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Vecchio 09-01-2017, 02.26.41   #3
Lady Gwen
Cittadino di Camelot
 
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Lady Gwen ha un'aura spettacolareLady Gwen ha un'aura spettacolare
Il tempo.
Un concetto totalmente relativo, per me.
Un groviglio di minuti e secondi affastellati casualmente in una mera alternanza di giorno e notte, giorno e notte, da un mese, un anno, o forse due.
Ma, dopotutto, non era importante.
Ero ancora qui, sana e salva, cosa potevo avere di più?
Soprattutto, ero con lui.
O almeno, lui mi teneva con sè.
Il ricordo di quella notte era sfocato, confuso, lontano, come se appartenesse a qualcun'altro, e probabilmente era così.
Probabilmente, davvero quella Gwen non esisteva più, probabilmente ero un'altra ed ero sua, una sua preda, un suo bottino.
Non ricordavo il momento in cui avevo iniziato ad accettare tutto ciò, era come scattata una molla improvvisa.
Forse, scaturita dal fatto che avesse scelto me, quella notte, dal fatto che, nonostante fossi chiusa nelle mie stanze tranne sei giorni al mese, lui venisse spesso da me, per sapere come stavo, a guardarmi mangiare, a parlarmi e a volte sapeva essere piacevole, e non solo per merito dei suoi occhi neri.
Ero immersa nei miei pensieri mentre osservavo l'albero di melograno che si vedeva dalla finestra della mia camera.
Era stato la prima cosa che avevo notato, sembrava quasi un dipinto, racchiuso com'era nella cornice in legno della finestra, con quei frutti maturi, scarlatti e lucidi simili a ornamenti di festa.
Era appena venuta Anya, la governante, a chiamarmi per dirmi che potevo uscire; mi chiamava sempre dopo colazione.
Attendevo quei sei giorni di libertà con terribile ansia e impazienza.
Così lasciai la mia stanza, feci un veloce passaggio in biblioteca e poi mi sistemai sotto il melograno.
Sopra di me, i frutti scendevano giù come pendagli splendenti al Sole, simili a una pioggia rossa che mi avvolgeva.
Quello che mi accingevo a leggere, era il mio libro preferito.
Raccontava il mito di Ade e Persefone.
Appena lo avevo letto la prima volta, avevo notato un'incredibile somiglianza fra me e Persefone, la nostra vita, il nostro destino.
L'uomo che avevamo accanto.
Mi piaceva perdermi nell'attesa di Persefone di quei sei mesi in cui avrebbe riabbracciato la madre sulla terra, lasciando il regno dei morti.
Mi rivedevo molto in lei, in questa giovane forte e mi piaceva credere che, dopotutto, anche lei avesse finito con amarlo a sua volta.
Aprii così il libro ed iniziai a leggere.


Un giorno, Ade decise di salire sulla Terra e di non tornare nel proprio regno fino a quando non avesse trovato moglie.
Durante il suo girovagare nel Regno dei Vivi, giunse nella Trinacria orientale. Entrò in un boschetto e sentì delle risate squillanti; scrutò verso il torrente, che scorreva nella valletta sottostante e scorse un gruppo di bellissime fanciulle che giocavano in acqua.
Ade si rese invisibile grazie a un elmo incantato realizzato per lui dai*Ciclopi*e scese per la ripida china della collinetta.
Allora si fermò ad osservare quelle splendide ragazze, una in modo particolare: aveva grazia e bellezza e pensò che fosse senz’altro la figlia di una dea.
Proprio in quell’istante, le fanciulle cessarono di giocare.
Si tuffarono tutte insieme e guizzarono via veloci; poco dopo, erano già scomparse.
Ade comprese che si trattava di ninfe che vivevano nei fiumi e lungo le coste di quell’angolo di Trinacria.
Una di loro però era rimasta: era*Persefone, proprio quella che aveva attirato la sua attenzione.
Ade decise di non lasciarsi sfuggire l’occasione che gli si era presentata ed escogitò un piano. Fece spuntare un meraviglioso fiore e rimase in attesa.
Persefone, avvolta nel suo telo di lino bianco, mentre si chinava per allacciarsi i sandali, scorse tra l’erba un fiore che non aveva mai visto. Tese la mano per coglierlo e, quando tirò lo stelo, sotto di lei si aprì una voragine, che la inghiottì.
Dopo una caduta che sembrava senza fine, Persefone si sentì afferrare da braccia possenti. Aprì gli occhi e vide vicinissimo al suo volto il volto di Ade, dai lineamenti duri, dal pallore della morte, coperto da una folta barba ispida, irsuta e nera come il carbone; neri erano anche i suoi capelli scarmigliati e neri erano anche i suoi occhi incavati e persi nel nulla. La ninfa comprese che non aveva via di scampo.
Intanto*Demetra, madre di Persefone, dea della terra coltivata, protettrice delle messi e in particolare del grano, tornava alla sua reggia e non trovandovi sua figlia andò a cercarla nel meraviglioso giardino.
Non vi trovò nessuno e allora andò a cercarla presso il torrente; osservò le rive, scrutò nei cespugli, si addentrò nel bosco, ma non trovò traccia della figlia.
Girovagò per giorni e giorni; chiese a chiunque incontrasse, ma nessuno parlava per timore di incorrere nelle ire del dio dell’Oltretomba.
Alla fine si rivolse a*Elios, il Sole, che, vedendo tutto ciò che avviene, le rivelò l’accaduto. Lo sdegno di Demetra fu grande: non volle più salire sull’Olimpo*accanto agli altri*dèi, non volle più ascoltare le preghiere degli uomini e maledisse la terra rendendola improduttiva e sterile.
Zeus, allora, preoccupato per le sorti del genere umano inviò*Ermes, il suo messaggero, da Ade.
In un primo tempo, Ade non volle saperne di rimandare Persefone sulla Terra, ma alla fine la volontà di Zeus vinse ogni resistenza: Persefone sarebbe stata per sei mesi nel Regno delle Ombre, generando un lungo e freddo inverno, e per gli altri sei sulla Terra, presso la madre Demetra, portando il raccolto e la primavera.




Finita di leggere l'introduzione, sfiorai il ciondolo a forma di melograno in oro e granati che portavo al collo.
Me lo aveva dato appena arrivata qui, dicendomi di non toglierlo, poiché era la prova che io ero sua, una sua conquista.
Non catene, o corde.
Un ciondolo.
In tutto quel tempo avrebbe potuto fare di me tutto ciò che voleva, trattarmi nella peggiore delle maniere, ma non lo aveva fatto e non potevo non essergli grata.
Magari, prima o poi, anche lui avrebbe finito col sentire quell'affetto che io provavo per lui.
Arrossii appena a quel pensiero e cercai di allontanarlo, scuotendo appena la testa e rimettendomi a leggere, giocherellando con la fine catenina del ciondolo.


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BALTASAR GRACIÁN


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ABU MASAR, "Libri mysteriorum"
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