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Vecchio 10-09-2009, 00.50.30   #21
Guisgard
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Sire, di voi ho sempre sentito parlar bene.
E giunto qui a Camelot ho potuto vedere con i miei occhi che quanto udito corrisponde al vero.
La vostra nobiltà si manifesta nel modo in cui vi rivolgete ai vostri sudditi e come lodate la loro fedeltà a questo reame.
Sono felice che il mio racconto vi stia piacendo!
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Vecchio 11-09-2009, 02.30.14   #22
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
ARDEA DE' TADDEI

VI

"Monello e scanzonato, l'indomito
ragazzo, nei polverosi libri i grandi cavalieri
cercava, sognando crociate e il Santo Graal.
Ma sempre lui sapeva che nella vecchia
casa l'amore familiare ad attenderlo trovava."
(Le Geo, libro I)


Ardea si accorse che il viso di sua nonna, mentre lo baciava, era bagnato da lacrime.
Il cavaliere si avvicinò al ragazzo fissandolo attentamente.
“Il tuo nome è Ardea, vero?”
“Si, milord.”
“Tua nonna ci ha raccontato che hai molti libri. Sono una mercanzia rara di questi tempi. Io ne ho veduti solo nei monasteri ed in qualche castello.”
Ardea annuì.
“Mi piacerebbe vederli. Vuoi avere la cortesia di mostrarmeli?”
“Si, certo. Seguitemi, signore.”
Così Ardea condusse con se il cavaliere in una piccola stanza, che rappresentava per il giovane gran parte del suo mondo.
Qui vi erano conservati un buon numero di libri, forse più di quanti ce ne fossero nell’intero borgo Saggese.
Il cavaliere ne sfogliò qualcuno sotto lo sguardo attento di Ardea.
“L’abate Petrillus, il sant’uomo che mi accompagna, dice che chi legge molto aspira ad essere chierico o poeta.”
“Non saprei, milord.” Rispose Ardea.
“Tu quindi non ambisci a nessuna delle due cose?”
“No signore.”
“A quanto pare allora” rispose divertito il cavaliere “l’abate si è sbagliato.”
“Non saprei, milord.”
“Tu allora cosa vorresti farne della vita, visto che ritieni, a quanto sembra, poco allettanti l’arte della poesia e la missione del chierico?”
“Milord, non disprezzo nulla di ciò che dite” rispose lesto il giovane “dico solo che non ne sarei capace.”
“Perché mai?”
“Per essere uomo di chiesa occorre la vocazione, mentre per comporre versi una musa che ti ispiri.”
“Arguto!” Ribatte il cavaliere. “E di cosa ti ritieni invece più degno?”
Ardea abbassò per un momento il capo e poi arrossì.
“Cos’hai? Vergogna o timore?” Chiese il cavaliere.
“Io sogno di essere cavaliere!” Disse di getto Ardea.
L’uomo in armi sorrise.
“Comprendo il vostro riso…in questo luogo non vi è né valore per aspirare a tanto, né nobiltà che lo possa riconoscere…”
“Lancillotto e Parsifal furono presto orfani di padre, eppure divennero della cavalleria la massima espressione.” Disse il cavaliere.
“Si, ma loro ebbero il merito di essere alla corte di re Artù. Io come corte posso solo aspirare al folto bosco e l’unico sovrano che vi regna è il mitico Oberon, ma non credo abbia bisogno di cavalieri.”
“Rimpiangi quindi i tuoi poveri natali?”
“No, milord, mai!” Rispose con decisione il giovane. “Solo le leggi di questo mondo che premiano il sangue anziché il valore!”
Il cavaliere restò stupito dall’ardore di quella risposta. E disse:
“Il fato da a tutti una possibilità per essere grandi.”
Poi, rimesso a posto uno dei libri che aveva sfogliato, il cavaliere s’accorse che dalle pagine era caduto un foglietto spiegazzato.
Aprendolo vide disegnato uno schizzo. Era il gufo con la rosa che Ardea vide sul ciondolo del cavaliere incontrato anni prima.
“Cos’è questo?” Chiese il cavaliere.
“Un disegno che feci tempo fa.”
“Cosa rappresenta?”
“Il simbolo di un cavaliere.”
“Come lo conosci?”
“E’ una lunga storia, ma non credo vi possa interessare.”
“Io credo di si.”
E detto questo, tirò fuori dal mantello un ciondolo in tutto simile a quello che Ardea vide anni prima.
“Il gufo con lo rosa!” Gridò il giovane. “Come fate ad averlo, milord?”
“Come ti ho detto, il fato da a tutti la possibilità di essere grandi.” Rispose il cavaliere. “E questo ciondolo, se ne sarai degno, sarà la tua possibilità!”
Ardea restò attonito e confuso, mentre l’immagine del fiero gufo con la bella rosa scintillava nei suoi occhi.



