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Vecchio 22-01-2010, 01.20.57   #151
Guisgard
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ARDEA DE' TADDEI

LXXIX

“Cavalieri forti e feroci incontrerai
sul tuo cammino. Ed al tuo fianco
troverai solo la tua Fede ed il tuo
coraggio.”
(Le Geometriche, libro V)


Il nostro scudiero non impiegò molto a riconoscere quei tre cavalieri.
Erano tre fratelli, appartenenti ad una nota famiglia che vantava una nomea alquanto ambigua.
I loro nomi erano Bartolo, Antonio e Bienzo, della famigerata stirpe dei Merchitti.
Erano mercenari senza scrupoli e nel vederli Biago capì che la situazione sarebbe potuta precipitare molto presto.
“Perché siete ricorsi ai servigi di questi cavalieri?” Chiese a Lugos chiamandolo in disparte.
“Perché noi Carditesi siamo da sempre gente pacifica, tranquilla” rispose Lugos “ed aliena alle armi ed all’arte di procurar danno al prossimo.”
“Questi cavalieri invece” ribatté Biago “sono proprio l’opposto della tua gente! Sono avidi e bellicosi!”
“Conosci forse un altro modo per riportare la pace a Cardizia?” Chiese Lugos. “O per poter liberare il tuo compagno?”
Biago non rispose nulla. Decise di aspettare l’evolversi degli eventi, sperando, in cuor suo, che tutto ciò non li avrebbe condotti alla rovina.
“Chi è tra voi” cominciò a chiedere ser Bartolo dei Merchitti “che è appena tornato dalle prigioni di quel luogo?”
I due compagni fuggitivi di Biago, intimoriti al solo pensiero di dover ritornare in quel posto, restarono in silenzio, palesando la natura remissiva del loro popolo.
Biago invece, ansioso di ritornare a cercare Ardea, rispose lesto a quell’appello.
“Sono io, cavaliere.” Rispose facendo un passo avanti.
“Bene” disse ser Bartolo “e allora ci farai da guida conducendoci nel palazzo di quelle maledette.”
In breve furono pronti per partire.
Assieme ai tre cavalieri e a Biago, si aggiunse un piccolo drappello formato da Lugos ed alcuni dei suoi.
Ripercorsero a ritroso il cammino che i fuggitivi avevano fatto e si ritrovarono al corso d’acqua.
Da qui scesero sotto le mura di Cardizia, arrivando alla galleria che li avrebbe condotti nelle segrete.
Lugos ed i suoi avrebbero atteso qui, senza procedere oltre, i quattro, attendendo un segnale per intervenire. Altri dei suoi stavano per giungere dalla foresta e, dietro le indicazioni dei tre cavalieri, si appostarono attorno alla grande porta che dava l’accesso a Cardizia.
In una cella delle segrete intanto, Ardea era stretto tra dubbi ed interrogativi.
Si chiedeva cosa sarebbe stato di lui e cosa stessero facendo, quelle donne, al suo scudiero. Inoltre non riusciva a togliersi dalla mente quella bellissima donna che gli aveva donato una passionale notte d’amore per poi farlo rinchiudere in quella cella.
Ad un tratto percepì dei rumori confusi. Ebbe subito il sentore che non fossero le guardie.
Un attimo dopo, alcune pietre della parete iniziarono a scuotersi. Poi, come spinte dall’esterno, vennero avanti e mostrarono un passaggio scavato nella parete.
“Salute, cavaliere!” Disse una voce stridula. “So che si ozia bene qui dentro, ma, credimi, fuori si sta meglio!”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Ardea, che aveva riconosciuto quel mezzo matto incontrato nell’anticamera del palazzo.
“Calati qui dentro e seguimi!” Disse con tono spiccio quel pazzo.
Ardea, senza farselo ripetere, seguì le indicazioni di quel singolare individuo ed in breve i due si ritrovarono in una galleria semi illuminata dalle fessure che si aprivano sulla volta.
Intanto, negli appartamenti regali di quel palazzo, Alaida era tormentata da ciò che gli diceva il suo cuore.
Fissava il ritratto di Icaro sul soffitto e amare lacrime scendevano sulla sua rosea e vellutata pelle.
Malediva se stessa, il suo destino e la potenza di Amore.
Aveva fatto di tutto per sfuggirgli, per riparasi dai suoi dardi. Aveva tentato di rendere come la pietra il suo cuore, convinta che le sue frecce non avrebbero potuto scalfirlo.
Aveva vissuto con il ricordo del giuramento fatto a sua madre, che mai avrebbe ceduto alle illusioni di Amore.
Ma erano bastati gli occhi azzurri di un misterioso cavaliere per far diventare tutto ciò un’eterea convinzione.
Ma, all’improvviso, alcune grida la destarono dai suoi tormenti. Corse ad aprire la porta per capire cosa stesse succedendo.
Ma una sua guardia la precedette, entrando di corsa nella stanza.
“Mia regina” disse ansimando la donna “tre cavalieri pesantemente armati e ferocemente determinati sono penetrati dalle segrete. Hanno assalito a tradimento le altre guardie ed hanno appiccato il fuoco nei sotterranei. Hanno poi, con l’aiuto di alcuni complici, fatto aprire la porta grande e gli uomini della foresta, anch’essi armati, sono entrati a Cardizia!”
Un brivido di paura misto a collera percorse il volto di Alaida.
Ma l’amazzone guerriera non si perse d’animo.
“Raduna ciò che resta della guardia reale” ordinò alla sua soldatessa “e attaccate senza pietà quei marrani!”
Poi corse verso un baule d’ebano finemente intarsiato e lo aprì.
Estrasse una luminosa spada che emanava intensi ed aurei bagliori.
“Vediamo se la scritta che rechi incisa sulla tua lama” disse fissando quella superba spada “saprà ricacciare di nuovo negli inferi i demoni che ci assalgono!”
Impugnò allora la sacra Parusia, sottratta al cavaliere imprigionato e si diresse verso quelle grida che si diffondevano disperate per tutto il palazzo.


