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Vecchio 16-07-2017, 05.50.41   #1
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Blaue Blume

Prologo

“Lo stolto pensa: «Dio non c’è».”

(Salmo 53)

La vecchia stazione dei pullman di Afragolopolis, appena fuori città, nei meandri desolati della sua periferia di interminabili cantieri, edifici inagibili,
stradine laterali chiuse al traffico e murales di vivace, colorata e decadente Urban Art.
Un olezzo di salsiccia alla brace, peperoni fritti e cavolo lessato proveniva da uno squallido pub in fondo al vicoletto tra via Florenzia e la Saggesia, risalendo lungo gli sporchi marciapiedi di manifesti e graffiti, intervallati da tombini e scarichi fognari fino al semaforo di Largo Ruggerio, le cui luci verticali erano ormai fuori uso da tempo.
Il cielo, in quel pomeriggio di un soleggiato Luglio, era di un azzurro terso e chiazzato da lontane e bianche nuvole, lasciando sulla sterminata città una cappa di afa che rendeva tutto indistinto, spento, quasi apatico.
Il caldo sembrava togliere a tutti la voglia di fare ogni cosa.
A passo lento il bambino attraversava i binari ormai in disuso dei tram che tagliavano alle spalle la vecchia stazione.
Camminava distrattamente, senza neanche preoccuparsi di cercare l'ombra del muro e ripararsi così dal Sole pomeridiano, facendo rimbalzare con insistenza la sua pallina di gomma davanti a lui.
Ad un tratto per un falso rimbalzo la pallina gli saltellò via, rotolando lungo il brecciolino dei binari, fino a fermarsi in un ciuffetto d'erba che spuntava dal pietrisco.
Il bambino rincorse la sua pallina, raggiungendola, per poi inginocchiarsi a raccoglierla.
Ma tra l'erba la sua pallina non c'era più.
Si guardò intorno stupito, cercando di capire dove fosse finita per colpa di quello strano rimbalzo.
Lo sguardo allora finì all'imbocco del vecchio sottopassaggio ormai abbandonato e dopo un'esclamazione di paura mista a sorpresa indietreggiò di un passo o due.
All'ombra dell'imbocco c'erano due occhi rossi, così dannatamente simili a quelli che sin da piccolo aveva immaginato di intravedere ogni qualvolta scendeva nel garage di casa sua.
Quegli occhi inquietanti e spaventosi che aveva sempre temuto di vedere, ma che poi mai aveva visto davvero nel suo garage.
I mostri non esistono, gli ripetevano sempre a casa.
Nei film si, come nei cartoni animati e nelle favole della sera, ma non certo nella realtà, si sentiva sempre dire dai suoi familiari.
Allora probabilmente si tratterrà di un qualche animale, forse un gatto oppure un cane.
O chissà, magari solo un grosso topo.
Comunque era pronto a girare i tacchi e a darsela a gambe, infischiandosene bellamente di quella stupida pallina.
Si alzò e fu sul punto di girarsi ed andare via, quando accadde qualcosa.
“Salve, Tonio.” Disse una voce simpatica e dal tono musicale che giungeva dall'imbocco del sottopassaggio.
Il bambino restò un attimo inebetito, stupito se non addirittura incredulo per ciò che aveva davanti.
Dal sottopassaggio infatti era spuntato un pagliaccio in carne ed ossa, di quelli che si vedono nei circhi o in tv per quegli show di clown e prestigiatori.
La sua faccia era in tutto e per tutto quella che ci si aspetta di vedere in un pagliaccio, così come il suo aspetto.
Il volto infatti era bianco, con un grosso sorriso da clown disegnato sulla bocca, il naso grosso e rosso, buffi ciuffi di capelli colorati e due occhi ora non più rossi, ma di un blu luminoso, vivace e limpido.
Indossava un abito multicolore, con bottoni arancioni, cravatta lunga fosforescente e larghi pantaloni pastello tenuti su da ampie bretelle dai motivi psichedelici.
Mostrava la sua abilità come giocoliere, lanciando in aria diverse palline colorate, simili a succulenti frutti maturi tutti da cogliere.
“Come fai a conoscere il mio nome?” Chiese meravigliato Tonio.
“Noi pagliacci conosciamo tutti i segreti.” Rispose, continuando a far volteggiare le sue palline in aria. “E scommetto che adesso rivorresti la tua pallina, giusto.” Sorridendo.
“Certo!” Esclamò il piccolo, non potendo fare a meno di sorridere visto quanto era contagioso il sorriso del pagliaccio.
