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Vecchio 22-05-2012, 15.30.31   #11
Taliesin
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Donne nel Medioevo...

La passata notte un vento impetuoso ed irreale turbinava tra i meandri diroccati del mio vetusto maniero, e sotto la coltre di fumo di un vecchio e scricchiolante scaffale di castagno, vi era caduto un minuscolo libricino ad ore stampato nel secolo XVIII da un'antica tipografia rinascimentale...
Rannicchiato tra le polvere perenne e la muffa dei muschi di montagna che ombreggiano la mia malsana, l'ho raccolto con la dovuta cura: era un'autobigrofia romanzata della Gran Contessa del monaco Donizone...
Mi sono commosso nel rileggere cotanto ardore e passione ancestrale in una donna leggendaria e, tra le pagine consunte ed i rivoli celesti dipinti sul mio volto, ho pensato a quante Donne, in quell'epoca denominata per troppo tempo "Secoli Bui", hanno riscaldato il cuore ed il giaciglio i molti uomini, facendo crollare imperi e regni con una forza incontrollabile ed inimmaginabile...
Voglia questo essere, in un altro spazio e in un altro tempo, un mio piccolo omaggio...

Taliesin, il bardo

La Gran Contessa: Matilde di Canossa

Personaggio di primaria importanza nella storia del Medioevo europeo, Matilde di Canossa (1046-1115) è forse la figura storica più interessante del Medioevo nelle terre intorno al Po.
Nasce probabilmente a Mantova, dove il padre Bonifacio di Canossa ha una reggia, ma poi è costretta a fuggire con la madre, Beatrice di Lorena, perché il padre viene assassinato e muoiono misteriosamente un fratello ed una sorella.

La troviamo a Felonica, poi a Firenze, poi con la madre che si risposa con un vedovo, Goffredo il Barbuto, che ha un figlio, Goffredo il Gobbo, che viene promesso in sposo a Matilde stessa. Alla morte del patrigno, ella sposa il fratellastro in Lorena ed ha una bambina, Beatrice, che muore in fasce.
Fugge dal marito e si rifugia dalla madre a Mantova e poi a Pisa, dove Beatrice muore nel 1076. Matilde eredita così un dominio che andava dal Lazio al Lago di Garda, ed era strategico sia per i pontefici, quando dovevano essere insediati a Roma, sia per gli imperatori, quando dovevano essere incoronati.

Ella entra così nella lotta in corso tra impero e papato, giocandovi un ruolo prima di pacificatrice (anche perché era cugina di Enrico IV per parte di madre), come dimostra il famoso incontro di Canossa (28 gennaio 1077), poi di aperta sostenitrice del papato e della riforma della Chiesa. In questa scelta, ella mette in gioco i suoi poteri, in gran parte avuti per concessione dagli imperatori, ed il suo stesso dominio: dichiarata traditrice da Enrico IV, le si ribellano le città, ed anche i suoi possedimenti vengono invasi dalle truppe imperiali, restandole fedeli i castelli di Nogara nel Veronese, Piàdena nel Cremonese, Monteveglio nel Bolognese e Canossa nel Reggiano, come racconta il suo biografo, Donizone.

Donna di potere, controcorrente, al centro di uno scontro epocale, Matilde di Canossa diviene oggetto d’esaltazione da una parte (chiamata figlia di Pietro, ancella del Signore) e di denigrazione dall’altra (accusata di essere una meretrice, amante di Gregorio VII). In questo gioca un ruolo fondamentale l’essere donna: a lei il diritto longobardo assicura l’ereditarietà dei domini, ma ella ha sempre bisogno di un uomo che la sostenga e garantisca (il mundoaldo); da ciò la necessità di risposarsi, con un nuovo matrimonio, anch’esso fallito, con un ragazzino (Guelfo di Baviera), da ciò la nomina di un figlio adottivo nel conte Guido Guerra; da ciò, infine, la resa al nuovo imperatore, Enrico V, con l’accordo di Bianello del 1111, nel quale le viene riconosciuto di nuovo il potere sulla parte dell’Italia settentrionale del dominio canossano, in cambio della nomina dell’imperatore a suo erede, per la nota parentela.

Così, solo alla fine della sua esistenza terrena, Matilde può dedicarsi alla preghiera ed alla meditazione religiosa, verso la quale era portata fin da giovane, ma dalla quale fu sconsigliata addirittura da Gregorio VII di dedicarsi, perché era più prezioso il suo ruolo politico e militare in difesa del papato.

Morì a Bondanazzo di Reggiolo il 24 maggio 1115 e venne sepolta nell’amato monastero di San Benedetto Polirone, cluniacense, dove i monaci le eressero un adeguato sepolcro nella cappella di Santa Maria, con i noti mosaici, e la onorarono ogni anno con le loro preghiere.

Il suo ricordo, immortalato da un monaco di Canossa, Donizone, fu rafforzato con una pretesa donazione dei suoi beni alla Chiesa, e con una serie di leggende, anche popolari, che si diffusero fin dal basso Medioevo, e che, continuate sia a livello colto, che popolare sino ai giorni nostri, ne hanno fatto un personaggio mitico, non solo per le terre padane.

Ripercorrere la sua vita diviene così occasione per aprire una finestra su di un periodo cruciale della storia del Medioevo, e sugli uomini e sulle donne che vissero in quel tempo.

Taliesin, il bardo

(Informazioni tratte da: Matilde di Canossa - Donna di potere nel Medioevo, di Golinelli Paolo, docente dell'Università di Verona.)
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Vecchio 22-05-2012, 15.36.36   #12
ladyGonzaga
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molto bello questo vostro nuovo argomento.
Lo seguirò con molto interesse
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Vecchio 22-05-2012, 15.48.56   #13
Taliesin
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Il Fiore di Maremma: Margherita Aldobrandeschi

Figlia di Ildebrandino "il Rosso" conte di Sovana e di Pitigliano, nacque, forse, verso il 1255, poiché non doveva avere più di quindici o sedici anni quando fu celebrato il suo primo matrimonio con Guido di Montfort (febbraio 1270, secondo il Ciacci; seconda metà del 1270, secondo il Lisini).

Catturato Guido di Montfort nel 1287 dagli Aragonesi, durante la battaglia del golfo di Napoli, e morto prigioniero a Messina nel 1292, Margherita si trovò sola a fronteggiare le mire espansionistiche di Siena, tradizionale nemica degli Aldobrandeschi del ramo di Sovana. Forse già al momento della cattura di Guido, Margherita aveva stretto una relazione amorosa con Nello de' Pannocchieschi, signore di Pietra, in Maremma, con il quale, ove si debba accettare l'ipotesi del Ciacci, si sarebbe imita in matrimonio segreto, nella presunzione di avvenuta morte del marito, salvo ad abbandonare l'amante (o marito che fosse) nel 1290. Di questo periodo sono, infatti, le incursioni contro Orbetello, ove si trovava la contessa, di Ranieri d'Ugolino, signore di Baschi e Vi-tozzo, e di Ranieri di Montemerano, parenti di Margherita, miranti, probabilmente, a staccarla dal Pannocchieschi, sia che Margherita li avesse a ciò sollecitati, sia che essi agissero di propria iniziativa.