(Continua...)
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Vecchio 24-01-2010, 23.56.37   #152
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LXXX

“Dalla grande porta al palazzo
centrale avanza un’Averno di
fiamme! Nola è perduta!”
(Le Geometriche, libro V)


Intanto, in una galleria sottostante al palazzo, l’eco di quelle grida erano giunte anche ad Ardea ed al suo liberatore.
“Cosa accade?” Chiese Ardea.
“La rovina dell’Incerto regno che domina Cardizia.” Rispose l’uomo.
“Dobbiamo salire su, allora!” Disse Ardea.
“Sei folle?” Esclamò l’uomo. “Vuoi tornare in quel luogo ora che si sta scatenando l’Inferno?”
“Il mio compagno è ancora lì!”
“Non più!” Rispose l’uomo. “E’ fuggito. Ora è con gli uomini della foresta.”
“Ne sei certo?”
“Si. Fui io ad aiutare lui ed altri due prigionieri. Proprio come sta tentando di fare con te ora.”
“Io però deve tornare a recuperare la mia spada.” Disse Ardea.
“Una spada non vale la tua vita!” Esclamò l’uomo.
“Quella è la spada di mio padre” disse Ardea “ed io non la lascerò qui!”
“Torni per la spada o per la regina?” Chiese l’uomo.
“Indicami da dove posso risalire per giungere nel palazzo.”
“Quella donna ha stregato anche te!” Disse l’uomo. “Seguimi!”
Avanzarono allora fino ad un piccolo cunicolo che li avrebbe condotti nei piani alti del palazzo.
Qui intanto stava scatenandosi l’Inferno.
I tre cavalieri mercenari facevano scempio delle soldatesse carditesi, mentre il fuoco iniziava ad avvolgere le fondamenta del palazzo.
Ad un tratto apparve un cavaliere.
Era ricoperto da una armatura cromata che emanava rosei bagliori ed impugnava una spada lucente come il Sole.
Appena l’ebbero visto, i tre Merchitti si apprestarono a sfidare quel cavaliere.
Iniziò così una feroce contesa. Ma nonostante l’impari sfida, quel cavaliere teneva con maestria testa a quei tre.
Intanto, Ardea ed il suo liberatore erano risaliti nel palazzo.
E una scena apocalittica si mostrò allora ai loro occhi.
Uomini e donne si battevano senza sosta e senza pietà, mossi da un odio primordiale, mentre il fuoco pian piano consumava le mura del palazzo.
“Ardea!” Gridò una voce familiare. “Sei vivo, grazie al Cielo!”
Era Biago.
“Sono felice di rivederti, amico mio…” disse Ardea “…ma dobbiamo salvare il palazzo!”
“Ormai è tardi!” Rispose Biago. “Quei dannati Merchitti hanno dato fuoco a tutto.”
“Di chi parli?” Chiese Ardea.
“Sono tre mercenari assoldati dagli uomini della foresta per riprendersi Cardizia!”
“Il fuoco” disse Ardea “parte dai sotterranei. Dobbiamo trovare il modo di spegnerlo. Servirebbe dell’acqua. Tanta acqua!”
“C’è un modo.” Intervenne l’uomo che l’aveva salvato. “La galleria in cui passa il corso d’acqua è costituita da mattoni crudi. Se l’abbattessimo il corso d’acqua invaderebbe i sotterranei, spegnendo il fuoco.”
“Sei un genio, vecchio pazzo!” Disse entusiasta Ardea.
“No!” Intervenne Lugos. “Questo posto e tutto quello che rappresenta deve essere distrutto! Non vi permetteremo di salvarlo!”
”Ascolta…” disse Ardea prendendolo per la giubba “…se questo palazzo brucerà, in breve brucerà tutta Cardizia!”
Poi ordinò a Biago e ad altri uomini di seguire il vecchio e fare come diceva loro.
Lui intanto, attirato dalle grida della battaglia, si lanciò nella mischia.
Vide allora lo scontro tra i tre Merchitti ed il cavaliere dalla corazza rosata.
E riconobbe in pugno a quest’ultimo la sua Parusia.


(Continua...)
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Vecchio 26-01-2010, 00.21.19   #153
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LXXXI

“Non vi è gloria nella battaglia,
ma solo nemici. E non vi è fama
nella vittoria, ma solo liberazione
da quest’odio che ci spinge a combattere.”
(La faida tra l’impero e il regno, IX)