“Certo!” Ridacchiò questo, come a scimmiottare la voce del bambino. “Mi piace! Bravo! E anche una delle mie palline, no? Magari a tua scelta!”
“Magari!” Annuì Tonio, per poi ritrarre subito la mano che aveva invece allungato solo un attimo prima. “No, non posso... mio padre non vuole che accetti nulla dagli sconosciuti... e neanche che ci parli...” rammaricato.
“Devo ammettere che tuo padre è una persona molto saggia.” Si complimentò il pagliaccio. “Davvero molto.” Annuì, senza smettere di far volare in aria le sue palline. “Allora vorrà dire che mi presenterò.” Sorridendo ancora. “Io sono Penny House, il pagliaccio acrobata, canterino e ballerino. Penny House, ti presento il piccolo Tonio. Tonio, questi è Penny House.” Divertito. “Ecco, adesso io non sono più uno sconosciuto per te e tu non lo sei per me, giusto?”
“Si, credo di si.” Contento il bambino, per poi allungare di nuovo la mano, che un attimo dopo tornò a ritrarre. “Come... come sei finito in questo posto? I pagliacci non vivono nei circhi?”
“Il caldo mi ha spinto quaggiù, Tonio.” Penny House. “Tutto il circo è stato spinto quaggiù. Non senti i suoi suoni? Ed i suoi odori?”
Tonio cominciò allora a sentire le note giocose di un organetto, di quelli che si vedono proprio all'entrata di un circo.
E poi l'odore di noccioline tostate, delle salse che si spruzzano sulle patatine fritte e dello zucchero a velo sui dolci.
Il profumo delle ciambelle che friggevano e della glassa calda sopra, delle pizze che uscivano dal forno e del caramello che cospargeva i popcorn.
“Oh, si che lo sento!” Tonio al pagliaccio.
“Vuoi la tua pallina, Tonio?” Questi con un sorriso gioviale e luminoso. “Te lo chiedo di nuovo perchè non mi sembra ti stia molto a cuore riaverla.” Giocherellando con maestria con le sue palline e mostrandogli infine proprio la sua pallina di gomma.
“Si, certo che la rivoglio!” Rispose il bambino.
“Ed un' altra pallina? Ne ho diverse... rosse, gialle, verdi, blu, bianche...”
“Rimbalzano?” Domandò Tonio.
“Eccome, amico mio!” Rispose Penny House. “Rimbalzano come neanche immagini!”
Tonio allora allungò la mano.
Ma subito il pagliaccio gli afferrò il braccio ed il bambino vide quel volto bianco e dal naso rosso trasformarsi, mutare in un qualcosa di diverso.
Ciò che Tonio vide andava oltre le sue paure, le sue fobie e tutto ciò che aveva fantasticato su quella cosa immaginata nel garage di casa sua.
“Rimbalzano!” Cantilenò ridacchiando la creatura all'imbocco del sottopassaggio con una voce ora divenuta rauca, grottesca e gracchiante.
Strinse in una morsa il braccio del bambino, per poi trascinarlo verso quella terribile oscurità da cui anche la luce sembrava incapace di giungere.
Tonio torse il collo, voltandosi per non guardare quelle spaventose tenebre senza ritorno e cominciò a strillare.
I suoi strilli erano disperati, stridenti ed acuti, ma nessuno lo sentì in quella vecchia stazione abbandonata.
I mostri non esistono, gli avevano detto a casa sua.
Ma ora casa sua era lontana, così come il mondo intero e la sua infanzia ormai rubata e violata per sempre.
Nello scolo di scarico, intanto, che dal sottopassaggio portava alle fognature sottostanti la pallina di gomma proseguiva veloce il suo viaggio attraverso gallerie semibuie e lunghi corridoi di fetido cemento, dove gorgheggiavano ed echeggiavano le acque.
Ad un certo punto fu poi proiettata da una feritoia come un proiettile dalla canna della pistola e terminò in un canale senza nome, per poi sfociare poco dopo nella rabbiosa e verdastra corrente del Lagno.
La pallina galleggiò e rollò a lungo, nonostante fosse molto consumata per i troppi lanci effettuati dal piccolo Tonio nei suoi giochi.
Nessuno sa dove sia arrivata e se mai si sia fermata.
Forse dal Lagno avrà raggiunto il mare, per poi galleggiare per sempre come la pallina magica di tanti cartoni animati e favole.
Tutto ciò che si sa è che galleggiava ancora quando sulle verdastre acque del Lagno arrivò a varcare i confini urbani di Afragolopolis, uscendo per sempre da questa storia.