Di qualsivoglia natura fossero stati i rapporti tra Margherita e Nello de' Pannocchieschi, nel gennaio 1292 la contessa era in trattative con Napoleone Orsini, forse già in vista di un suo nuovo matrimonio con il fratello Orso Orsini, reso necessario dalle precarie condizioni in cui versava la contea minacciata dagli inquieti Comuni maremmani. Margherita sposò Orso nei primi mesi del 1292 e riuscì, grazie all'abilità del marito, a ristabilire i normali rapporti di reciproca tolleranza con Orvieto, rinnovando i giuramenti di amicizia e di cittadinanza già sottoscritti dagli antenati e dal primo marito, Guido di Montfort. In Virtù del nuovo matrimonio, Margherita riuscì a stipulare un trattato anche con Siena, il 5marzo 1294. Nuovi timori, tuttavia, per la contessa di Sovana e Pitigliano, sorsero quando anche Orso Orsini morì nell'ottobre del 1295.

Respinto un tentativo di Nello de' Pannocchieschi di riproporre la sua candidatura come terzo - e questa volta - legittimo marito, nonostante l'invio di un'ambasceria di cui, con ogni probabilità, faceva parte Binduccio, figlio di Margherita e dello stesso Nello, la contessa fu indotta da papa Bonifacio VIII a sposarne un nipote, Loffredo Caetani, il 19 sett. 1296, in Anagni. Il matrimonio, però, ispirato a evidenti motivi di predominio politico ambito da Bonifacio VIII sulla contea aldobrandesca, non durò a lungo, poiché, già nel febbraio 1297, Orvieto, in occasione di una rivolta di Pitigliano contro Margherita, inviava a proprie spese milizie "in adiutorium comitisse ",senza nessun riferimento a Loffredo.

Nulla più che ipotesi è dato di formulare a proposito delle vicende matrimoniali di Margherita con il Caetani: plausibile pare, tuttavia, quella che il pontefice, nel desiderio di isolare la contessa per poter. entrare completamente in possesso dei suoi beni, prendesse lo spunto dai suoi trascorsi coniugali alquanto torbidi per dichiarare nullo il suo matrimonio con Loffredo, al quale, nel 1298, procurava la mano della contessa di Fondi, Giovanna dall'Aquila, mentre, il 3 ottobre di quell'anno, ordinava al cardinale Gerardo Bianchi, vescovo di Sabina, di indagare sui precedenti matrimoni della contessa di Sovana, che venne di li a poco dichiarata bigama.

Certo è che già nel luglio 1298, l'A. doveva essersi imita con Guido da Santa Fiora, suo parente, cui da quella data i Senesi, come Margherita, si rivolgono negli atti pubblici, in occasione di lagnanze o di proposte di accordi. Nei primi mesi del 1299 - e cioè dopo che il precedente matrinionio con Loffredo era stato invalidato da Bonifacio VIII - Margherita era sposa di Guido, ricostituendo così, con grave pericolo per Siena e con minaccia implicita per lo Stato pontificio, l'unità dei due rami aldobrandeschi.

Si iniziò allora una vera e propria guerra tra gli Aldobrandeschi (di Sovana e di Santafiora) da un lato, e Siena e, in secondo tempo, Bonifacio VIII ed Orvieto, dall'altro. Nonostante l'apparente maggior peso militare e politico del gruppo controllato dal papa, le ostilità, dopo alterne vicende, non si conclusero con il pieno successo dei Senesi, perché questi, accortisi che Bonifacio VIII intendeva incamerare nella propria famiglia i beni aldobrandeschi, preferirono un compromesso con Margherita e con Guido di Santa Fiora. La lotta contro Orvieto e contro Bonifacio VIII si concluse invece nel 1302 con una richiesta di pace da parte di Guido (morto iopo poco).

Margherita, rimasta vedova per la terza volta, fu privata, dopo un breve periodo di tregua concessole dal papa, impegnato nelle difficili vicende della guerra del Vespro, di ogni diritto feudale con bolla del 3 marzo 1303 e costretta a sposare Nello de' Pannocchieschi.
Il provvedimento papale si giustificava formalmente perché Margherita aveva ceduto a Enrico e Bonifazio di Santafiora alcune terre dell'abbazia di S. Anastasio ad Aquas salvias,di cui godeva l'enfiteusi e che passò al nipote del pontefice, Benedetto Caetani.

Morto Bonifacio VIII, Margherita si separò dal Pannocchieschi e si rifugiò a Roma presso le figlie Anastasia e Maria, mentre le terre della contea erano corse da Nello e dalle soldatesche di Orvieto, che si era preoccupata dei tentativi compiuti dal signore di Pietra di ricostituire, ai danni del Comune, l'unità territoriale della contea.

Nel 1313 Margherita si recò ad Orvieto, dietro assicurazione di quel Comune, per abitare in un palazzo di sua proprietà; ma presto ne ripartì, adducendo a pretesto l'inadempienza degli Orvietani a certi patti con lei stipulati. Nonostante che avesse fatto ricorso ai senatori di Roma, Margherita non ottenne che Orvieto cedesse e prima di morire vide assegnata definitivamente la sua contea a Benedetto Caetani.

Margherita morì in epoca e luogo imprecisati.

Solo leggenda è la tradizione ispirata ai celebri versi danteschi (Purg.V, vv. 133 ss.) che vorrebbe Nello de' Pannocchieschi uxoricida nella persona di Pia de' Tolomei per amore dell'Aldobrandeschi.

Taliesin, il bardo

Fonti e Bibl.: Cronica Antiqua (Annales Urbe vetani),in Rer. Italic. Script.,2 ediz., a cura di L. Fumi, XV, 5, pp.125-136; Cronica Potestatum (Annales Urbevetani), ibid.,pp. 137-182; Cronaca di Luca di Domenico Manenti, ibid.,pp.269-414; G.Tommasi, Dell'Historia di Siena,Venezia 1625; Regesto di Atti originali per la giurisdizione del Comune,in Rer. Italic. Script.,2 ediz., XV, 5,a cura di L. Fumi, pp. 97-123; G.Caetani, M. A. e i Caetani,in Arch. d. soc. romana di storia patria,XLIV (1921), pp. 5-36; A. Lisini, La contessa palatina M. A. signora del feudo di Sovana,Siena 1933; G.Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia,I, Roma 1935, passim.
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Vecchio 22-05-2012, 17.47.25   #14
Hastatus77
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Ricordavo che era già presente una discussione con lo stesso argomento.
Ho provveduto ad unire le nuove e le vecchie informazioni.
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Vecchio 24-05-2012, 00.36.13   #15
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Taliesin, belli ed interessanti i post che avete preparato su questo affascinante argomento.
Per tanto tempo un luogo comune ha visto il Medioevo come “l'epoca senza donne”.
Un giudizio tutt'altro che condivisibile, nato probabilmente in ambienti accademici troppo imbevuti della nuova rinascita umanistica e che poco conoscevano le straordinarie personalità che caratterizzarono questo straordinario periodo storico.
Personalità anche, ovviamente, di donne fuori dal comune.
Basti ricordare figure come Teodolinda, Eleonora D'Aquitania, Maria di Francia, Roswitha di Gandersheim, solo per fare alcuni nomi e senza poi dimenticare le grandi Sante e Mistiche che lasciarono un segno non solo in ambito religioso, ma anche culturale e politico come Santa Caterina da Siena, Santa Brigida di Svezia, Sant'Ildegarda di Bingen, Angela da Foligno.
Una discussione ed un tema dunque doverosi, che sanno arricchire la nostra visione sul quell'eccezionale periodo, così pieno, eppure ancora, in larga parte, poco conosciuto ed apprezzato fino in fondo
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Vecchio 24-05-2012, 00.54.50   #16
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spesso quando vi leggo rimango sbalordita dalle vostre conoscenze in materia.
complimenti anche a voi Guiscard
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Vecchio 24-05-2012, 11.22.22   #17
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La Regina dei Trovatori: Eleonora di Aquitania