Quel cavaliere, sebbene veloce nelle movenze e preciso nel colpire, iniziava a soffrire l’attacco simultaneo dei tre Merchitti.
Benzo allora, accortosi della difficoltà del cavaliere, tentò di infilzarlo alle spalle.
Questi però, capite le sue intenzioni, lo aggirò e lo colpì con un fendente mortale.
Alla vista del fratello colpito a morte, Antonio si lanciò con rabbia verso il suo avversario e lo trafisse ad un fianco.
Questi si accasciò a terra.
Antonio allora tirò il suo fendente per finire l’avversario, ma una veloce e poderosa lama fermò il suo colpo.
“Chi siete?” Chiese il Merchitto.
“Il duello è finito, cavaliere!” Rispose Ardea, puntando la spada con la quale lo aveva fermato, alla gola di Antonio.
“E chi l’ha deciso?” Ringhiò Antonio.
“La vostra buona sorte!” Rspose Ardea. “Perché se non mettete via la spada oggi sarà il vostro ultimo giorno.”
“Chi siete per parlare così ad un cavaliere?” Chiese irritato Bartolo.
“Non vedo cavalieri qui.” Rispose Ardea. “Tre contro uno non è da cavalieri, ma da vigliacchi.”
Antonio, infangato da quelle parole, lo assalì con violenza. Ed altrettanto fece suo fratello Bartolo.
“Questa è vostra!” Gridò da terra il cavaliere rosato, lanciando ad Ardea la sua Parusia.
L’eroe la impugnò e raccolse la sfida dei due marrani.
Lo scontro fu subito duro. I due avversari erano animati da odio e rabbia per la morte del loro fratello e lanciavano poderosi colpi verso Ardea.
Questi riusciva a difendersi bene dai loro attacchi, ma era impossibilitato ad offendere, senza rischiare di indebolire la sua difesa.
Tutto questo mentre attorno continuavano gli scontri tra gli uomini e le donne di Cardizia ed il palazzo era sempre più avvolto dal fumo e dal fuoco.
Ad un tratto, vedendo Ardea in difficoltà contro i due Merchitti, il cavaliere rosato, strisciando, arrivò a raccogliere una lancia e affidandosi alle poche forze che gli restavano, trafisse ad una gamba Bartolo.
Venuto meno l’appoggio di suo fratello, Antonio si ritrovò a combattere da solo. E l’esitazione per questa nuova situazione gli fu fatale.
Con un abile e preciso colpo, Ardea lo trafisse mortalmente.
Bartlo intanto, estratta la lancia dalla sua gamba, cercò di colpire il cavaliere rosato, ma Ardea lo raggiunse e con un colpo gli mozzò il braccio destro, lasciandolo a terra tra le sue grida laceranti ed il suo sangue che lo avvolgeva.
Ardea allora si avvicinò al cavaliere rosato e controllò la sua ferita.
“E’ un brutto taglio…” disse “…ma non è mortale.”
Il cavaliere ferito fece cenno ad Ardea ti togliergli l’elmo.
Levato l’elmo, Ardea svelò con stupore l’identità di quel cavaliere.
“Alaida!” Gridò Ardea. “Sei tu!”
La regina sorrise.
Nemmeno il sangue ed il sudore che rigavano quel viso, riuscirono a rendere più sbiadita la sua bellezza.
Ardea allora l’alzò da terra e la condusse in una vicina stanza.
“Avevi ragione tu…” disse la donna piangendo “…non si può vivere senza l’amore.”
Ardea l’accarezzò con dolcezza.
“Ora pensa a riposarti.” Le sussurrò.
“Salva le mie compagne…ti prego…” Disse Alaida con un fil di voce.
Ardea le sorrise ed annuì.
“Mio bel cavaliere senza nome…” sospirò la regina “...ti amo…”
Detto questo, perse conoscenza.
Ardea accarezzò il suo bel viso e l’adagiò sul letto.
L’affidò a due ancelle e corse fuori.
Prese allora un grosso corno e lo suonò con forza.
In quel momento cessarono i furiosi scontri.
“Basta combattere tra voi!” gridò Ardea. “Figli e figlie di Cardizia, se amate questa terra e ne siete degni, allora aiutatemi a salvare questo palazzo!”
La sua voce echeggiò nelle loro menti e sembrò scuotere nel profondo quegli uomini e quelle donne.
Tutto questo mentre il fuoco si faceva sempre più minaccioso, deciso, come mosso da collera divina, a cancellare ogni cosa di quel luogo.


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Vecchio 27-01-2010, 00.16.27   #154
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LXXXII

“Toccherò di nuovo il Sole!
Oh Cielo, accoglimi. E tu terra
sostienimi.”
(La vendetta di Icaro)


Tutti allora, come se le parole di Ardea avessero scosso le loro coscienze da un lungo torpore, cominciarono a darsi da fare per domare le fiamme.
Ardea intanto corse nei sotterranei, dove Biago e gli altri cercavano di far penetrare le acque del corso d’acqua che scorreva sotto Cardizia.
Questi erano intenti a distruggere parte di quel muro di mattoni crudi.
“A che punto siete?” Chiese Ardea, mentre le fiamme rendevano quasi impossibile respirare.
“Abbiamo trovato delle piccole crepe” rispose Biago tossendo “nel muro. Le fiamme le hanno rese visibili, ma occorre qualcosa per abbattere questo muro.”
“Prendete quei crossi tronchi” gridò Ardea “li useremo come arieti!”
E mentre gli altri fecero come aveva ordinato, Ardea con tutta la forza che aveva conficcò Parusia in una di quelle crepe e cominciò ad usarla come leva.
I suoi compagni lanciavano poderosi colpi contro quel muro, mentre Ardea tentava di allargare quella crepa.
Pian piano, dalle crepe cominciò a colare acqua.
E ad un tratto, finalmente, il murò cedette sotto la foga e la disperata determinazione di quegli uomini.
L’acqua così invase i sotterranei del palazzo, coprendo le fiamme che sembravano essere giunte dall’Averno.
Nei piani alti, intanto, uomini e donne lottavano strenuamente ed insieme contro ciò che restava dell’incendio.
Ed alla fine vinsero le ultime fiamme.
Vinto così quel nemico, tutti i carditesi e le carditesi compresero finalmente la follia del loro comportamento.
Una nuova epoca sarebbe giunta in quel luogo. L’era dell’incertezza era finalmente tramontata.
Seguirono feste, canti e musica per celebrare il ritorno alla vita di Cardizia.
E durante tali gioiose celebrazioni, Ardea prese la parola:
“Uomini e donne di Cardizia…” gridò, mentre tutti si zittirono per ascoltarlo “…la contrada è di nuovo vostra!”
Ci fu un boato di gioia.
“Il duca ha fiducia in voi” continuò a dire “e sa che saprete ricostruire lo splendore di questa contrada! In nome del duca, vostro e mio signore, nomino Alaida baronessa di Cardizia. Ella saprà guidarvi con grazia ed indulgenza!”
Tutti applaudirono ed apprezzarono le sue parole.
Alaida lo ascoltava dal balcone del palazzo. Lui la vide e la raggiunse.
La donna era nella sua stanza, invasa dalla luce del mattino che la rendeva fresca e luminosa.
“Come stai ora?” Chiese Ardea.
“Molto meglio” rispose lei “e ormai la ferita non fa più male e non ha avuto conseguenze.”
“Bene, ne sono lieto.” Rispose lui.
Lei sorrise malinconica.
“Sono qui per…”
“Per salutarmi, lo so.” Lo interruppe lei.
“Il mio viaggio è solo all’inizio” disse Ardea “e se mi fermassi ora sarebbe la fine di tutto.”
“E poi” disse Alaida “qui non c’è niente che ti spinge a restare…”
Ardea si avvicinò a lei.
“Mia signora…” cominciò a dire “…ho la morte alle calcagna, una colpa nell’animo…ed il volto di una dama nel cuore. Il mio destino è lontano da qui.”
Umide e azzurre lacrime cominciarono a bagnare gli occhi di lei.
“Ti chiedo solo una cosa…” disse lei “…il tuo nome…”
Ardea le si avvicinò e le sussurrò il suo nome ad un orecchio.
Le loro labbra si sfiorarono per un effimero istante, fino a baciarsi.
Ma quel bacio durò solo un attimo.
Uno ultimo intenso sguardo e poi quel cavaliere lasciò la sala e con essa Cardizia.
Rimasta sola, un’ancella le si avvicinò.
“Perché non gli avete detto del bambino, mia signora?” Chiese questa.
“Tenerlo qui senza amore” rispose Alaida “sarebbe solo un delitto ed un eterno tormento. Ma non mi ha lasciata sola.”
Mentre diceva questa cose si accarezzava dolcemente il ventre.
“Questo bambino” disse l’ancella “ sarà nobile e grande. E diventerà un re.”
“No…” rispose Alaida sorridendo “…sarà come suo padre…il più grande di tutti i cavalieri.”
“Come lo chiamerete, mia signora?”
“Un nome che mi rammenterà sempre il breve istante in cui suo padre mi amò” rispose lei “e quando giunsi a toccare quasi il Sole, prima di ricadere sulla Terra.”
E parlando fissava il ritratto di Icaro sul soffitto della camera.
Poi si affacciò dalla finestra ed in lontananza scrutò il suo cavaliere che riprendeva il cammino verso la foresta, accompagnato dal fedele scudiero e dai suoi eterni sospiri.


