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#311 |
Cittadino di Camelot
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Dopo pochissimo, il calmante fece effetto e il piccolo si calmó.
Ció no si poteva dire per la sirena, che ci ricordava ogni istante, implacabile, che eravamo in una base militare sotto attacco. "Va bene, a dopo" annuendo al medico. Mi stavo rendendo conto che era davvero difficile stare qui, ma guardare quel piccolo miracolo che mi dormiva fra le braccia mi ricordava quale fosse il mio ruolo e mi ripetevo che mai al mondo avrei cambiato idea, abbandonando chi aveva bisogno.
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"La passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca" BALTASAR GRACIÁN "Sappi che la Luna è il messaggero degli astri. Essa infatti trasmette le loro virtù da un corpo celeste all'altro" ABU MASAR, "Libri mysteriorum" Ultima modifica di Lady Gwen : 30-10-2015 alle ore 16.23.47. |
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#312 |
Cittadino di Camelot
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Era terribile. Quei suoni sopra la nostra testa mi terrorizzavano, temevo che sarebbe successo qualcosa di brutto. Sapevo cosa significava la guerra e ciò che comportava.
Ubbidii al locandiere e mi accucciai a terra accanto agli altri uomini, pregando che finisse presto.
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#313 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Gwen se ne stava immobile, col bambino in braccio, mentre la sirena continua a suonare in modo assordante.
Si udiva il fermento nell'intero forte, dove tutti si preparavano ad affrontare la situazione. E a lei non restava altro che attendere e pregare che tutto ciò finisse presto e senza conseguenze. “Mamma...” disse all'improvviso il piccolo nel sonno.
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#314 |
Cittadino di Camelot
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Udivo il fermento animare il forte e la sirena suonare senza sosta, con un ritmo sempre piú concitato.
Intanto pregavo gli Dèi che tutto ció finisse presto. Poi, il piccolo parló nel sonno, facendomi sentire un nodo in gola e lo strinsi ancora di piú a me. C'era la guerra fuori, é vero, ma nessuna guerra era piú tragica della battaglia di questo piccolo, rimasto solo per la cattiveria e la crudeltá dell'uomo.
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#315 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Nella taverna tutto sussultava.
Si udivano le grida della gente in strada che correva all'impazzata, mentre sulle teste di Dacey e degli altri quattro uomini continuavano a cadere detriti e polvere. “Forse dovremmo fuggire anche noi fuori...” disse Fines. “Il capitano ha detto di non muoverci...” fece Leones “... meglio seguire il suo consiglio.” E da fuori si udivano forti boati. “Ma qui moriremo come topi in trappola!” Urlò Poeh, mentre il tetto sulle loro teste scricchiolava sempre più. E fuori, infatti, vi era l'Inferno. I colpi presero a cadere come saette incandescenti sul borgo, gettando la gente nel terrore più assoluto. Tutti allora corsero fuori nelle stradine strette, generando resse, dove molti finirono schiacciati da qualche crollo o sotto l'impeto della folla impazzita. Ovunque c'erano schegge che volavano, velocissime e letali. Guisgard correva tra le persone che come pecore disperse cercavano salvezza sotto quell'attacco. “Mamma...” all'improvviso una bambina tra la folla “... mamma... mamma...” Guisgard se la ritrovò davanti e la prese in braccio, salvandola dalla calca. Fermò poi una donna che con altri correva fra le macerie. “Prendi questa bambina!” Dandole la piccola. Ha perduto sua madre! Portala al riparo!” La donna annuì e portò con sé la bambina. Si udì ancora quel sibilo, seguito un nanosecondo dopo da un'altra scarica di colpi sul borgo. Esplosioni e morte regnavano dappertutto. Il militare allora corse verso la periferia, cercando di evitare gli infiniti dardi di fuoco che cavedano dal cielo notturno. Si ritrovò così in un vecchio rottamaio abbandonato. “Ehi, soldato!” Chiamò qualcuno. “Da questa parte!” Era un uomo che se ne stava in un capannone. “Qui, presto!” E Guisgard lo raggiunse. “Cosa sta succedendo?” Chiese Guisgard. “Due Valchiria hanno forzato il blocco dell'area di Evangelia” spiegò l'uomo “e ci hanno attaccato.” “Valchiria?” Ripetè Guisgard. “Si...” annuì l'altro “... non li puoi vedere perchè è notte... ma stanno assalendo il borgo...” ![]()
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#316 |
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Sembrava come se l'Inferno si fosse abbattuto sulla città. Tenendo gli occhi chiusi sentivo le macerie che si scontravano con il pavimento e perfino alcuni pezzi che cadevano sul mio corpo. Le urla all'esterno erano forti, piene di paura, la gente pareva come impazzita.