Giudizi e pregiudizi pesano su Eleonora d’Aquitania, due volte Regina di due Regni importanti e due volte sposata a due mariti illustri, ma colpevole d’aver vissuto in un’epoca in cui le donne erano costrette al silenzio.
Coltissima; spregiudicata; stravagante e dotata di forte personalità, incarnò lo scandalo: scandaloso, il suo ingresso a Vézelay, ove nella Pasqua del 1146 si presentò a Bernard de Clairvaux a cavallo e vestita dell’armatura; scandalosa, la sua partecipazione alla II Crociata; scandaloso, il sostegno politico offerto allo zio Raimondo d’Antiochia, suo presunto amante; scandaloso, il suo divorzio da Luigi VII di Francia; scandalose, le successive nozze con Enrico II d’Inghilterra e la relazione precedentemente intrattenuta con il suocero; scandaloso, l’appoggio alla ribellione dei suoi figli contro il padre; scandalosa, la sua Corte d’amore a Poitiers.

Tuttavia, se solo pochissime donne dominarono il Medioevo, ella spiccò fra esse.

Regina di Francia dal 1137 al 1152 e Sovrana d’Inghilterra dal 1154 al 1204; nata intorno al 1122 dal Conte Guglielmo X d’Aquitania e da Aénor di Châtellerault; cresciuta nella raffinata Corte del nonno Guglielmo IX ove ricevette una solida educazione in latino, musica e letteratura; ad otto anni già erede delle Contea di Poitou, dei Ducati d’Aquitania e Guascogna e dei territori di Saintogne, Marche, Limousin, Périgord e Angounois per la morte del fratello maggiore Guglielmo l’Ardito e poi di entrambi i genitori, era stata promessa al futuro Re di Francia Luigi VII che, pur destinato alla carriera ecclesiastica, a causa del decesso del germano all’età di undici anni: il 25 ottobre del 1131, fu consacrato a Reims.
Si sposarono il 25 luglio del 1137 nel palazzo di Ombrière a Bordeaux: nel Natale successivo, Eleonora fu incoronata a Bourges. Lo sposo, invece, pur investito dell’Aquitania nella cattedrale di Poitiers, ottenne il solo titolo di Duca consorte: il potente DUcato sarebbe stato annesso alla Corona quando e se fosse nato un erede maschio.

Guglielmo di Newburg testimoniò che egli era preso da amore ardente per la giovincella; tuttavia, fu presto evidente che la sua austerità non era compatibile col temperamento vivace e passionale della Sovrana cui la glaciale Aristocrazia francese manifestò tutta l’ostilità già tributata a Costanza di Arles un secolo avanti: a parte la propensione ai lussi e le presunte dissolutezze, infatti, le si imputò di esercitare sul marito quell’eccessivo e pericoloso ascendente causa di sconsiderate sviste politiche: la pretesa rivendicazione della Contea di Tolosa; il conflitto con Innocenzo II per la nomina di Pietro di Chartres a Primate di Bourges; la pressione esercitata su Rodolfo di Vermandois perché ripudiasse la moglie Eleonora di Champagne, preferendole Petronilla d’Aquitania; la conseguente scomunica a costui irrogata dal Papa; la guerra contro Tibaldo IV di Blois, presso il quale l’esule Prelato si era rifugiato; la conquista ed il sacco di Vitry-en-Perthois, risoltasi col massacro di oltre mille persone; l’interdetto abbattutosi sulla Francia.
Fu Bernard de Clairvaux ad indurre l’intrigante Eleonora a riconciliarsi con gli avversari e a guadagnarsi la revoca della scomunica.
Nel 1145, messa al mondo Maria, ella si dedicò al governo della turbolenta Aquitania incontrando le resistenze del Consigliere di Corte Abate Sugar, intollerante alla interferenze di una donna nella politica. In quel contesto, proprio il potente Abate cistercense di Clairvaux le chiese di persuadere Luigi a partecipare alla seconda crociata già bandita da Eugenio III, a seguito della caduta di Edessa.
Decisa a porsi al seguito dei contingenti del marito e dell’Imperatore Corrado III, Eleonora si presentò a Vézelay, per far voto di pellegrinaggio, in groppa ad un cavallo bianco e vestita dell’armatura, così suscitando l’indignazione della Comunità cristiana.

La Chiesa apprezzò lo zelo ma non l’offerta, pur condivisa da trecento signore, di assistere i feriti all’interno di una spedizione maschile ed anche le cronache coeve espressero durissimi giudizi, soprattutto per l’inopportuna scorta fornitale dal trovatore Jaufré Rudel.
Di fatto, maturò allora quella irreversibile crisi coniugale che la indicò responsabile della strage subìta dai Crociati al monte Cadmo nel 1148, quando l’avanguardia nella quale s’era posta col vassallo aquitano Goffredo di Rancon, contravvenendo agli ordini non attese il rincalzo delle retrovie guidate dal Re francese e fu decimata dai Turchi; responsabile dell’appoggio fornito all’ infausta decisione di riconquistare Edessa avanzata dallo zio Raimondo Principe d’Antiochia -col quale era accusata di intrattenere una relazione incestuosa fondata sulla comune memoria degli anni felici trascorsi a Poitiers- contro il programma di Luigi e Corrado III di puntare su Gerusalemme; responsabile, con la sua sconveniente condotta, della mancata conquista di Damasco e del complessivo esito negativo della crociata.
Di fatto, a spedizione conclusa, nel 1149 i coniugi approdarono in Italia su navi diverse recandosi nell’abbazia di Montecassino per chiedere il divorzio.
Di fatto, malgrado Eugenio III riuscisse a riconciliarli ed essi nel 1150 fossero allietati dalla nascita di Alice, la crisi si riacutizzò.
Di fatto, il 21 marzo del 1152, riuniti nel Sinodo di Beaugency, gli Arcivescovi di Bordeaux, Rouen, Reims ed il Primate di Francia, con l’assenso papale sancirono l’annullamento del vincolo nuziale per consanguineità di quarto grado, ambedue discendendo da Roberto II.
Conservando la legittimità, le due figlie restavano in quella Corte dalla quale si allontanava invece Eleonora, con i beni dotali d’Aquitania e Guascogna.