(Continua...)
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Vecchio 11-09-2009, 09.31.39   #23
llamrei
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llamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamba
Io continuo a farmi coccolare dai vostri racconti...Non fatevi pregare ulteriormente: continuate l'avventura
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Vecchio 11-09-2009, 11.45.39   #24
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Vivian è sulla buona strada
Mi associo alla richiesta di Lady Llamrei: continuate Sir Guisgard, il vostro racconto è sempre più avvincente.
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Vecchio 11-09-2009, 13.52.57   #25
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Mie dilette dame, ho piacere che questo racconto vi stia piacendo.
Chiederò alla musa di continuare ad accarezzare i miei ricordi
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Vecchio 14-09-2009, 01.20.28   #26
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ARDEA DE' TADDEI

VII

"Il più semplice diventerà
un eroe e il più superbo
sarà scudiero; il caldo sfocerà
nel freddo e la notte si tramuterà
nel giorno. Allora il mio destino
sarà compiuto."
(Antica canzone normanna)


Ardea osservava confuso e stupito il volto di quel cavaliere, che a sua volta lo guardava come colui che dispensa doni a chi nulla possiede.
“A quanto pare conosci questo stemma.”
“Si, milord.” Disse il ragazzo. “Ma voi chi siete e perché possedete quel ciondolo?”
“Visto che ami tanto le storie dei cavalieri” rispose con un sorriso quel cavaliere “te ne racconterò una io ora.”
Ardea lo ascoltava sempre più stupito.
“Tempo fa uno dei più forti cavalieri del regno, mentre combatteva per il suo futuro re, cadde in un’imboscata dove i suoi uomini furono uccisi e lui ferito.” Iniziò a raccontare il cavaliere.
“Senza cavallo e quasi senza forze, si ritrovò in questi luoghi, presso un antico cimitero. Solo, stremato e ferito, attendeva la morte che gli avrebbero di sicuro dato i suoi inseguitori se non fosse accaduta una cosa tanto imprevista quanto benigna.”
Il cavaliere fece una pausa e poi continuò:
“Accadde che un fanciullo, inviatogli certo dal cielo, lo soccorse. Sviò i suoi inseguitori e gli procurò un cavallo per fuggire.”
“Milord…chi era quel cavaliere? Sono anni che me lo chiedo, interrogando i miei sogni senza aver risposta!” L’interruppe Ardea.
“Il cavaliere che salvasti, ragazzo mio, era il duca Taddeo d’Altavilla. Dopo quella notte, egli riuscì a tornare nelle sue terre e fu tra gli artefici della vittoria del re.”
Ardea restò senza parole, ma con una gran gioia nel cuore. Ora finalmente sapeva il nome del suo cavaliere.
“Io sono Vico d’Antò, suo cavaliere e vassallo, col compito di portare a te oggi le sue parole.” Disse il cavaliere.
“Il duca non ha dimenticato il tuo gesto.” Aggiunse. “Il cielo non gli ha concesso la grazia di avere un figlio ed egli ha espresso il desiderio che tu possa diventare questo per lui.”
Ardea credette di sognare.
“Sta a te decidere, ragazzo mio.” Concluse Vico.
Descrivere ora cosa provò nel cuore Ardea ad udire quelle parole non è facile.
Gli stati d’animo degli uomini, come i loro sentimenti del resto, sono un miscuglio di sensazioni e reazioni che non è facile decifrare.
Da sempre Ardea aveva sognato di poter un giorno divenire cavaliere. Ma comprendeva che tale cosa era difficile a realizzarsi poiché egli non aveva sangue nobile nelle vene.
E comunque fino a quando fosse vissuto nel borgo tali aspirazioni sarebbero rimaste solo utopie.
Ora però si stava concretizzando ciò che nemmeno nei suoi sogni più belli aveva mai osato sperare.
Il destino sembrava davvero aver bussato con vigore alla sua porta, per concedergli un’occasione mai nemmeno concepita.
In un momento tutto sembrò prendere senso, compiersi, come se qualcuno, da un luogo posto al di sopra dell’intelletto umano, avesse scritto tutto ciò.
Il cuore gli batteva come un ossesso e per un attimo credette di sognare.
Ma poi, all’improvviso, qualcosa sembrò destarlo da tutto ciò: i suoi amati nonni.
Come avrebbe potuto abbandonarli così?
Egli era il bastone della loro vecchiaia e l’unica gioia che possedevano.
Erano soli, fiaccati dalla vecchiaia e dalla povertà. Erano stati da sempre la sua unica ed amata famiglia.
Lasciarli per un sogno, per grande che potesse essere, ad Ardea sembrò un imperdonabile peccato.
“I miei nonni…” Sussurrò.
“Noi partiremo nel primo pomeriggio. Rifletti bene su cosa decidere.” Sentenziò Vico.
Ardea tornò in casa dai suoi nonni.
Lì trovò uno accanto all’altro, abbracciati senza dirsi nulla.
Neanche lui disse nulla e corse a stringersi a loro.
Forse quel momento sarebbe durato per sempre se non fosse stato interrotto dalla nonna:
“Non far attendere questi nobili signori. Corri a prepararti, altrimenti non potrai più partire.”
“Non posso lasciarvi” rispose Ardea “il mio cuore è qui, con voi.”
“Ardea, figlio mio” disse la nonna “la vita altro non è che una continua ricerca della perfezione. Tu non sei fatto per vivere qui. Ho sempre saputo, nel mio cuore, che un giorno saresti andato via. Ora quel momento è giunto.”
“Ma resterete soli…”
“Ti abbiamo cresciuto come un figlio, giurando di darti sempre il meglio. Se ora non ti permettessimo di andare verremmo meno a quel giuramento.”
“Potrò mai sdebitarmi con il cielo per avermi donato una famiglia come voi?”
“Si. Diventa un gran cavaliere” intervenne il nonno “e fa che la tua fama giunga fino a quaggiù, ragazzo mio!”
Di nuovo i tre si unirono in un tenero e commosso abbracciò.
All’ora stabilita per la partenza, la compagnia fu pronta e Ardea era con loro.
Usciti dalla casa trovarono un buffo ragazzotto, con l’aria smarrita, nel cortile ad attendere notizie. Era Karim.
Ardea lo prese in un angolo e i due parlarono per un pò. Poi un forte e sentito abbraccio sancì quella non meno dolorosa separazione.
L’ultimo sguardo fu per i suoi nonni, come i suoi sospiri e le sue lacrime solo a stento contenute, mentre abbandonava quel nido dove era cresciuto, fino ad allora, come tenero uccello.


