagli arabi, al quale promette di non tradire la fede cristiana.
Rinvia perciò le nozze, tormentata dal conflitto tra amore e religione, cercando di trovare soluzione al suo dramma, in un colloquio con il fratello.
Ma Orosmane la scopre e sospettando in Nerestano un rivale, travolto dalla gelosia la pugnala; poi resosi conto dell’errore, si uccide a sua volta, dopo aver concesso la libertà a tutti i cristiani prigionieri.Il finale è tipico dei drammi e melodrammi dell’Ottocento, ma l’opera ha avuto il pregio di lanciare e sostenere il nome Zaira, a ricordo di una lontana martire cristiana ad opera dei musulmani.


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LA SUORA DELLE SORGENTI TERMALI: AGNESE SEGNI

Agnese Segni nacque il 28 gennaio 1268 a Gracciano, piccolo borgo nei pressi di Montepulciano. Agnese sentì fin da piccola il fascino delle cose spirituali e durante una visita con i suoi familiari a Montepulciano vide le suore del "sacco", chiamate così per il rustico sacco che vestivano. nove anni chiese di essere ammessa in convento dove fu subito accolta. A Montepulciano restò solo il tempo necessario per la formazione religiosa di base. Nel 1233, gli amministratori del castello di Proceno, feudo orvietano (oggi in provincia di Viterbo), si recarono a Montepulciano per chiedere l'invio di alcune suore nel loro territorio e Agnese fu tra le prescelte.+

Agnese, seppur molto giovane, fu nominata superiora del monastero, per le sue doti di umiltà e il grande amore per la preghiera, per lo spirito di sacrificio (per quindici anni visse di pane ed acqua) e per l'ardente amore verso Gesù Eucarestia. A Proceno Agnese ricevette dal Signore il dono dei miracoli: gli ossessionati venivano liberati solo al suo avvicinarsi, moltiplicò in più occasioni il pane e malati gravi riacquistarono la salute. Ma nei ventidue anni che restò a Proceno non mancarono le tribolazioni: gravi sofferenze fisiche la tormentarono per lunghi periodi.

Nella primavera del 1306 fu richiamata a Montepulciano, dove fa iniziare la costruzione di una chiesa, come chiestogli da Maria in una visione avuta alcuni anni prima in cui la Vergine le donò tre piccole pietre a questo scopo. E' un'altra visione, questa volta di san Domenico, che spinge Agnese a fare adottare alle sue suore la regola di sant'Agostino e ad aggregarsi all'ordine domenicano per l'assistenza religiosa e la cura spirituale. Numerose furono le occasioni in cui Agnese intervenne in città come paciere e risolutrice delle controversie nelle lotte tra le famiglie nobili della località. Nel 1316 Agnese, su invito del medico e dietro le pressioni delle consorelle si recò a Chianciano, per curarsi alle terme. La sua presenza fu d'aiuto ai numerosi malati presenti nella località e Agnese operò numerosi miracoli, ma le cure termali non portarono alcun giovamento alla sua malattia, che peggiorò.
Rientrata a Montepulciano, fu costretta a letto.

Ormai in punto di morte Agense rincuorava le consorelle invitandole a rallegrarsi perché per lei era giunto il momento dell'incontro con Dio, ciò avvenne il 20 aprile 1317. I frati e le suore domenicane volevano imbalsamare il corpo di Agnese e per questo motivo furono inviati dei signori a Genova per acquistare del balsamo, ma ciò non fu necessario: dalle mani e dai piedi della santa stillò infatti un liquido odoroso che impregnò i panni che coprivano il corpo della santa e ne furono raccolte alcune ampolle.

L'eco del miracolo, richiamò numerosi ammalati, che desideravano essere unti dall'olio miracoloso. Come scrisse il beato Raimondo da Capua, a distanza di cinquant'anni dalla morte della santa, il suo corpo era ancora intatto, come se Agnese fosse appena morta, e molti erano i miracoli di guarigione che avvenivano nella chiesa, che ormai era conosciuta come "chiesa di sant'Agnese", ma si guariva anche non appena fatto voto di recarsi a visitare la stessa. Di questi miracoli si ha anche una pubblica registrazione fatta da notai già a partire da pochi mesi dopo la morte della santa.

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tratto da: www.santiebeati.com autore Maurizio Misinato
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Taliesin, amico mio, è un po' che non passavo a leggere gli straordinari ritratti che raccogliete per noi in questa bella discussione, ma la passione con cui continuate ad animare questo angolo di Camelot merita lodi e omaggi.
E posso dire che questa è una fra le più belle discussioni che ci siano qui nel nostro reame.
Grazie, mio buon bardo
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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Vecchio 10-10-2013, 09.58.10   #159
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Cvaliere dell'Intelletto...
Ritrovarvi, ancora una volta con primevo sentimento, assorto tra le virtuali pergamene delle mie "Donne nel Medioevo" è la più appagante delle emozioni che spronano l'antico amanuense a continuare il suo Viaggio lungo il sentiero incerto della Storia e della Leggenda, affinchè grazie al Loro sacrificio, nessuna Donna debba più temere la violenza degli Uomini...
Grazie per il vostro passaggio e la vostra amicizia.

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Vecchio 10-10-2013, 10.10.26   #160
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LA VERGINE DELL'IMPERATORE: ANTILLA DA MONTEPULCIANO.

Secondo un antico manoscritto sulla "Vita di S. Antilia Vergine e Martire" conservato nell'Archivio Capitolare di Montepulciano - la cui trascrizione è stata gentilmente messa a nostra disposizione dallo storico poliziano Mario Morganti - Antilia sarebbe stata nientemeno che figlia di Teodosio I, imperatore dal 379 al 395, e sorella di Onorio e Arcadio, succeduti al padre rispettivamente come imperatori di Occidente e di Oriente.

Ma di una Antilia tra i discendenti ufficiali di Teodosio, bisogna qui precisare, non c'è traccia storica.

Sempre secondo il nostro manoscritto, Antilia in giovane età sarebbe stata liberata dal demonio da Donato, vescovo di Arezzo, divenendo quindi discepola del futuro santo. Non pago di aver ordinato il martirio di Donato, il prefetto aretino Quadraziano chiese Antilia in sposa col capriccio di sfidare la devota castità della giovane, che avrebbe coraggiosamente rifiutato e che, scampata miracolosamente a varie forme di supplizio, sarebbe stata infine uccisa per decapitazione nel 398. Anche qui i riscontri storici della leggenda lasciano più di qualche perplessità, perché il martirio di Donato risalirebbe a molti anni prima, ossia al 362.

Da Arezzo, dove si venera il suo corpo, il culto di Antilia arrivò a Roma insieme alla reliquia della sua testa, per poi tornare in Toscana nel IX secolo per mano del prode poliziano Gualterotto Bernardini, che proprio la sacra testa si guadagnò in riconoscimento del suo valore nella lotta ai Saraceni che minacciavano la città eterna.

Trafugata e poi restituita da un senese nel 1348, la reliquia si conserva a Montepulciano in un artistico busto d'argento del XVII secolo, mentre sull'altar maggiore del Duomo cittadino un trittico di Taddeo di Bartolo del 1401 mostra Antilia che in veste di patrona porge la città alla Madonna.


tratto da. www.santitoscani.net

Taliesin, il Bardo
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