Ella s’era già invaghita del figlio della potente Empress Maud e del Duca di Normandia Goffredo il Bello: pur accusata d’essere già stata l’amante di costui, sposò Enrico il Plantageneto, di undici anni più giovane, il 18 maggio del 1152 a sei settimane dallo scioglimento del vincolo che l’aveva legata a Luigi VII. La sua cospicua dote, rendendolo padrone di gran parte della Francia, consentì al secondo marito di insediarsi al trono inglese nel 1154 col nome di Enrico II, quando Stefano di Blois firmò il Trattato di Westminster del Natale 1153, così risarcendo la usurpata cugina Maud e accettando di riconoscerne i diritti al figlio.
Se gli Inglesi indicarono il nuovo Sovrano come il Pacificatore, Eleonora fu addirittura celebrata nei Carmina Burana: entrambi furono incoronati il 19 dicembre del 1154.

A parte la prole femminile di primo letto: Maria, sposa del Conte di Champagne Enrico il Liberale e Alice, sposa del Conte di Blois Tibaldo V il Buono, Eleonora mise al mondo otto figli: Guglielmo Plantageneto, nato nel 1153 e morto nel 1156; Enrico il Giovane, nato nel 1155 e morto nel 1183, incoronato nel 1170 e coniugato a Margherita, figlia di Luigi VII di Francia; Matilda, nata nel 1156 e morta nel 1189, maritata al Duca di Baviera e Sassonia Enrico I il Leone; Riccardo Re, nato nel 1157 e morto nel 1199; Goffredo di Bretagna, nato nel 1158 e morto nel 1186, sposato a Costanza di Richemont; Eleonora, nata nel 1161 e morta nel 1214, impalmata da Alfonso di Castiglia; Giovanna, nata nel 1165 e morta nel 1216, moglie del Re di Sicilia Guglielmo II e poi del Conte Raimondo V di Tolosa; Giovanni senza Terra Re, nato nel 1166 e morto nel 1216. Tuttavia, l’infedele Enrico II predilesse; riconobbe ed allevò a Westminster il figlio naturale Goffredo di York, nato dalla prostituta Ykenai parallelamente al legittimo primogenito.

La vita privata e politica della coppia fu segnata da varie traversìe: il rifiuto dell’Aquitania a sottostare all’autorità del Sovrano; il fallimento dei tentativi di acquisire la Contea di Tolosa, attraverso la trasmissione ereditaria di Filippa di Tolosa; le nuove nozze di Luigi VII e il matrimonio di sua figlia Margherita con Enrico il Giovane; il contrasto col Cancelliere Thomas Beckett, Arcivescovo di Canterbury, rifugiato in Francia nel 1166 ed assassinato poi nella cattedrale nel 1170; il conseguente interdetto scagliato dal Papa sull’Inghilterra; l’isolamento della Corona inglese dal contesto internazionale; la scandalosa relazione del Re con Rosamund Clifford; il trasferimento di Eleonora che dal 1167 tenne Corte a Poitiers con la figlia Maria di Champagne, protettrice di Chrétien de Troyes, dedicandosi alla politica aquitana ed ospitando artisti, musicisti e letterati concorrenti alla diffusione dell’Amor cortese: Bernard de Ventadour ed i Normanni Benoît de Sainte-Maure e Wace; l’arresto e la detenzione della Sovrana; la duplice ribellione dei figli all’autorità del Padre/Re; le mancate nozze di Riccardo con Alice di Francia.

A fronte della morte del primogenito, Enrico II aveva destinato al figlio omonimo l’Inghilterra, la Normandia e l’Anjou; a Goffredo la Bretagna; a Riccardo la Contea del Berry e i territori di Guascogna, Aquitania e Poitou quando l’Arcivescovo di Canterbury Thomas Beckett, non considerandosi più suo servitore ma leader della Chiesa, insorse; si oppose nel Concilio di Clarendon del 1164 ad una proposta riferita alle reciprocità dei diritti e dei doveri; accusato di vlipendio e di irregolarità finanziarie, fuggì in Fiandra; inasprì la disputa nel momento in cui il Primate Ruggero di York ebbe incarico di officiare a Westminster la cerimonia di incoronazione del quindicenne Enrico il Giovane, posto sotto tutela di Guglielmo Marshall.
Era il 14 giugno del 1170.

Nel novembre successivo, l’irriducibile Presule tornò in Inghilterra e, deciso a riaffermare le proprie prerogative, minacciò di scomunica quanti, con quella celebrazione, avevano usurpato un diritto per tradizione spettante al Metropolita di Canterbury.
Il Sovrano, che in quel momento era in Normandia per trascorrervi le feste di Natale, se ne adontò e, certi di compiacerlo, quattro suoi fedeli vassalli: Reginald Fitz Urse, Guglielmo di Tracy, Ugo di Morville e Riccardo di Brito, il 29 dicembre assassinarono nella cattedrale l’ingombrante personaggio suscitando l’esecrazione di tutto il mondo cristiano.
All’interdetto lanciatosull’intera Nazione e sul Re dal Papa che subordinò il perdono a tre anni di espiazione ed al finanziamento di una crociata, si saldò il disastro familiare: Eleonora si era già trasferita da tre anni con i figli a Poitiers quando, nell’ulteriore amaro Natale del 1172, con i Re di Francia e Scozia e i vassalli aquitani e guasconi, aizzò il giovane erede contro il padre.

La rivolta, cui parteciparono anche Riccardo e Goffredo, suscitò la violenta levata di scudi dell’ Arcivescovo di Rouen che pronunciò parole di fuoco:...La moglie è colpevole quando si allontana dal marito… ritorna da tuo marito, altrimenti, con il diritto canonico, ti costringeremo a tornare da lui...
Enrico II, che aveva nel frattempo conquistato l'Irlanda e sottomesso il Galles, in una manciata di mesi ebbe ragione della sedizione e, nell’estate del 1174, dopo la sottomissione dei figli, fece arrestare la moglie; la fece rinchiudere a Chinon lasciandole il solo conforto dell’ancella Amaria; la internò poi nel castello di Winchester ed ancora a Sarum, tenendola segregata per ben tre lustri ed accingendosi ad ufficializzare la decennale relazione con Rosamund Clifford.
Nel 1176, tuttavia, costei morì forse avvelenata.
Sfumarono, così, il progettato divorzio e l’intenzione di confinare Eleonora nel convento di Fontevraud, dopo averle imposto i voti di povertà e la rinuncia a titoli e beni.
Fu davvero la Regina, come si sostenne a gran voce, la mandante del presunto assassinio della favorita?