Anche all'interno della taverna i tre uomini presero a urlare, in disaccordo sul da farsi ma infine convennero che la cosa migliore era restare lì al riparo. Mi ritrovai a pensare che stesse succedendo a Guisgard la fuori in quel caos.
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#317 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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E mentre Gwen era in balia di pensieri e paure, stringendo il bambino fra le braccia, ad un tratto tornò Fermer.
“Bene, si è calmato...” disse avvicinandosi al piccolo “... siete stata brava, Gwen...” sorridendo alla ragazza “... sono stato alla caserma centrale della base... pare che il borgo sia attaccato... sarà una strage...” scuotendo il capo.
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#318 |
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Mentre ero in balia di quei pensieri, tornó Fermer.
"Vi ringrazio" sorridendo. Poi scossi la testa sospirando, una strage... "Ha cercato la madre, nel sonno..." guardando il bambino e accarezzandogli il piccolo visino, per poi alzare lo sguardo sugli occhi del dottore.
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#319 |
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Il caos dall'esterno non accennava a diminuire.
Si udivano grida ed esplosioni, mentre la taverna intorno a loro sussultava. “Tre...” disse Poeh “... quattro...” “Cosa diamine fai?” Fissandolo Fines. “Il sibilo arriva ad intervalli di dodici secondi...” rispose Poeh. “E dopo cosa accade?” Mormorò Leones spaventato. In quel momento si udì ancora il sibilo e poi la pioggia di nuovi colpi sul borgo. “Ecco cosa!” Gridò Poeh, mentre il tetto sembrava prossimo a crollare. Dacey, come gli altri, era sempre stesa a terra, cercando di ripararsi dai detriti e dalla polvere tenendo le mani strette sulla testa. E mentre il borgo subiva l'ennesimo attacco, al vecchio capannone Guisgard aveva fatto uno strano incontro. “Cosa succederà?” Chiese lui all'uomo. “Moriremo tutti.” Rispose questi. “A meno che la Freccia d'Argento non prenda il volo per affrontarli.” “Freccia d'Argento?” Ripetè Guisgard. L'altro annuì e mostrò al militare un aereo all'interno del capannone. “Cos'è questo rottame?” Mormorò Guisgard. “Non è un rottame, ma il più moderno e letale aereo del mondo.” Orgoglioso l'uomo. “Ma se ha la carrozzeria completamente consumata...” sarcastico il militare. “No, ho solo raschiato la vernice...” spiegò l'uomo “... per farlo decollare doveva soddisfare i requisiti imposti dall'Aeronautica Imperiale di Capomazda... e così per alleggerirne il peso ho raschiato la vernice... ora la cromatura è fuori e per questo lo chiamo Freccia d'Argento... è la risposta dell'esercito Afralignonese ai caccia Valchiria.” “E perchè allora è nelle tue mani invece di stare in una base militare?” Fissandolo Guisgard. “Perchè l'ho fregato ai militari.” Candidamente l'uomo. “Ma ora non c'è tempo per le spiegazioni... bisogna agire... io non posso guidarlo, a causa di vecchie ferite, ma tu si.” “Io?” Stupito Guisgard. “Si, sei un pilota, no?” L'uomo osservando la sua divisa. “Allora salta nell'abitacolo, decolla ed affronta i due caccia nemici.” “Ma non dire idiozie!” Esclamò Guisgard. “Non ci penso neanche! Questa guerra non è mia ed io combatto solo per me stesso! E' la sola causa che riconosco!” “Lo senti il sibilo?” Indicando il cielo l'uomo. “Altri due passaggi e quei due Valchiria avranno cancellato Evangelia da ogni carta geografica. E noi due con essa. Perciò, se vuoi vivere, salta sull'aereo e decolla.” “Ad affrontare quei due diavoli volanti da solo?” Alterato Guisgard. “La Freccia d'Argento ha buone possibilità di abbatterli.” Sicuro l'uomo. “Io non voglio affidare la mia vita alle possibilità di un aereo senza vernice!” Guisgard. “Le possibilità dipendono da te.” Replicò l'uomo. “Il caccia che ti do è il migliore.” “Ma tu chi diavolo sei?” “Mi chiamo Orko Rosso, ma non è importante ora.” Disse l'uomo. “Avanti, decolla ed affronta quei due figli di cagna.” “Tu sei pazzo e visionario...” scuotendo il capo Guisgard. “Si...” sorridendo l'altro “... e ti ho già convinto.” Pochi minuti dopo dal capannone la Freccia d'Argento decollò, diretta ad affrontare i due temibili Valchiria. ![]()
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#320 |
Cittadino di Camelot
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Gli aerei continuavano a lasciare le loro scariche, senza sosta, se non per dare quella minima tregua. Non abbastanza per permettere a tutti di riorganizzarsi e reagire. Sembrava che non ci fosse più alcuna speranza.
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