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Vecchio 28-01-2010, 23.51.15   #155
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LXXXIII


TERZA QUESTIONE: FRATTAGRANDE, IL MOLOSSO DEI MUSSONI

"Nella nebbia si nasconde la tentazione."
(I Racconti della Luna Pallida di Settembre, III)


Il cammino che conduceva Ardea e Biago verso Frattagrande era lungo e stancante.
Avvolta in una verde ed umida brughiera, questa contrada era la più occidentale delle proprietà del duca e ne segnava i confini verso l’ovest.
Miglia e miglia di verdeggianti distese contornavano l’intero paesaggio, mentre un lungo e stretto sentiero si apriva quasi intimorito al suo interno.
E solo verso sera i due avvistarono le cupole ed i campanili delle chiese di Frattagrande.
Ardea, forse aiutato da quell’incorporeo scenario, che il crepuscolo avevo coperto con una tenue nebbia, era perso nei suoi pensieri.
Questo suo viaggio, suo padre, la ragazza vista nella taverna di Caivania, lo sguardo di Alaida, le sue colpe ed i suoi peccati; tutto, come un mare impetuoso, veemente e furioso, inondava la sua mente.
In certi momenti lo sconforto, la rassegnazione, lo smarrimento sembravano prendere il sopravvento.
In un attimo, dalla giorno alla notte, come un impalpabile fatalità, la sua vita fù totalmente cambiata.
La gioia, i sogni, la speranza, la fama, tutto sembrava essersi smarrito, facendolo sentire come un naufrago, approdato su una terra deserta, dopo aver perso ogni cosa.
Egli faceva ricorso a tutte le sue forze, a tutta la sua abilità per portare a termine questa ardua impresa.
Ad ogni contrada egli avrebbe messo in gioco la vita. Sapeva che la morte poteva attenderlo ovunque. Forse proprio a Frattagrande.
Eppure continuava.
Ma per cosa? Si chiedeva in certi momenti in cui lo smarrimento si faceva più forte.
Perché rischiare così la vita?
E se anche, miracolosamente, avesse portato a termine tutte e sette le Questioni avrebbe comunque trovato ad attenderlo quel misterioso cavaliere che sembrava invincibile.
E allora perché non fuggire via?
Perché non cercare una terra in cui ritrovare la serenità perduta e ricominciare di nuovo a vivere?
Forse era la sua debolezza, forse il suo tormento a suggerirgli queste cose.
Forse era il diavolo che già assaporava la sua anima.
Perché allora continuare? Per cosa? Per chi?
Ed era in questi momenti che, come una misteriosa forza, emergeva dal suo cuore un impeto.
Per suo padre. Per ciò che gli ha dato.
Per le sue terre e per chi vi abitava.
Ma anche per se stesso.
Sapeva infatti che in nessun luogo avrebbe mai potuto trovare pace.
Solo con immani fatiche e sacrifici egli avrebbe potuto tentare di lavare il suo cuore da quella colpa.
E se anche avesse dovuto pagare con la vita per quelle sue colpe, egli ben sapeva che all’Inferno non avrebbe trovato tormento peggiore di quello che stava vivendo ora.
Anzi, forse egli sperava, in cuor suo, proprio di morire in questa impresa e trovare finalmente sollievo dai sui supplizi.
Ma mentre tali pensieri laceravano il suo animo, ad un tratto dalla brughiera circostante emerse un delirante latrato.
“Cosa è stato?” Chiese intimorito Biago.
Ardea non rispose e fece cenno di tacere al suo scudiero.
Un attimo dopo uno spaventoso ringhio si diffuse tra le nebbia e la sbiadita luce lunare.
“Di nuovo!” Disse spaventato Biago. “E stavolta sembra più vicino!”
“Teniamoci sulla strada ed evitiamo la brughiera.” Disse Ardea guardandosi attorno. “Frattagrande non è lontana.”
Ripresero così il cammino con un andamento più svelto, mentre Ardea teneva ferma la mano sull’elsa di Parusia.
Di nuovo nell’aria echeggiò quell’inumano ringhio.
“Si è avvicinato ancora di più!” Disse Biago quasi balbettando.
Proseguirono ancora, guardinghi ed impressionati da quei versi bestiali, fino a quando, poco dopo, giunsero finalmente alle porte di Frattagrande, che come una spettrale visione emergeva inquietante tra il buio della sera ed i lamenti della brughiera.