La turbolenta famiglia si consegnò alla disgregazione definitiva nel 1183 quando, infuriato dal rifiuto opposto alle sue mire sul Ducato di Normandia di cui pure nominalmente era titolare, Enrico il Giovane si armò ancora contro il padre tendendogli un agguato a Limoges con la complicità del fratello Goffredo e del cognato Filippo Augusto, a sua volta infuriato dalle mancate nozze di Riccardo con Alice di Francia.
Non a caso già nel 1177 a nome di Alessandro III Papa, il Cardinale Pietro di san Crisogono aveva minacciato l’interdetto se quel contratto nuziale non fosse stato applicato e se non fosse stata posta fine anche alle scandalose dicerie di una relazione di Enrico II con la giovanissima futura nuora.
Il discusso Sovrano rabbonì il rivale, ma trattenne la fanciulla a Corte scoraggiando il figlio dal rompere la promessa di fidanzamento per non perdere l’appetibile dote del Vexin; quanto ai ribelli recidivi, assediata Limoges li mise in rotta.

Epperò, ammalatosi di dissenteria; consapevole d’essere prossimo alla morte ed aggredito dai rimorsi, il giovane erede implorò il perdono per sé e per la madre. Il decesso, presagito in sogno da Eleonora che ne raccontò nel 1193 a Celestino III, indusse Filippo Augusto a reclamare per conto della sorella vedova Margherita alcune proprietà in Normandia.
Enrico II ne sostenne, invece, la restituzione alla Regina/madre che pose in libertà sorvegliata alla fine del 1183 e riammise in Inghilterra.
Tutt’altro che doma, da quel momento ella prese a tramare per garantire la successione al prediletto Riccardo dileggiato per la sempre più accreditata relazione del padre con la sua promessa sposa.
In quel torbido clima, il problema ereditario fu inasprito dalla rivendicazione, da parte del nuovo candidato alla successione, dei territori dall’Inghilterra all’Anjou e dalla Normandia all’ Aquitania e al Poitou con esclusione del fratello Giovanni, cui il genitore intendeva assegnarli congiuntamente alla Corona d’Irlanda.

La contrapposizione padre/figlio coinvolse ancora la Corona francese e scatenò la guerra.
Quella violenta querelle, appesantita dalla scomparsa anche di Goffredo di Bretagna, si risolse solo il 6 luglio del 1189 con la morte dello stesso Re Enrico II.
Pur sospettato di averlo avvelenato, Riccardo ascese al trono e, incoronato a Westminster il 3 settembre, ordinò a Guglielmo Marshall il reintegro della madre in ogni sua prerogativa.
Parallelamente, Saladino metteva in ginocchio i Crociati ad Hattin: il nuovo Sovrano aderì al giuramento di liberazione del santo Sepolcro.
Il 2 febbraio del 1190 Eleonora si dette ad una serie di peregrinazioni nei suoi domini per raccogliere fondi utili alla crociata ed indennizzare il Re di Francia per le mancate nozze di Riccardo con Alice; poi, onde prevenire ulteriori pretese successorie, pur consapevole della omosessualità del figlio, si attivò per trovargli una moglie che individuò in Berengaria, figlia del Re di Navarra Sancho il Saggio. Prima di imbarcarsi da Marsiglia per l’Outremer, il promesso sposo affidò la reggenza del Regno alla ormai anziana Sovrana e designò Primate di York il fratellastro Goffredo.
Ella gli impose i voti, così condizionandone ogni eventuale rivendicazione ereditaria e, una volta al governo, elargì amnistie; costruì ospedali; assegnò fondi ai conventi; obbligò l’Alto Clero e l’Aristocrazia al giuramento di fedeltà al Re; fronteggiò strenuamente i tentativi di usurpazione posti in essere dall’altro figlio Giovanni. Paralelamente, Berengaria raggiungeva Riccardo a Cipro e lo sposava a Limassol.

Cuor di Leone espugnò san Giovanni d’Acri ma legò il suo nome al terrificante massacro di migliaia di uomini donne e bambini, prima di risolvere la sua marcia trionfale in quell’immane disastro che lo indusse a desistere dall’impresa proprio mentre il fratello espugnava Londra con l’appoggio francese.
E le sue vicissitudini non erano ancora concluse: sulla via del ritorno fu arrestato da Leopoldo d’Austria, su mandato dell’Imperatore tedesco Enrico VI che intendeva punirlo per il tentativo di impadronirsi della Sicilia, sulla base dell’asserito diritto maturato dalla vedovanza della sorella Giovanna. Eleonora ottenne la sua liberazione previo pagamento dell’ingentissimo riscatto di centomila marchi d’argento, portati personalmente a Magonza.
Rientrato in Inghilterra, Riccardo spodestò Giovanni col quale si riconciliò su pressione materna così cessando anche il conflitto anglo/francese: fra le clausole della tregua accettò di inserire l’ unione del dodicenne Luigi VIII di Francia con Bianca o Urraca di Navarra, figlie di sua sorella Eleonora e di Alfonso VIII di Castiglia. Tuttavia, prima che il trattato trovasse concreta applicazione, il 6 aprile del 1199 egli si spense a Châlus e gli successe Giovanni senza Terre, contro le giuste aspirazioni di Arturo I di Bretagna, figlio postumo di Goffredo.

L’affranta Eleonora presiedette all’incoronazione avvenuta il 27 maggio di quello stesso anno; protesse il Re dalle reazioni del nipote e si recò poi in Castiglia per scegliere la sposa di Luigi VIII; ma lasciata Poitiers, fu catturata da Ugo IX di Lusignano, partigiano del pretendente al trono: liberata, proseguì il viaggio attraverso i Pirenei e giunse a destinazione nel gennaio del 1200. Due mesi più tardi rientrò a Bordeaux con Bianca di Navarra, sotto scorta del celebre Mercadier il cui assassinio la sconvolse al punto da ritirarsi nell’abbazia di Fontevrault dopo aver affidato la giovane al Primate di Bordeaux.
Alla ripresa della guerra franco/inglese, Arturo di Bretagna tentò ancora di assumere il controllo dell’Aquitania e, durante il viaggio verso Poitiers, internò la nonna nel castello di Mirabeau: fu Giovanni, ora sposo della tredicenne Isabella d’Angoulême, a soccorrerla e a sconfiggere ed arrestare il ribelle, morto avvelenato in carcere nel 1203 forse per suo stesso ordine. A quel punto, l’ottantaduenne Eleonora tornò nel convento di Fontevrault; vi prese il velo e vi si spense nel 1204, dopo aver dato sepoltura a ben otto dei suoi dieci figli e dopo una vita intensa e lunga, accompagnata alla definizione di donna/scandalo ma anche di leggendaria protagonista del secolo.
Il monaco Alberico scrisse della sua indomabile propensione alla lussuria propria del suo sesso ... Luigi l’aveva lasciata per la sua incontinenza, infatti questa donna non si comportava da regina ma piuttosto da puttana....

Molti, al contrario, la ritennero vittima della freddezza dell’inadeguato Luigi e della brutalità dell’intemperante Enrico.