Capitolo I: Angelo e demone?

“Fuori dalla luce e dentro le tenebre.”

(Adso da montier-en-der)

Il corpicino senza vita del bambino giaceva coperto da un telo scuro sull'asfalto, reso infuocato dall'inclemente Sole di Luglio, della vecchia stazione dei Pullman mentre tutt'intorno brancolavano nel buio i carabinieri di Afragopolis.
“Odio questi pedofili...” disse sbottando il maresciallo ad un paio di giornalisti presenti “... non hanno abitudini, manie e neppure comportamenti ripetuti... i maniaci sono ben altra cosa... hanno la testa fusa, qualche filo staccato nel cervello e qualche indizio su cui lavorare te lo lasciano sempre... ma questi dannati pedofili no... sono come animali e si adattano alle loro prede...”
“Quindi” uno dei giornalisti “non avete dubbi sul fatto che si tratti sempre dello stesso individuo, giusto?”
“Ho forse detto questo, stramaledizione?” Il militare, mentre i giornalisti annotavano ogni sua parola. “Anzi, mi sembra di aver detto esattamente il contrario!” Visibilmente alterato. “Non ci sono elementi che colleghino questo nuovo stupro ed omicidio di un bambino con quelli precedenti!”
“Ma sono 22 bambini con questo, maresciallo!” Un altro dei giornalisti.
“So contare anche io, stramaledizione!” Lesto il maresciallo. “Sembra scoppiata un'epidemia di pedofili in città!”
Ad un tratto il militare notò del movimento e poi l'arrivo di alcuni uomini in borghese.
A guidare quel piccolo gruppo vi era un uomo di altezza e corporatura media, capelli e pizzetto brizzolati, occhiali scuri e sguardo indagatore e penetrante.
Fecero per avvicinarsi ancor più al corpo del bambino, ma subito uno dei carabinieri li bloccò.
Allora uno di quelli estrasse un distintivo, mostrandolo al militare in divisa scura.
“Maresciallo...” il militare voltandosi verso il suo superiore “... ci sono i federali...”
“I federali?” Stupito il maresciallo. “Chi diavolo li ha messi in mezzo?”
“Le dice niente” l'uomo col pizzetto “il Dipartimento di Giustizia Afragolignonese?”
“Zulian...” leggendo il distintivo il maresciallo.
“Comandante Zulian.” Precisò quello col pizzetto. “E da questo momento il caso è competenza della polizia federale.”
“Perchè mai?” Infastidito il maresciallo.
“Forse perchè sono morti 22 bambini e voi carabinieri non sapete che pesci prendere?” Zulian, per poi avvicinarsi al cadavere del bambino e facendo segno ai suoi di fare lo stesso.
“Allora?” Chiese poi al maresciallo.
“Aveva 12 anni...” questi “... viveva dall'altra parte dell'isolato e forse si è trovato a passare di qui per caso... o chissà, può essere stato indotto a farlo, magari adescato dal pedofilo...”
“Sa per certo che si tratti di un pedofilo?” Guardando il cadavere Zulian.
“Beh, si...” borbottò il maresciallo “... chi altri può essere stato?”
“Magari, non so...” sarcastico Zulian “... un maniaco?”
“Un maniaco?” Ripetè il maresciallo. “Non ne vedo il motivo.”
“Leggo” leggendo il breve referto medico appena stilato Zulian “che ha subito lesioni durante lo stupro... e nel colon sono state infilate quattro palline di gomma... con ogni probabilità quando il bambino era ancora in vita...” guardando poi il maresciallo “... il colpevole non aveva solo una gran voglia di sollazzarsi con un minore, ma anche di fargli molto male... accanendosi senza motivazioni apparenti.”