(Continua...)
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Ultima modifica di Guisgard : 01-02-2010 alle ore 00.17.48.
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Vecchio 01-02-2010, 00.41.02   #156
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LXXXIV

“L’Aldilà non è poi così, lontano.
Immaginate che il mondo e tutto
ciò che conoscete non siano altro
che l’appendice di un qualcosa di
molto più grande. Un qualcosa che
sfocia nell’infinito. Sempre che crediate
all’infinito, ovviamente.”
(La setta degli Illusi, XIV)


Arrivati a Frattagrande, Ardea e Biago trovarono la contrada deserta.
Il silenzio che percorreva le buie strade era rotto dal lento e lamentevole rintocco di una campana.
Decisero così di seguirlo, ritrovandosi poco dopo nel centro di Frattagrande.
Così assistettero ad una triste cerimonia.
Una bara veniva portata verso la chiesa, mentre dietro seguivano tutti i cittadini in religioso silenzio.
Alla testa del corteo vi era una donna che stringeva due bambini. I suoi lamenti, intervallati da uno straziante pianto, sembravano echeggiare nel buio della sera e nella tristezza di quel momento.
Ardea e Biago si segnarono tre volte alla vista di tutto ciò.
“Proprio nel bel mezzo di un funerale” prese a dire Biago “dovevamo capitare qui! Spero solo non sia un brutto presagio.”
I due poi si avvicinarono ad una locanda, dove sulla porta assisteva al funerale il proprietario.
Era un uomo anziano, con capelli ricci e bianchi e baffi arruffati.
“C’è un pasto caldo e un posto per la notte?” Gli chiese Ardea, mentre Biago teneva per le redini i loro cavalli.
“Si...” rispose senza fissarlo quel vecchio “…c’è posto qui. C’è un sacco di posto in questo luogo.”
“Chi era il defunto?” Chiese Ardea.
“Uno come tanti.”
“A giudicare da sua moglie e dai suoi figli” disse ancora Ardea “non doveva essere vecchio.”
“Non lo era.” Rispose con apatia il locandiere.
“Questi sono i nostri cavalli.” Prese a dire Biago.
Il locandiere prese le loro redini e li condusse nella stalla.
Ardea e Biago intanto presero posto ad uno dei tavoli.
“Molto socievole il nostro amico.” Disse con sarcasmo Biago.
Il locandiere ritornò con del vino e due ciotole di minestra.
“Dìte...” prese a chiedere Ardea “…era un uomo importante il defunto? Ho visto che tutta la popolazione seguiva il corteo funebre.”
“Era un povero disgraziato” rispose il vecchio “come tanti.”
“Allora” intervenne Biago, tra un cucchiaio di minestra e l’altro “aveva molti amici.”
Il locandiere lo guardò con un’espressione di fastidio misto ad apatia.
“Quando c’è qualcosa che accomuna gli uomini” rispose “allora questi si ricordano di essere tutti fratelli.”
“Che volete dire?” Chiese Ardea.
“Tutti a Frattagrande” rispose il locandiere “sanno che li accomuna la stessa cosa.”
“E cosa?” Chiese Biago mentre lucidava il fondo della sua ciotola.
“Che moriranno tutti della stessa morte!”
Biago per quella risposta quasi si strozzò, cominciando a tossire forte.
Ardea invece fissò per qualche istante il locandiere. Poi chiese:
“Che storia è questa, vecchio?”
“Una storia maledetta” rispose il locandiere “come la sorte che tocca a tutti noi.”
“Di che sorte parlate?” Chiese Ardea.
“E’ una lunga storia.” Rispose il vecchio.
“Abbiamo tutta la notte.”
Il locandiere fissò quel cavaliere.
“Chi siete?” Chiese.
“Un semplice cavaliere.” Rispose Ardea, riempiendo la sua coppa di vino ed offrendola al vecchio. “Ora bevete con noi e raccontateci cosa accade in questo posto.”
Il locandiere prese la coppa e la svuotò in un sorso solo. Poi prese a raccontare:
“Tutto cominciò quando la gran duchessa morì.”
“Parli di lady Grazia de’Mussoni?” Chiese Ardea “Non sapevo fosse morta!”
“Si...” rispose il vecchio “…la dama di ferro, come noi la chiamavamo, godeva della fiducia del duca e ha retto Frattagrande per quarant’anni.”
“Si, tutti nelle Cinque Vie conoscono lady Grazia.” Disse Ardea. “Ma ora chi governa Frattagrande?”
Il locandiere rise amaramente.
“Nessuno.” Rispose. “Solo la morte e la paura.”
In quell’istante si udì un ultimo rintocco di campana, seguito un momento dopo da un allucinante ululato.
“Per l’Inferno!” Saltò su Biago. “Di nuovo quel verso!”
“Si...” disse il vecchio “...si ode ogni notte.”
“Ma che cos’è?” Chiese visibilmente turbato Ardea.
“E’ il fantasma del molosso di lady Grazia!” Rispose il vecchio.
Ardea e Biago lo fissarono increduli.
“Arriva ogni notte dall’oltretomba, per portarci i tormenti della sua padrona!” Aggiunse il vecchio, mentre la pallida Luna della notte era emersa dalle sottili nuvole del cielo, illuminando una Frattagrande ormai sinistramente vuota e desolata.