In realtà ella fu una irriducibile anticonformista, ostile al Clero e ad ogni sorta di bigottismo ipocrita; abile diplomatica; Regina illuminata e rispettosa delle esigenze dei sudditi; raffinata, affascinante e sensibile mecenate, tale da dare propulsione al modello ed alle tematiche dell’ amor cortese che concorse a diffondere nel Nord della Francia ed in Inghilterra con intellettuali come Benedetto di Saint-Maure; Bernard de Ventadour e Chrètien de Troyes.

Taliesin, il bardo

Bibliografia:
G. Duby: Medioevo maschio. Amore e matrimonio
J. Le Goff: L’immaginario medievale
J. Markale: Eleonora d’Aquitania, la Regina dei Trovatori
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Vecchio 24-05-2012, 14.09.44   #18
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La Poetessa di Re Artù: Maria di Francia

Maria di Francia nacque nella seconda metà del XIII sec e fu una poetessa francese del Medioevo, celebre per i suoi lai -novella in versi - scritti in antico francese

Visse nella seconda metà del XII secolo e si crede sia stata badessa di un convento (probabilmente quello di Barking). La sua opera sviluppa le tematiche dell'amor cortese trascrivendo leggende della Materia di Britannia. Prima scrittrice francese, di lei non si sa praticamente nulla, se non ciò che essa stessa scrive nell'epilogo della sua opera: Marie ai num, si sui de France ("Il mio nome è Maria e sono di Francia"): vissuta probabilmente alla corte di Enrico II d'Inghilterra e di Eleonora di Aquitania.
Numerose sono state le ipotesi sulla sua identità:
  1. Marie di Meulan, ipotetica figlia di Garelan IV de Meulan, studioso e letterato, a cui è dedicata la Historia regum britannie, il quale però non risulta che avesse avuto una figlia di nome Marie. È esistita una badessa Marie di Meulan, ma sarebbe morta entro il 1000, mentre i Lais sono stati scritti fra il 1160 e il 1175.
  2. Marie d'Ostillie, badessa e secondo alcuni sorellastra di Enrico II, secondo altri figlia di un uomo di fiducia del re. Entrata in tenera età in convento, mentre la cultura dell'Autrice dei Lais mostra chiaramente la sua vicinanza all'ambiente di corte di Enrico II e alle querelles letterarie coeve.
  3. Marie di Blois, principessa d'Inghilterra, badessa del monastero di Romsey, ma in pessimi rapporti con Enrico II, quindi non si spiegherebbe, oltre la vicinanza culturale all'ambiente di corte, anche la dedica al "nobile re" presente nel prologo.
  4. Marie sorella di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury. Maria sarebbe diventata badessa del monastero di Barking, monastero che conservava la tomba della badessa sorella dell'arcivescovo. Questa ipotesi, formulata da Carla Rossi, è la più probabile perché innanzitutto è quella più compatibile con i dati anagrafici: la badessa non sarebbe entrata da piccola in convento, ma da vedova, secondo un uso molto diffuso all'epoca. In secondo luogo i testi di Maria di Francia sono stati più volte trasmessi da manoscritti tramandanti testi strettamente legati a Thomas Becket.
  5. Marie di Francia, secondo R. Baum, non è mai esistita e il suo nome è una pura invenzione letteraria che mette insieme un primo nome "Maria" che vuole indicare un'identità letteraria portatrice della cultura e dei valori cristiani all'indicazione "de France" che non deve essere interpretata in senso geografico, ma culturale: l'autore si richiama direttamente alla cultura e ai valori celebrati in quello che era allora il centro culturale più prestigioso: Ille de France. Tra gli studiosi che hanno fatto propria questa ipotesi, non è mancato chi ha veduto la raccolta di Lais come opera di diversi autori, cosa che stride notevolmente con la palese unità stilistica dell'opera.
I lais

Il capolavoro di Maria è una raccolta di dodici lais, scritti tra il 1160 e il 1175, brevi racconti in ottosillabi a rima baciata, dei quali il più corto è il Lai du Chèvrefeuille, che narra un episodio della leggenda di Tristano e Isotta in 118 versi, e il più lungo è l'Eliduc di 1184. Secondo Avalle, l’ottosillabo deriverebbe dal dimetro giambico, metro caratterizzato da un ritmo veloce.

L'etimologia della parola "lai" (singolare di "lais") è tuttora incerta. Una delle ipotesi più credibili è la derivazione dalla parola (ricostruita) celtica "laid" con il significato di "canto" da cui deriverebbe anche il tedesco "lied" (canto). Questa ipotesi etimologica è supportata dal fatto che i lais venivano cantati o recitati con l'accompagnamento di arpa o viola. Il dittongo –ai si pronuncia [ε], monottongamento molto precoce nel francese antico.
I lais di Maria di Francia presentano un prologo in forma poetica, cosa molto frequente durante il Medioevo, epoca in cui anche testi didattici, filosofici, precettistici venivano redatti in versi. Il metro usato per questi componimenti è l'ottosillabo che secondo Avalle deriverebbe dal dimetro giambico latino. Questi racconti in versi presentano ciascuno un piccolo prologo e un epilogo ed una struttura costante: un'introduzione, uno svolgimento, una conclusione. I luoghi citati a volte sono mitici altre volte reali.
Le fonti dei suoi componimenti sono diverse: in alcuni lais si tratta di fonte orale, in altre di fonte scritta, altre volte la storia viene presentata semplicemente con l'accenno dell'Autrice: "Secondo il racconto che conosco". Maria dichiara nel prologo di aver scritto i suoi testi derivandoli da leggende bretoni: in effetti uno solo è propriamente arturiano, il Lai de Lanval in cui compaiono eroi tipici del mondo arturiano, come Galvano e Ivano.
Tutti i suoi racconti narrano vicende d'amore, spesso adultero, che sono poi sistematicamente il motore dell' "aventure" che si svolge sullo sfondo del mondo reale, ma che vedono la presenza di elementi del meraviglioso, mescolando tematiche e tono cortesi, alla magia delle leggende celtiche, ad immagini e topoi evangelici a elementi tipicamente ovidiani.
Alcuni dei lais possono essere raggruppati secondo un tema dominante, per esempio: Yonec, Lanval e Bisclavret sono accomunati dalla presenza del paranormale, Milun e Fresne dalla tematica del rapporto genitori-figli, Deus amanz e Laustic dall'amore triste.
I protagonisti non sono grandi eroi o famosi re, ma semplici cavalieri e semplici dame spesso in situazioni drammatiche che tendono a ripresentarsi in situazioni topiche come il caso della donna malmaritata, del marito vecchio e geloso, genitori che allontanano il figlio, luoghi magici riservati a iniziati.
La raccolta di lais, nell'ordine tramandato dal manoscritto Harley 978, presenta i seguenti testi:
  • Prologo. Nel prologo L’Autrice afferma di aver ricavato la materia da leggende bretoni. Un solo Lai è, infatti, propriamente arturiano: Lanval. Questo prologo è tramandato dal codice Harley 978 (siglato H), redatto in un monastero anglonormanno in Inghilterra nella seconda metà del XII secolo. Verosimilmente, il prologo è stato scritto dopo i lais e contiene costanti riferimenti alle auctoritas evangeliche e tardo latine. l’Autrice ricorre al topos della sapienza come lucerna, e come tale va tenuta in alto, in modo da portar luce a quante più persone possibili.
  • Lai de Yonec. Risalente ad un’antica leggenda irlandese del IX sec. Racconta la storia dell’amore adulterino con elementi fantastici.
  • Lai de Frêsne. In seguito ad un parto gemellare,Fresne(Frassino), giovane dolce e remissiva, viene abbandonata. Questo lai è accomunato a Milun dalla tematica dello scontro generazionale. I modelli sono rintracciabili nella commedia nuova di Menandro e Terenzio.
  • Lai du Chaitivel (Quattre dols). “Cattivello” detto anche “Quatre dols” ( Quattro dolori). Sviluppa il tema della donna affascinante, seduttiva e pericolosa.
  • Lai de Lanval. È accomunato a Yonec dalla presenza del meraviglioso. È la storia di una fata che si innamora di un essere umano e che lo porterà con sé ad Avalon. Presenta numerosi elementi arturiani. I modelli vanno rintracciati in racconti biblici, e in racconti classici come Fedra e Ippolito.
  • Lai de Milun. Il tema dominante è quello dello scontro genitori-figli. Milun, nato da una relazione extraconiugale, viene fato allevare dalla zia lontana. Come in Fresne, anche qui appare il motivo del segno di riconoscimento di impronta arturiana.
  • Lai des deus Amanz. Sviluppa il tema dell’amore e morte, con modelli rintracciabili in “Piramo e Tisbe”.
  • Lai d'Eliduc. Versione con patina bretone del tema del marito con due mogli. L’etimologia del nome va ricondotta a “Eles deus” .
  • Lai du Bisclavret. Narra la storia di un uomo che si trasforma in lupo. I modelli che hanno ispirato questo lai si possono rintracciare in Erodoto, Plinio e Petronio. L’etimo del nome è incerto; secondo Rychner, deriverebbe da “bleiz lavaret” ( lupo parlante); un’altra ipotesi è da “bisc lavret” (coi calzoni corti).
  • Lai de Guigemar.
  • Lai d'Equitan. Un cavaliere si innamora della moglie del vassallo, e quindi, insieme alla donna, tenta di uccidere il marito di lei, ma il piano va male e saranno loro a morire. Si ha in questo lai un ricorso al triviale e si riscontra la presenza di un proverbio finale. Il tono sardonico che lo caratterizza lo accomuna a Chaitivel.
  • Lai du Chievrefoil. Narra un episodio della storia di Tristano e Isotta assente negli altri manoscritti che tramandano la vicenda, ad eccezione di un riecheggiamento in un codice tedesco.
  • Lai du Laustic o Lai de l'eostic (dal bretone eostig = "usignolo"). Tratta dell’amore contrastato e, come Yonec, della figura della malmaritata. È presente il motivo antico del cuore mangiato.
Favole