(Continua...)
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Vecchio 15-09-2009, 01.59.59   #27
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ARDEA DE' TADDEI

VIII

"E da lontano, oltre gli aspri monti,
appariva, come faro illuminante ai
navigatori speranzosi di un'accogliente
terra, Imperias, superba dimora degli
ultimi eroi conosciuti."
(L'Imp, libro I)


In breve la nobile compagnia attraversò la ridente campagna che circondava il borgo Saggese e si trovò sul lungo sentiero che tagliava in due il folto bosco, oltrepassato il quale sarebbero giunti nelle terre del signore d’Altavilla.
“Sei triste, ragazzo?” Disse Vico d’Antò osservando Ardea avvolto in un profondo silenzio.
“Si, milord” rispose Ardea “e vi confesso che se fossi da solo piangerei come un bambino.”
“Mi sembra naturale tutto ciò.”
“Piangere non è da uomini, milord. E tantomeno da cavalieri.”
“Non credo sia vero.”
“Nessun cavaliere ha mai pianto, signore!”
“Forse dovresti ricrederti.” Rispose con un sorriso Vico.
“Gigia” gridò poi rivolto verso il suo seguito “vieni qui e racconta al nostro tenero ragazzo come anche i più grandi cavalieri hanno versato lacrime!”
Il menestrello chiamato dal cavaliere si fece avanti, abbandonando gli uomini che seguivano ed iniziò a recitare:

“Storie di cavalier non son rare
bagnate da molte lacrime amare!
Tristano non pianse forse per la bella Isotta?
Come Lancillotto per Ginevra a voce rotta!
Ed Orlando che di Angelica bramava l’amor
non era certo pari ai lamenti del Cid Campeador?
E molti altri versarono sospiri e lacrime,
facendo del dolor l’ideale delle loro anime!”