(Continua...)
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ARDEA DE' TADDEI

LXXXV

“Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.”
(La Divina Commedia, VI, 19)



Ardea e Biago, alle parole del locandiere, si scambiarono un’occhiata confusa ed incerta.
“Che storia è mai questa?” Chiese Ardea.
“E’ la verità” rispose stancamente il locandiere “e spesso appare più incredibile della fantasia.”
“Il fantasma di un cane!” Esclamò Biago. “Ho sentito sin da piccolo storie di spettri e fantasmi…di re, dame e cavalieri. Ma mai di un cane!”
Il locandiere accennò un ghigno che sapeva di beffa.
“Ma dove è sbucato fuori questo cane poi?” Chiese Ardea.
“Lady Grazia” rispose il locandiere “aveva un molosso a cui era molto affezionata. Era una gran donna, forte, risoluta, con un carattere indomabile. Aveva però una carenza che rendeva il suo vigoroso animo non sempre luminoso…era avara!”
“Si...” intervenne Ardea “...il duca mi raccontava spesso dei suoi vassalli e di lady Grazia diceva proprio questo.”
“Chi siete dunque, cavaliere?” Chiese il locandiere interrompendo il suo racconto.
“Sono un uomo inviato dal duca in questa contrada per controllare se tutto sia in ordine.”
“Allora avrete molto da fare, mio signore...” disse il locandiere “...visto che qui domina il disordine nella sua essenza più reale!”
“Continuate a dirci di lady Grazia e del suo molosso.” Disse Ardea.
“Lady Grazia non amava che qualcuno si avvicinasse al suo palazzo ed alle sue proprietà.” Riprese a raccontare il locandiere. “Non aveva molta fiducia nel suo prossimo.”
“Era cittadina del mondo allora!” Esclamò Biago.
“Si” rispose il locandiere “ed è normale essere diffidenti verso gli estranei…un po’ meno invece è esserlo verso i propri figli.”
“Che volete dire?” Chiese Ardea.
“Lady Grazia conosceva gli animi dei suoi figli” rispose il vecchio “e conosceva la loro avidità e l’astio che c’era fra di loro. Una volta uno dei suoi servi mi raccontò che ella evitava di fare testamento, per paura di essere uccisa!”
“Per l’Inferno!” Esclamò Biago.
“E quel cane quindi le serviva per difendersi dai suoi stessi figli?” Chiese incredulo Ardea.
“Si” rispose il locandiere “e per strana ed innaturale che possa sembrare è questa la nuda e cruda verità.”
“Salute.” Disse ironico Biago e scolò la sua coppa di vino.
“E dopo la morte di Lady Grazia” chiese Ardea “che fine ha fatto il suo cane? Parlate di un fantasma,quindi presumo sia morto.”
“Si.” Rispose il vecchio locandiere. “Morì poco dopo la sua padrona. Forse per la nostalgia.”
“Questo non faccio fatica a crederlo.” Intervenne Biago. “Spesso gli animali si sono dimostrati più umani di molti individui che ho conosciuto.”
“E da quando questo cane è tornato dall’Aldilà?” Chiese Ardea con sarcasmo.
“Poco dopo essere morto.” Rispose il vecchio. “Appena gli scontri tra i figli di lady Grazia si fecero più violenti.”
“Si contendono le sue proprietà, immagino.” Disse Ardea.
“Ed il potere su Frattagrande.” Aggiunse il locandiere.
“Questo sarà il duca a deciderlo.” Sentenziò Ardea.
Il locandiere lo fissò senza dire nulla.
“Comunque” intervenne ancora Biago “questa storia è assurda! Non può esserci il fantasma di un cane. Tutti sanno che gli animali non hanno un’anima!”
“L’Inferno ha molti orrori inspiegabili per noi mortali.” Rispose il locandiere.
“L’Inferno ha molti orrori.” Disse Ardea. “Proprio come la follia umana.”
“Ma dove appare questo fantasma?” Chiese Biago.
“Ogni notte nella brughiera” rispose il vecchio “e si aggira attorno al palazzo di lady Grazia. E chiunque abbia la sventura di incontrarlo finisce sbranato. E oggi ne avete avuto testimonianza.”
“Un fantasma che sbrana…” Ripeté Biago.
“E’ come se la gran duchessa l’avesse inviato dall’Aldilà per evitare che i figli possano mettersi d’accordo sulla sua eredità!” Disse il vecchio con gli occhi spalancati dal terrore.
“Tutto ciò è assurdo...” Disse Ardea.
“Eppure lo abbiamo sentito nella brughiera, ricordi?” Intervenne Biago.
Ardea si avvicinò alla finestra e cominciò ad osservare l’oscurità della notte.
“Si, qualcosa deve esserci la fuori nel buio...” disse scrutando l’immensità della notte “...qualcosa che sembra voler tormentare i vivi attraverso i supplizi dei morti...”
Un rintocco di campana si diffuse in quel momento per le strade di Fattagrande, come se stesse indicando l’ora più oscura e misteriosa della notte.
L’ora in cui i morti ritornano per perseguitare i vivi.


(Continua...)
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ARDEA DE' TADDEI

LXXXVI

“Stirpe maledetta e caina che finge
di non udire il lamento del proprio
sangue reale!”
(La Guerra dell’Oro, VII)