Oltre ai Lai, Maria di Francia è autrice di un Ysopet, una raccolta di favole esopiche in prosa (scritte tra il 1167 e il 1189): si tratta del primo adattamento in lingua francese delle favole di Esopo (di qui il termine ysopet), o che si presumeva fossero di Esopo. La principale fonte degli ysopet di Maria è la silloge Romolus in lingua latina.
Maria attinse tuttavia anche a un volgarizzamento in antico inglese attribuito adAlfredo il Grande. Il genere si è sviluppato in epoca medievale, soprattutto nella Piccardia (da qui la "i" del termine "fabliaux" che derivando dal latino "fabula" dovrebbe evolversi in "fableau").
Taliesin, il bardo

Carla Rossi, Marie, ki en sun tens pas ne s'oblie; Maria di Francia: la Storia oltre l'enigma, Rome, Bagatto Libri, 2007.

Carla Rossi, Marie de France et les èrudits de Cantorbéry, Paris, Editions Classiques Garnier, 2009.

Léopold Hervieux, Les fabulistes latins depuis le siècle d'Auguste jusqu'à la fin du moyen âge. Paris : Firmin-Didot, 1899
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Vecchio 24-05-2012, 16.22.22   #19
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La Pulzella di Dio: Giovanna d'Arco

Giovanna d'Arco, la figlia più piccola di una famiglia di contadini del villaggio di Domrémy, in Francia, nacque nel 1412, in un periodo in cui la nazione era sotto la dominazione inglese a seguito della sanguinosa Guerra dei Cent'anni. Inoltre, la regione era stravolta da una guerra civile che vedeva gli Armagnacchi, partigiani del re, schierati con gli inglesi contro i Borgognoni. Uno dei fattori decisivi di questo conflitto interno era rappresentato dal controllo della città di Orléans, situata in posizione strategica sulla riva della Loira. Una sola cosa avrebbe potuto salvare la Francia e farle superare il suo periodo più oscuro... un miracolo.
Alla morte dei re Enrico V di Inghilterra e Carlo VI di Francia, avvenute entrambe nel 1422, gli inglesi proclamarono Enrico VI, allora ancora bambino, re di Inghilterra e di Francia. L'erede legittimo al trono francese, Carlo VII, si rifiutò di abdicare ribadendo i suoi diritti di successione al trono, ma non potè far celebrare la sua incoronazione secondo il rito ufficiale che avrebbe dovuto tenersi nella città di Reims, allora sotto il dominio inglese.
Nel frattempo, nel villaggio di Domrémy, la tredicenne Giovanna d'Arco trascorreva la sua adolescenza in preghiera. La giovinetta non solo era solita confessarsi più volte al giorno, ma spesso udiva "voci" celesti e aveva strane e sorprendenti visioni.
Ella stessa racconta:
La voce mi disse che dovevo lasciare il mio paese per recarmi in Francia. E aggiunse che avrei posto in assedio la città di Orléans. Mi ordinò di recarmi a Vaucouleurs, da Robert de Baudricourt, capitano della città, che avrebbe affidato alcuni uomini al mio comando. Risposi di essere una semplice ragazza che non sapeva andare a cavallo e ignorava come si conduce una guerra.