Finite le sue rime, Gigia fece un profondo inchino e tornò nei ranghi da dove era venuto.
“Visto?” Disse Vico. “Se vuoi piangere e alleggerirti il cuore sei in buona compagnia!”
Ardea sorrise e si sentì un po’ più sollevato, grazie alla sensibilità di quel cavaliere, oltre che ai virtuosismi lirici di Gigia.
Il viaggio intanto continuava e la compagnia era ormai giunta in una vasta terra, delineata da una verdeggiante e superba brughiera.
“Questa che vedi, ragazzo mio” Disse Vico d’Antò “è la terra detta Delle Cinque Vie. Qui sono i domini del duca d’Altavilla.
“Perché questo curioso nome, milord?” Chiese Ardea.
“Perché quando anticamente questi luoghi vennero conquistati, la prime cose ad essere costruite furono proprio cinque strade, attraverso le quali la civiltà potè giungere in queste terre.”
“E questa terra appartiene tutta al duca?”
“Tutta. I suoi antenati la conquistarono ed egli ne ha ampliato, con il suo valore, i confini. Inoltre il diritto di possesso e trasmissione lo guadagnò anche con le sue campagne volte a liberare questi luoghi dagli eretici che le abitavano.”
“Ed ora gli eretici non vi suono più in queste terre? Chiese Ardea.
“Per Grazia di Dio non più!” Rispose Vico.
“Liberaci dal male, o Signore!” Esclamò l’abate Petrillus, segnandosi tre volte.
Ad un certo punto, finalmente, la compagnia avvistò un maestoso castello in lontananza.
Circondato da una possente cinta muraria e racchiuso da sette alte torri, il maniero dominava l’intero paesaggio come un gigante addormentato.
“Quello è il castello del duca, ragazzo!” Indicò Vico.
Ardea al solo vederlo sentì una forte emozione nascergli dal cuore.
Giunti in prossimità del castello, Vico fece suonare il corno da uno dei suoi uomini, per annunciare al duca il loro ritorno.


(Continua...)
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Vecchio 16-09-2009, 02.09.32   #28
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Questo racconto l'ho udito diverse volte durante la mia infanzia, ma sempre nel medesimo periodo dell'anno: quello che va da Settembre fino alla Quaresima ed alla Santa Pasqua.
In pratica dalla vigilia dell'Autunno fino all'inizio della Priomavera.
Tutto ciò perchè tale periodo rappresenta un momento importante, che nelle mie terre è detto "della civetta".
La civetta infatti (insieme al gufo) è il simbolo della mia terra.
E vedere questo rapace nel periodo che ho indicato (soprattutto quello invernale) simboleggia buoni auspici e fortuna.
Questo racconto nasce quindi sotto il segno del fiero rapace protettore della mia nobile terra.
Ma vi è anche un altro motivo che lo rende a me molto caro.
Infatti, questo racconto, cela un segreto, che rivelerò alla fine della storia a chi avrà voluto seguirmi in questa antica avventura.

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Vecchio 17-09-2009, 01.39.30   #29
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ARDEA DE' TADDEI

IX

“Pasciuti maiali e teneri capretti
il gran re fece squartare e cucinare
per la sua magnifica corte. Poi, tra gli
sguardi di tutti, fece cenno ad Icaro
di avvicinarsi.”
(L’Imp, libro I)