“Forse il bambino gli aveva opposto resistenza e...” provò a formulare come ipotesi il maresciallo.
“Cavolate.” Lo interruppe Zulian. “Poteva spezzargli le bracia o le gambe, pestarlo a sangue, ma non infilargli quattro palline in quel modo. No, si tratta di un gioco perverso. Non siamo davanti ad un semplice pedofilo.” Con tono spiccio. “Inoltre ho sentito alcuni testimoni affermare come il ritrovamento del cadavere sia avvenuto 30/45 secondi dopo che il bambino aveva lanciato il primo urlo.”
“Impossibile!” Esclamò il maresciallo. “Quel bastardo non può averlo ridotto così in meno di un minuto!”
“Forse i testimoni erano ancora scossi e quindi poco attendibili.” Uno degli uomini di Zulian.
“Oppure” un altro dei federali che erano con lui “lo stesso assassino ha gridato camuffando la voce da bambino quando ormai aveva completato il suo lavoro.”
“Ora questo non è importante.” Sentenziò Zulian. “Mettiamoci subito al lavoro. Voglio mappe e prospetti di tutta la periferia Ovest della città. Voglio posti di blocco sulle strade urbane più trafficate ed altri posti di blocco tutt'intorno alla città. Ed un paio di elicotteri volare sulla campagna. Nessuno dovrà uscire o entrare ad Afragolopolis senza che noi lo si sappia. Inoltre voglio la lista di tutte le attività, organizzazioni e combriccole varie di omosessuali in città.”
“E questo che diavolo c'entra?” Meravigliato il maresciallo. “Cosa c'entrano gli omosessuali ora?”
“Ha forse qualche gay in famiglia?” Zulian a lui. “Non so... amici di vecchia data dell'altra sponda o con gusti particolari?”
“Certo che no!” Rispose il maresciallo. “Ma ciò non vuol dire che io non giudichi inutile ed inopportuna la sua richiesta! Vuol forse ritrovarsi contro le minoranze? Essere bollato come intollerante? Omofobico? O peggio... come fascista?”
“Me ne frego.” Fumando Zulian. “Ho un maniaco da trovare. I bempensanti ed i liberali possono andare a farsi benedire per quanto mi riguarda. Sono stati stuprati ed uccisi 22 bambini, dei quali 20 erano maschi. Una statistica che come minimo mi insospettisce.” Gettando la sigaretta. “Devo smettere con questo dannato vizio... Monique!” Chiamando una dei suoi. “Voglio una di quelle ciambelle fritte con lo zucchero tutt'intorno... non glassa, cioccolato o zucchero a velo... zucchero e basta.”
“Una graffa.” Monique a lui.
“Si, qualunque sia il suo nome.” Annuì Zulian. “Ed un caffè... lungo, dolce, schiumoso...”
“E noi cosa facciamo?” Il maresciallo.
“Perchè non vi dedicate a fermare le auto e controllarne i documenti?” Ironico Zulian. “Ci occuperemo ora noi del caso. Su, ragazzi, al lavoro.” Ai suoi.
“Borioso pallone gonfiato e fascista...” a bassa voce il maresciallo, per poi andare via con i suoi uomini.
Intanto la vita ad Afragolopolis continuava a scorrere perlopiù pigra ed indifferente, salvo un po' di sdegno e forse un inizio di apprensione per quella storia, per quei 22 bambini violati.
Inoltre cominciò a diffondersi in città l'idea, il sospetto e forse persino la paura che il colpevole di tutto ciò fosse uno dei tanti ospiti poi rilasciati dell'Imperion Nolhian, il vecchio manicomio criminale di Afragolopolis.



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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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