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Vecchio 16-06-2014, 23.59.17   #1
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Cavaliere della tavola rotonda
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Il Fiore Azzurro (Il viaggio della Santa Caterina)

Prologo


Il bosco.
Ancestrale, lussureggiante, impenetrabile. Racchiuso da quel mare di rigogliose colline, ormai vestite di tutti i colori del crepuscolo, da un vivo purpureo ad un azzurro cupo, sembrava calarsi in un sonno incantato fatto di sogni, misteri e silenzio.
E proprio quel silenzio veniva violato, quasi profanato, dall'incedere lento e solenne di un austero corteo.
Dieci cavalieri dalle cappe rosse e le tuniche gigliate avanzavano con quattro paggi, di giovane età, subito dietro di loro.
In sella, con uno dei cavalieri, il bambino guardava in silenzio tutto ciò che mutava intorno a sè.
L'imbrunire che, lento ma inesorabile, avanzava in quel luogo mutandone i colori nei loro opposti, ammutolendone i suoni, confondendone le forme.
I suoi occhi erano arrossati ed il viso ancora sporco per le lacrime.
In mano stringeva la sua piccola spada di legno, dalla quale non si divideva mai, ma che al cospetto delle pesanti corazze di quei nobili cavalieri appariva ridotta ad un innocuo fuscello.
Gli era stato detto di non proferire parola, nè di alzare il suo sguardo su di loro ed il bambino aveva obbedito.
Non gli restò altro, allora, che fissare ogni cosa di quel bosco e racchiuderla nella sua mente, affidando poi il racconto di tutto ciò alla sua immaginazione.
Ma tutti quei suoi pensieri si destarono all'improvviso quando davanti a quella processione, perchè in realtà più che un corteo di cavalieri appariva come una marcia funebre, si mostrò qualcosa.
Un gigante, pensò il bambino.
Un gigante addormentato tra le colline sul suo trono di silicio.
Dalle spalle così monumentali da apparire simili a torrioni, il mantello tanto ampio da sembrare alte mura merlate, ognuno dei piedi infossato al suolo come se fosse un barbacane, con due occhi cupi e profondi come la notte ed una bocca spalancata pronta ad accogliere tutti i lamenti giunti dall'Oltretomba.
Ed il bambino, con i suoi occhi azzurri ancora arrossati ed inumiditi, restò a fissare quella gigantesca creatura per un momento che sembrò interminabile.
Lo guardò così a lungo che il crepuscolo parve mutarlo in pietra.
Allora le sue mostruose membra al contatto con le ultime luci del giorno si pietrificarono all'istante ed alte e spesse murature ricoprirono di colpo quel titanico essere.
E finalmente il bambino si rese conto.
Ora il gigante gli appariva nella sua reale forma.
Era un castello.
Le sue alte torri quadrangolari parevano sorgere dalla Terra come guardiane di un antico sortilegio, le poderose mura merlate si stagliavano mute contro le ultime ed incerte luci del giorno morente, mentre un opprimente silenzio sembrava ammansirlo.
Poco distante da esso scorreva, quasi incantato, il grande fiume.
Il corteo prese così a salire quel basso colle, fino a raggiungere la porta di quel grande castello.
Allora solo uno dei dieci cavalieri lasciò i suoi compagni e sempre col bambino seduto davanti a sè si avvicinò al portone del maniero, ormai ostruito dai crolli e dai detriti delle numerose crepe che si aprivano nelle murature.
Smontò da cavallo e poi fece scendere a terra anche il bambino.
“Non avercela con noi...” disse al fanciullo “... siamo costretti a farlo.”
Lo prese così per mano ed insieme raggiunsero un largo spuntone roccioso, sul quale poggiava parte della cinta muraria.
Il cavaliere gettò poi uno sguardo in una profonda breccia che si apriva tra le pietre ed il muro a scarpa, quasi per rendersi conto della sua ampiezza.
Legò allora una lunga corda alla vita del bambino e subito dopo cominciò a calarlo in quella stretta voragine.
Quando il piccolo raggiunse il fondo del canale sotto la breccia, il cavaliere estrasse la spada e tagliò di netto la corda.
Lanciò un ultimo sguardo in quel baratro, fino ad incontrare con i suoi occhi quelli azzurri ed impauriti del bambino.
Un attimo dopo voltò il capo verso i suoi compagni, li raggiunse ed insieme lasciarono quel luogo, risalendo poi la strada che fiancheggiava il fiume.
Il bambino ebbe la tentazione, forte e disperata, di chiamarli, ma non riuscì nemmeno a gridare, tanto era spaventato.
E più le ultime luci del giorno si ritiravano da quelle segrete abbandonate, più le tenebre avanzavano, prendendo possesso delle pietre e degli sterpi che selvatici erano cresciuti in quei sotterranei dimenticati.
Il piccolo allora si fece coraggio, strinse forte la sua spada di legno e cominciò a guardarsi intorno.
In principio si rifiutò di gridare, ma poi, vinta la paura di destare qualche spirito addormentato, cominciò a chiamare.
Ma nessuno rispose alla sua voce.
Ebbe poi quasi l'impressione che qualcosa intorno a lui si muovesse.
Come se le ombre fossero sul punto di animarsi e raggiungerlo.
Allora, scosso da ciò, prese a camminare in direzione degli ultimi bagliori di luce provenienti da una delle numerose crepe della muratura che, come naturali lucernari, parevano voler disegnare le residue traccie della strada da seguire.
Ed il piccolo seguì quella strada fino a quando ebbe il conforto delle ultime e tenui luci.
Ma poi, svanite quelle, si ritrovò avvolto da silenziose ed oppressive tenebre.
Fu allora sul punto di cedere alla disperazione, quando un'altra piccola e lontana luce si accese all'improvviso.
Prima fioca, tremante ed incerta, poi più limpida, viva ed intensa.
Il bambino così, stringendo la sua spada di legno, cominciò a camminare piano verso quel chiarore.
Fino a quando fu abbastanza vicino da riconoscere una sagoma.
Prima mutevole, poi più nitida.
E vide una figura contornata dal quel luminoso alone.
Una donna di innaturale bellezza, alta, dai lunghi capelli biondi, la pelle chiarissima e gli occhi azzurri come il cielo più intenso.
“Siete...” mormorò il bambino ancor più impaurito di prima “... siete la Vergine Maria?”
La donna sorrise senza rispondere nulla.
E quel sorriso in un attimo dissolse le paure del bambino.
“Non sono la Vergine Maria” disse poi la donna con una voce simile al suono di un'arpa “ma sono qui per te.”
“Perchè?” Stupito il piccolo da quella donna che sembrava simile ad una visione.
“Perchè tu sei qui da solo.” Dolcemente lei. “Vuoi venire nel mio palazzo?”
“E' questo castello?” Domandò il piccolo.
No...” con candore lei “... ma non è lontano da qui. Si trova nel fiume.” Guardò poi la spada di legno che il bambino stringeva in mano. “Ti piacciono i cavalieri, vero?”
“Si...” sorridendo il piccolo.
“Allora, se verrai con me, ti farò diventare un cavaliere...” porgendo la mano al bambino.
“Si...” prendendo la mano della donna lui “... chi siete, signora?”
“Tu, se vuoi, puoi chiamarmi Milady dell'Elsa...” rispose lei.
Ed insieme lasciarono quel luogo fatto di ombre.