Sin dall'inizio le fu comunicata la sua missione: era stata scelta da Dio per salvare la Francia e aiutare il Delfino Carlo VII, erede legittimo al trono. Per portare a compimento quanto le era stato comandato avrebbe dovuto indossare abiti maschili, brandire le armi e condurre un esercito.
Un giorno, al suo ritorno dai giochi nei campi, Giovanna scopre che gli inglesi hanno invaso il suo villaggio. Nascosta in una credenza, assiste alla morte della sorella diciottenne, violentata e uccisa da alcuni soldati inglesi. In seguito a questo tragico evento, Giovanna viene mandata a vivere dagli zii in un villaggio vicino. Può sembrare alquanto improbabile che questa giovane ragazza innocente, che non era mai andata a scuola e non sapeva né leggere né scrivere, avrebbe un giorno condotto l'esercito francese alla vittoria sulla grande potenza inglese. Eppure nel maggio del 1428, Giovanna, eliminato ogni dubbio sulla sua chiamata divina in aiuto del re, scende in campo.
Dopo aver lasciato per sempre l'unica casa che avesse mai conosciuto, Giovanna si reca a Chinon per incontrare il Delfino. In un primo momento, il re e i suoi sudditi non sanno cosa pensare delle parole di Giovanna. Informato sulle presunte "visioni" della ragazza, ma nutrendo al tempo stesso dei sospetti sulle sue intenzioni, Carlo incarica il suo migliore arciere, Jean D'Aulon, di prendere il suo posto. Arrivata al castello, Giovanna si accorge dello scambio e lo rivela apertamente, suscitando lo stupore del re che le concede un colloquio privato.
Queste le sue parole a Carlo:
Vi porto notizie dal nostro Dio. Il Signore vi renderà il vostro regno, voi sarete incoronato a Reims e scaccerete i nostri nemici. In questo sono la messaggera di Dio: concedetemi la possibilità e io organizzerò l'assedio della città di Orléans.
Persuaso a credere alle parole di Giovanna, Carlo la mette a capo di un esercito con il quale raggiungere la vittoria sugli inglesi e assicurare la città di Reims per l'incoronazione. Nonostante siano molti a ritenere che la ragazza sia, nella migliore delle ipotesi, un'isterica innocua e, nella peggiore, una vera e propria minaccia non solo al trono, ma alla stessa vita del re, tutti percepiscono in lei un'aurea magica e un'irresistibile capacità di persuasione.
Giovanna si presenta sul campo di battaglia con indosso un'armatura bianca e con un proprio vessillo. L'apparizione impressiona profondamente entrambi gli eserciti, non abituati a vedere una donna impegnata nei combattimenti. Schierata nelle trincee al fianco dei suoi uomini, la Pulzella d'Orléans conduce alla vittoria i francesi, rinvigoriti e ispirati dal loro nuovo comandante. Ma la battaglia non è ancora finita: Giovanna, determinata a sferrare un altro attacco, raduna nuovamente le truppe per liberare per sempre la città di Orléans dalla dominazione inglese. Nonostante il valore con cui viene condotto l'attacco, gli uomini del suo esercito, già esausti, perdono ogni speranza quando la ragazza viene colpita in pieno petto da una freccia. 1 francesi si ritirano e si prendono cura della giovane donna ferita.
Gli eserciti di Francia continuano a trionfare sugli inglesi, sempre più indeboliti, ma, ben presto, alla vista della carneficina causata dai numerosi scontri, Giovanna inizia a provare un profondo rimorso. Sopraffatta dall'entità del massacro, la Pulzella contatta gli inglesi proponendo loro di ritirarsi. Un estratto della lettera inviata da Giovanna al re d'Inghilterra nel 1429 ce la mostra come una paladina della fede:
Sovrano d'Inghilterra, rendete conto delle vostre azioni al Re dei Cieli che vi ha conferito il vostro sangue reale. Restituite le chiavi di tutte quelle care città che avete strappato alla Pulzella. Ella è stata inviata dal Signore per reclamare il sangue reale ed è pronta alla pace se le darete soddisfazione rendendo giustizia e restituendo quanto avete preso.
Sovrano d'Inghilterra, se non agirete in siffatta maniera, io mi porrò a capo dell'esercito e, ovunque sul territorio di Francia trovi i vostri uomini, li costringerò a lasciare il paese, anche contro la loro stessa volontà. Se non dovessero obbedire a questo ordine, allora la Pulzella comanderà che vengano uccisi. Ella è inviata dal Signore dei Cieli per scacciarvi dalla Francia e promette solennemente che se non lascerete la Francia, ella, al comando delle truppe, solleverà un clamore quale non si è mai udito in questo paese da mille e mille anni. E confidate che il Re dei Cieli le ha conferito un potere tale da rendervi incapaci di nuocere a lei o al suo coraggioso esercito.
Come per miracolo l'esercito inglese si ritira. Si tratta di una vittoria sorprendente che consente l'incoronazione di Carlo a Reims.
Una volta incoronato, Carlo VII sembra pienamente soddisfatto. Non altrettanto Giovanna, che decide di continuare a combattere. Le sue truppe, ridottesi ormai da varie migliaia a poche centinaia di uomini, sono stanche e affamate. Aulon la informa che non soltanto Carlo ha abbandonato l'intenzione di fare una guerra, ma sta ordendo dei piani per tradirla. Rinnovando la sua fede in Dio, la giovane si sente obbligata a continuare a combattere con determinazione fino a quando le "voci" non le ordinino altrimenti.
Contro ogni parere, la Pulzella fa volta verso Compiègne dove ha luogo una battaglia durante la quale viene fatta prigioniera dai Borgognoni, un gruppo di mercenari che sostengono gli inglesi. Venduta al suo nemico, Giovanna si risveglia in una cella insieme alla sua Coscienza, che le appare nelle vesti di un misterioso uomo incappucciato. L'uomo incrina la volontà ferrea della giovane e le pone delle domande che la spingono a mettere in dubbio la veridicità delle sue visioni.
Abbandonata da tutti, Giovanna viene accusata di eresia e di stregoneria. Ha quindi inizio il processo per dimostrare che è una strega. Più e più volte le vengono poste domande sulle sue visioni e sulla sua fede nella Chiesa Cattolica. Fra una seduta e l'altra, la giovane conferisce con la Coscienza, che critica la sua fiducia in lui e la sua ingenuità.
Giovanna ne è devastata e comincia a perdere le speranze.

Poco prima che il processo si concluda, viene chiesto alla Pulzella di rinunciare ai suoi intenti passati e di giurare di non indossare più armi o abiti maschili, pena la morte sul rogo. Giovanna acconsente e viene condannata alla prigione a vita. All'ultimo momento, però, la giovane donna si rifiuta di sottomettersi al giudizio di una corte inglese. La sua decisione fa di lei un'eretica impenitente e la destina a morte certa.
Nel maggio del 1431, Giovanna d'Arco venne bruciata sul rogo nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen.

Taliesin, il bardo

tratto da: tiscalinet.appuntiericerche
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Vecchio 25-05-2012, 12.44.25   #20
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La Spina e La Rosa: Rita degli Impossibili

Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una visione.

Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.

E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.

Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.

Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di S. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.

Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.

I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta.

E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito, erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.

Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fà di loro secondo la tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della madre.

La violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius, distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.

Ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.

Per la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso, si narra che una notte, Rita come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio” (specie di sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri al disopra del villaggio di Roccaporena), qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori già citati, che la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero, si cita l’anno 1407; quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.

Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere.

Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente, costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.

E in questa fase finale della sua vita, avvenne un altro prodigio, essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente, che nel congedarsi le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena e Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa dall’orto, ma la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi ciò non era possibile, ma Rita insisté.

Tornata a Roccaporena la parente si recò nell’orticello e in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata, stupita la colse e la portò da Rita a Cascia, la quale ringraziando la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.

Il 22 maggio 1447 Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.

Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella Basilica-Santuario di S. Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di S. Rita.
Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.

Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente.

Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di S. Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.

Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.

Taliesin, il bardo
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