Il suono del corno si diffuse nell’aria e l’eco sembrò destare quella brughiera come da un lungo sonno.
La compagnia si diresse quindi verso la fortezza del duca, giungendo in un borgo, parzialmente fortificato, arroccato tutt’intorno alla cinta muraria del castello.
La gente del posto accoglieva con saluti ossequiosi e rispettosi inchini la nobile compagnia mentre attraversava quelle strade.
Ma lo stupore e la curiosità di quella gente era tutta per il giovane Ardea.
Alla fine della grande strada centrale che tagliava il borgo, la compagnia si trovò davanti al grande ponte levatoio che dava l’accesso all’interno del maniero.
Un canglore si diffuse solenne nell’aria e il pesante ponte iniziò a scendere: la compagnia potè così entrare all’interno.
In un momento, come se fossero attesi da secoli, servi e paggi attorniarono gli uomini della compagnia, aiutandoli a smontare da cavallo ed accogliendoli come si conveniva in simili circostanze.
Ardea non sapeva se tutto ciò stesse davvero accadendo.
I castelli lui li aveva solo immaginati leggendo i racconti dei suoi libri o sognando nell’udire i versi dei cantastorie.
Ora, come per incanto, si trovava in un vero castello e tutto gli sembrava un sogno.
Si guardò attorno nel grande cortile e quell’incredibile spettacolo quasi lo convinse che il tutto era solamente frutto della sua fantasia.
Il Sole era alto nel cielo ed attraverso le ampie finestre merlate che si aprivano lungo le alte mura proiettava i suoi luminosi raggi, generando giochi di luci ed ombre di strabiliante effetto.
Le slanciate torri sembravano quasi sfiorare il cielo, che sopra di esse pareva roteare e scorrere come un mare di impetuosa potenza.
Le secolari e massicce pietre del castello, sotto i colpi del caldo Sole, sembravano come arse da dardi incandescenti e forgiati dal perenne soffio del vento, che temprava quella ciclopica costruzione.
“Nessuno potrebbe mai prendere o solo pensare di assediare questo castello.” Pensò tra se Ardea.
“Andiamo Ardea. Il duca ci attende.” Disse Vico, destando il giovane dai suoi sogni.
Così Vico, l’abate ed Ardea furono accompagnati da tre servitori, attraverso un lungo corridoio, fino ad una grande sala.
Armi e corazze guarnivano gli angoli e le pareti della sala, mentre un lungo tappeto di fattura orientale ne ricopriva il solido pavimento.
Ovunque c’erano animali impagliati nelle pose più disparate, a tradire la grande passione del duca per la caccia.
Al centro della sala vi era un lungo tavolo rettangolare con massicci seggi tutt’intorno e diverse porte si aprivano lungo le pareti, che permettevano di raggiungere, dalla sala, altri locali adiacenti.
Ardea osservava ammirato tutto ciò, ma quello che lo meravigliò più di tutto, fu il grande drappo purpureo inchiodato alla parete più lontana, su quale faceva superba mostra il fiero gufo con la rosa tra gli artigli.
In quell’istante la porta che si trovava sulla parete dove era esposto il drappo si aprì all’improvviso ed un’austera figura fece il suo ingresso.
Era accompagnata da un servo e da quattro levrieri di magnifico portamento.
L’andatura era fiera e tradiva un lignaggio non comune. La luce che invadeva la stanza però non permetteva di riconoscerne bene i lineamenti.
Ardea restò meravigliato da quell’immagine, ma anche colpito da un particolare: quell’uomo, alto e robusto, dal superbo portamento, camminava accompagnato da un bastone.
Raggiunta la testa del tavolo, l’uomo si sedette.
Subito i suoi cani si accucciarono attorno al suo seggio.
“Venite avanti, signori” esordì con un voce grossa quell’uomo “e conducete qui il ragazzo!”
Vico e l’abate si avvicinarono al tavolo, seguiti a rispettosa distanza da Ardea.
Il ragazzo si sentiva leggero come l’aria e intimorito da tutto questo.
Eppure un’irrefrenabile gioia aveva invaso il suo cuore, facendolo sentire come il protagonista di uno dei suoi libri o di qualche storia udita dai bardi nel suo borgo.
“Milord” iniziò a parlare Vico “questi è il ragazzo del quale cercavate notizie.”
Poi fece cenno ad Ardea di venire avanti.
Il giovane era emozionato come mai prima d’ora e un fortissimo senso di soggezione si era impadronito di lui.
Poi, alzato lo sguardo, vide il volto di quell’uomo che gli stava davanti.
Riconobbe così quegli occhi e quei lineamenti, nonostante il tempo trascorso.
Il fiero sguardo era lo stesso, come uguale appariva l’austera espressione.
Ardea aveva riconosciuto nel duca quel cavaliere incontrato anni prima.


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Vecchio 17-09-2009, 11.17.51   #30
Vivian
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Vivian è sulla buona strada
Sir Guisgard, vi prego, non impiegate troppo tempo a continuare il racconto...come farò ad attendere ore, forse giorni, prima di sapere come prosegue? Siete assai abile a lasciare il lettore con una voglia sconvolgente di sapere quale sorte attende i protagonisti.
Le frasi con cui interrompete il racconto di volta in volta mi lasciano sempre con uno strano senso di agitazione...
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Vivian
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