IL FIORE AZZURRO


L'asso di Picche


Capitolo I: La città del Sole

“Guai, però, a chi sente la nostalgia del mondo esterno e abbandona la valle: ecco che il tempo in agguato sull'impaziente fuggitivo, il quale, aggredito dall'età, invecchia rapidamente e muore.”

(James Hilton, Orizzonte Perduto)


A circa settantacinque leghe dal punto in cui i due fiumi, il Volotronus a sinistra ed il Calars a destra, raggiungono la minima distanza fra loro sorge, in una fertile e rigogliosa pianura baciata dal Sole e ingentilita dalla Tramontana, con la sua caratteristica forma di croce la tranquilla cittadina di Amoros.
Eretta in questo punto da alcuni profughi dell'antica Tylesia, scampati al devastante terremoto che distrusse la città ed impestò la zona con vapori sulfurei, Amoros vide così espandersi quella piccola comunità che grazie alla concessione ottenuta dal Gastaldo poté sfruttare a pieno quel felice punto strategico racchiuso dai due grandi fiumi, fino a divenire feudo di una nobile famiglia Longobarda.
E quella mattina, come tutte le altre, la cittadina vedeva animarsi le sue strade e le sue piazzette dal vivace via vai dei suoi abitanti, dei viaggiatori in sosta durante il loro cammino verso Sud o verso Nord, dei mercanti di passaggio con le loro merci e dal brioso richiamo che ciascun artigiano e negoziante adoperava per attirare clienti nella propria bottega.
Ma ciò che caratterizzava quella mattinata rispetto a tutte le altre era l'insolita quantità di cartelli affissi qua e là per le stradine del centro abitato.
Percorrendo le viuzze cittadine era così possibile scorgere avvisi di ogni tipo, indirizzati ai più svariati bisogni umani.
Allora, verso la periferia, si poteva leggere, presso uno dei ponticelli che scavalcavano i vari canali che correvano verso uno dei due fiumi, una richiesta di sfide rivolta a chiunque volesse misurare il proprio valore:

“Si raccolgono richieste di sfida in qualsiasi arte e disciplina all'arma bianca, con in palio un'autentica spada arimanna a una mano e mezza.
Scito dei Guaraldi, ex miliziano e maestro della spada lunga.”

Verso l'antico camminamento che fiancheggiava la strada principale diretta al centro di Amoros, poteva invece leggersi un altro cartello:

“Si avverte la popolazione e i forestieri giunti in città che proseguire verso Nord potrà apparire disagevole per via dell'impraticabilità di alcune strade, causata della guerra appena conclusasi tra la città di Imperion e quella di Nagos.”

Un avviso alquanto originale appariva poi davanti ad una onorevole locanda in cui soggiornavano alcuni stranieri appena arrivati ad Amoros:

“Messer Oxuid cerca una nuova assistente per i suoi studi e lavori. E' richiesto talento e mente aperta. La paga è buona, il vitto garantito e la fama assicurata.”

Ma forse il cartello che più attirava la curiosità della gente era quello affisso nel cuore di Amoros, proprio davanti alla chiesa del Santo Patrono, l'Arcangelo Michele.
Su di esso si potevano leggere parole strane e alquanto misteriose:

“Uomini e donne di Amoros, è giunta notizia che un pericoloso individuo incolpato di terribili crimini è riuscito ad abbandonare la prigione della città di Imperios, nella quale era stato segregato, per prendere poi la strada verso Sud. Al momento non si ha una sua descrizione fisica, né si conosce la presenza con lui di eventuali complici o seguaci. Diffidate dunque di qualsiasi straniero sospetto ed al minimo dubbio riferire immediatamente al parroco o alle autorità cittadine.”




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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO

Ultima modifica di Guisgard : 23-06-2014 alle ore 01.07.14.
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