Il bosco era particolarmente tranquillo quel giorno.
La luce del crepuscolo filtrava fra le fronde degli alberi, creando un'aura incantata, cosa non strana da queste parti, ma era un effetto che riusciva sempre a sorprendermi.
Godendo ancora qualche minuto del prato soffice e fresco, mentre gli ultimi raggi del giorno morente giocavano con preziosi giochi di cangianti luminescenze fra le mie ali, arrivai davanti alla Grande Quercia.
Sorrisi.
Era l'albero più antico del bosco, un albero che solo guardandolo e osservandolo ti infondeva quell'imponenza, quella saggezza tipica delle creature che da tempo immemore sono ospiti della Terra.
Poggiai la mano sulla ruvida e confortante corteccia, mentre il sangue fatato che mi scorreva nelle vene veniva riconosciuto, come un antico richiamo, e il passaggio si apriva, mostrandomi la vista mozzafiato del villaggio, Idrial.
La cittadina era organizzata in tante piccole casette, intervallate da negozietti e botteghe, ricche degli oggetti più disparati.
Ricambiavo con un sorriso i cenni di rispettoso saluto che gli abitanti mi rivolgevano.
Mi ero sempre detta che, una volta diventata regina, avrei regnato con la dolcezza e la bontà di mia madre, Miriel, e la determinazione e la fermezza di mio padre, Egnor.
Il popolo era felice, sereno, lo si leggeva nei loro occhi, occhi particolari, fatati, impreziositi da quelle screziature che li rendevano, e ci rendevano, diversi dagli altri.
Camminai ancora, finchè sull'altura lo vidi.
Il Palazzo della Luce.
Splendido e luminoso nella sua fattura, che comprendeva esclusivamente oro e cristallo di rocca, con quest'ultimo che con la sua capacità di raccogliere i raggi luminosi e trasformarli in stupendi arcobaleni aveva dato al palazzo il suo nome.
Entrai nel grande androne e cercai di capire dove fosse mio padre.
Mia madre era scomparsa da alcuni anni ormai, mi mancava, ma i bei ricordi di lei mi aiutavano a sopperire al vuoto che avevo di lei,così rimasi a fissare incantata, come spesso facevo, il suo ritratto.
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