Poco dopo, Ardea e Biago presero possesso della loro camera.
Biago, stanco per il viaggio, cadde subito nelle tenere braccia di Morfeo.
Ardea invece, in balia di pensieri e preoccupazioni, impiegò un po’ prima di addormentarsi.
La notte tuttavia, nonostante la tetra atmosfera di Frattagrande, trascorse tranquilla.
L’indomani, i due scesero per la colazione nella sala da pranzo.
E qui trovarono un’inaspettata sorpresa.
Un uomo, asciutto nel fisico e rugoso nel volto, li stava attendendo.
Era abbigliato al modo degli stallieri e diceva di aver avuto ordine di condurre i due nuovi arrivati al palazzo ducale.
“Costui ha nome Giovanni” disse il locandiere “ed è al servizio dei Mussoni da anni ormai. E’ una persona di piena fiducia. Potete seguirlo tranquillamente.”
“Veramente” intervenne Biago “non abbiamo ancora fatto colazione…”
“Al palazzo” rispose Giovanni accennando un inchino “è tutto pronto per accogliervi. I miei signori attendono voi per la colazione.”
“A cosa dobbiamo questo invito al palazzo?” Chiese Ardea.
“I miei padroni sono vassalli leali e fedeli” rispose Giovanni con un tono di rispetto e pudore “e desiderano che un cavaliere del duca ed il suo scudiero alloggino al palazzo.”
“Sanno già chi ci manda.” Disse Ardea sarcastico guardando il locandiere. “Sembra che in questa contrada le voci corrano anche di notte.”
Poi, prese le loro cose, seguirono quel uomo.
Poco dopo si ritrovarono davanti al palazzo ducale di Frattagrande.
L’edificio era grande e ornato di diversi fregi e stendardi, che raccontavano il lignaggio ed il prestigio della stirpe dei Mussoni.
Giunti nel grande cortile colonnato, trovarono ad attenderli un uomo di bassa statura ma di portamento fiero.
“I miei saluti, cavaliere!” Disse andando incontro ai due ospiti. “Sono Luigi de’Mussoni e vi porgo il benvenuto a Frattagrande.”
“I miei omaggi, milord.” Rispose Ardea.
“Con chi ho l’onore di parlare, messere?” Chiese Luigi.
“Sono, come già sapete, un cavaliere inviato dal duca per controllare come procedono la conduzione e l’amministrazione di Frattagrande.”
“Ed avete un nome, presumo?” Chiese ancora Luigi.
“Ho un nome, milord, come tutti i cristiani...” rispose Ardea “...ma feci voto solenne di non rivelarlo mai ad alcuno. Se vi aggrada potete rivolgervi a me con l’epiteto di cavaliere disonorato.”
“Singolare soprannome!” Esclamò stupito Luigi.
“La cavalleria insegna a noi suoi adepti che la vanagloria e le frivolezze della vita vanno annullate.” Rispose Ardea. “Io peccai proprio in simili carenze ed il mio nome, ancora oggi, ricorda la mia colpa.”
“Sebbene” rispose Luigi “il vostro portamento e le vostre parole neghino il sospetto in voi di tali colpe, rispetterò questo vostro voto e vi chiamerò come mi avete detto.”
Ma proprio mentre Luigi parlava, Ardea notò una figura che da una delle finestre che davano sul cortile li stava fissando.
Era una donna, dai chiari capelli e dall’aspetto avvenente.
“Vedo che non hai perso tempo ad accogliere i nostri ospiti.” Disse una voce appena giunta nel cortile.
“Sebbene dimori ancora instabilità in questa contrada” rispose Luigi “le regole del buon vivere civile non le abbiamo dimenticate.”
Poi, rivolto ad Ardea aggiunse:
“Cavaliere, questa è mia sorella Maria.”
La donna fece un inchino e si presentò ad Ardea.
Era questa una bellezza bruna, dai lineamenti gentili e ben fatti. Prosperosa nelle forme e fiera nel portamento.
“Sono sicura” disse la donna “che mio fratello avrà ben soddisfatto il ruolo di padrone di casa, sebbene non ne abbia nessun titolo, porgendovi il nostro benvenuto.”
“Qualcuno doveva pur accogliere l’inviato del duca!” Sbottò infastidito Luigi.
“Ed hai fatto benissimo, fratello mio.” Rispose Maria che poi, rivolta ad Ardea, chiese:
“Qual è il vostro nome, messere?”
“Come ho già spiegato a vostro fratello” rispose il cavaliere “un voto impostomi dal mio credo fa si che tutti mi chiamino cavaliere disonorato.”
“Un nome tanto meschino per un uomo così affascinante?” Rispose Maria. “Ed immagino che il vostro valore non sia da meno del vostro aspetto.”
“Milady...” disse Ardea chinando il capo “...vi benedica Iddio per le vostre parole.”
“Direi di raggiungere la sala grande” intervenne Luigi “dove ci verrà servita la colazione. Se volete farmi la compiacenza di seguirmi.”
Ma prima che lasciassero il cortile, ad Ardea non sfuggì un cenno tra Maria e Giovanni.
Un cenno quasi di intesa che però colpì il cavaliere per la forma confidenziale con cui fu posto dalla donna a quel servitore.
Giunti poi nella sala grande, altre due donne andarono incontro ai nuovi arrivati.
“Queste sono le mie due sorelle Ania e Rosetta.”
Le due donne si presentarono con rispettosi inchini e larghi sorrisi ai loro ospiti.
Costoro erano di qualche anno più giovani di Maria e a differenza della sorella maggiore erano molto più chiare di carnagione, sebbene meno affascinanti. Le accomunava il castano chiaro dei loro capelli ed un fare nei loro modi che tradiva una certa indole battagliera.
“Visto che ci siamo tutti” prese a dire Luigi “direi di metterci a tavola per la colazione. I nostri ospiti saranno affamati.”
“Manca ancora Parzia” rispose con tono fermo Maria “e sono sicura che i nostri ospiti vorranno conoscerla e godere, con noi, della sua compagnia..”
E proprio in quel momento giunse nella sala una ragazza.
Era più giovane delle altre e tradiva un portamento molto meno distinto.
Il suo fare disinvolto, che ben si legava alla sua avvenenza, ben dipinta dal biondo tenero dei capelli, dal viso gradevole e dalle forme aggraziate, colpì subito Ardea.
Un’ampia scollatura si apriva sul suo vestito turchese ed uno sguardo ammaliante era impresso sul suo volto.
“Questa è Parzia, nostra sorella minore.” Disse Maria.
Ardea nel vederla subito riconobbe in lei la ragazza che li stava osservando da una finestra del cortile poco prima.


(Continua...)
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Vecchio 08-02-2010, 01.08.48   #159
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ARDEA DE' TADDEI

LXXXVII

“Quella tavola era imbandita
da pietanze fumanti e colorati
nettari. Le candele profumavano
l’aria di aromatiche essenze e
scintillanti posate impreziosivano
i posti a sedere. A quella tavola però
mancavano armonia, lealtà e amore.”
(Il pasto dei Primi, VIII)


“Benvenuto nel palazzo dei Mussoni, cavaliere.” Disse Parzia inchinandosi.
Sul suo volto era dipinto un malizioso sorriso, mentre quel vestito che indossava faceva ampio sfoggio del suo avvenente corpo.
“Parzia è la più giovane fra noi” intervenne Maria “ed è quindi diletto di noi tutti coccolarla e viziarla.”
“Noi tutti?” Prese a dire Luigi. “Parla per te, sorella mia. Su queste cose l’ho sempre pensato come nostra madre, che Dio l’abbia in gloria.”
“Nostra madre, come ben sai, anche se ora sembri averlo dimenticato, adorava viziare ognuno dei propri figli. Compreso te, fratello caro.” Rispose Maria.
Luigi le lanciò un’occhiata di astio e disgusto.
“Gli affari di famiglia” intervenne Rosetta “riguardano noi soli. Direi perciò di annoiare oltre con simili questioni i nostri ospiti e di prendere invece posto a tavola.”
“Sono perfettamente d’accordo con te.” Rispose Maria sorridendo a denti stretti.
Così, una volta seduti a tavola, fu servita loro la colazione.
“E’ di vostro gradimento il tutto, messere?” Chiese Parzia con un sorriso ammaliante.
“E’ tutto squisito, damigella.” Rispose Ardea.
“La nostra Parzia” intervenne Maria “ha tra i suoi diletti e le sue virtù un vivace amore per l’arte culinaria. E questa colazione è stata appunto preparata da lei… per voi.”
“Per me?” Ripetè stupito Ardea.
“Certo” rispose Maria. “Sapevamo del vostro arrivo qui a Frattagrande.”
“ E come, milady?” Chiese Ardea. “Visto che sono giunto in incognito?”
“Lo eravate forse prima di giungere qui” rispose Maria sorseggiando dalla sua coppa “ma una volta attraversate le mura, noi sappiamo ogni cosa di ciò che accade a Frattagrande.”
“Fa parte dei nostri doveri di fedeli vassalli del duca, ovviamente.” Precisò Luigi.
“Ovviamente.” Rispose Ardea bevendo dalla sua coppa.
Poi, rivolto a Parzia, aggiunse:
“Raramente ho assaggiato, al di fuori del mio castello, una colazione tanto prelibata. Vi faccio i miei più sinceri complimenti, damigella.”
“E cosa, ditemi...” chiese Parzia con viva curiosità “...avete gradito di più?”
E badate, nel rispondere” intervenne Maria “di non essere formale o troppo educato. Non si adatterebbe al tipo di uomo che sembrate essere.”
Milady, sappiate che” rispose Ardea sorridendo “essere scontato o banale è ciò che più temo, oltre alla viltà ed alla scortesia.”
Poi a Parzia:
“Come vi dicevo, ho gradito moltissimo ogni pietanza. Ma, se devo essere sincero, più di tutto ho apprezzato questa focaccia di farina nera, aromatizzata con frutti di bosco. Una vera leccornia, damigella.”
“Allora, vorrà dire” rispose compiaciuta la ragazza “che, per tutto il tempo che trascorrerete qui, io la preparerò ogni mattina per voi.”
Ardea accennò un inchino.
Poi, rivolto agli atri, prese a dire:
“Signori, approfitto della deliziosa circostanza per parlarvi del mio incarico. Ben comprendo che a tavola non si parla di affari simili, ma approfitto del cordiale clima e della vostra nobile compagnia.”
“Vi ascoltiamo, messere.” Rispose Luigi.
“Il duca ha sempre ritenuto lady Grazia, che possa riposare in pace, donna di altissime qualità ed innegabile valore.” Continuò a dire Ardea. “Ma, dalla sua spiacevole morte, al duca non sono più giunti i tributi che il vostro casato si è impegnato a raccogliere per lui. E ciò ha reso dispiaciuto sua signoria il duca.”
“Purtroppo” rispose Maria “non è stato ancora deciso chi sia, fra noi, il suo degno successore. In questo modo il seggio è vacante.”
“Lo comprendo, milady” disse Ardea “e sono qui appunto per sollecitare che ciò accada presto. Ma il duca conosce bene la lealtà della vostra stirpe. Attenderò quindi la vostra decisione sulla successione a Lady Grazia, sebbene il diritto mi dia la facoltà di proclamare un erede da questo stesso momento.”
“Il diritto e la legge” rispose Maria “mal si legano ai valori familiare, cavaliere. Credo sia più opportuno che tali decisioni siano prese in seno alla nostra famiglia.”
“Milady, sono sicuro” disse Ardea “che troveremo prestissimo un accordo che salvaguardi i valori della vostra famiglia e gli interessi del duca.”
“Credete ai fantasmi, messere?” Chiese all’improvviso Parzia, con il suo solito sorrisetto.
“Parzia, ti prego!” La riprese Luigi.
“Damigella, io” rispose Ardea “ho imparato dalla vita che bisogna guardarsi dall’odio dei vivi, anziché temere la vendetta dei morti.”
A quelle parole, sulla tavola scese una strana atmosfera.
E proprio in quel momento entrò nella sala Giovanni.
Aveva una misteriosa espressione sul suo volto.
Come colui che reca dentro di sé un odio senza fine.


(Continua...)
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Vecchio 10-02-2010, 00.29.40   #160
elisabeth
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elisabeth è un gioiello nella rocciaelisabeth è un gioiello nella rocciaelisabeth è un gioiello nella roccia
Dovete sapere Sir Guisgard, che leggo con passione la storia di Ardea, il vostro modo di scrivere e' appassionante, tutto cio' che descrivete e' reale ed e' possibile immaginare il percorso di vita che sta affrontando Ardea.....Vi esorto dunque a scrivere questa bellissima storia, sappiate che continuero' a leggere con avidita' ogni capitolo che la vostra musa vi ispirera'
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