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Vecchio 13-05-2015, 16.54.38   #68
Clio
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Clio sarà presto famosoClio sarà presto famoso
Ercules Exurges

Il tempo è giunto.
Ho atteso e preparato questo momento per molto tempo.
Per lunghi ed interminabili mesi.
Mesi intensi, colmi di determinazione, sacrifici, allenamento, preparazione, lividi, fatica, fiato corto.
Io e te, insieme, giorno dopo giorno.
E più il momento si avvicinava, più saliva la tensione, l’emozione, la volontà.
Giorno dopo giorno spostavamo il nostro limite un po’ più in là.
Ora siamo qui, io e te, rosso e blu, specchio l’una dell’altra.
Io sono e sarò il rosso.
Ed è strano, o forse no.
Rosso come il fuoco sacro che Coelia Concordia per ultima custodì nel cuore dell’Urbe.
Quel fuoco che una mano empia spense sotto i suoi occhi.
Quel fuoco che generazioni di donne hanno dimenticato di dover custodire.
Quel fuoco che qualcuno crede estinto, ma che brucerà sempre in noi.
Quel fuoco che portavano in battaglia con fierezza le donne migliori, quelle che sono il mio esempio e la mia forza.
Quel fuoco che nulla mai spegnerà, finché ci saranno donne disposte a custodirlo.
Oggi custodire ed alimentare quel fuoco spetta a me.
E non solo per me stessa.
No, anche per quella bimba che gioca da sola, in un angolo del giardino della scuola, e sgrana i suoi occhietti azzurri appena mi vede.
Ha in mano un rametto, ma io so che per lei è una spada, so che sta vivendo un’avventura mozzafiato, che i suoi compagni non riescono a vedere, e la chiamano pazza.
Forse hanno ragione, piccola, forse sei pazza, ma tranquilla, che lo sono anch’io.
E fidati se ti dico che non vorrei essere diversa.
Come vorrei abbracciarti e dirti che i tuoi sogni si avvereranno, forse non nel modo in cui avevi immaginato, ma si avvereranno.
Ti renderò fiera e orgogliosa, te lo prometto.
Oggi io combatterò anche per te, perché se oggi sono un guerriero nel corpo oltre che nello spirito, lo devo a te.
A te che non hai mai ascoltato i commenti della gente, che non sei mai cambiata per essere come gli altri.
A te che la battaglia non ha reso meno donna, ma solo più forte.
Alle tue avventure solitarie nel cortile, alle tue spade di plastica, e a quelle da collezione.
E forse non è un caso che a quella collezione manchi proprio un gladio.
A quello, piccola, ci penso io.
Posso quasi vedere il tuo sorriso sugli spalti dell’anfiteatro, quel sorriso così ricco di emozioni nascoste, ma che si accende se partiamo per un’avventura.
Prendo un profondo respiro, già solo essere qui è da pelle d’oca.
Quante storie possono raccontare queste pietre?
Quanti combattimenti hanno visto, quante volte il rituale si è ripetuto sotto i loro occhi?
Chissà se credevano di poterlo vedere ancora.
Eppure noi siamo qui.
Ancora.
Tra poco tocca a noi.
Ci guardiamo, uno sguardo d’intesa, che racchiude tutte le emozioni che abbiamo condiviso in questi mesi.
È il momento.
Ci armiamo, sotto il sole che brucia e mi acceca, e i sassolini che si infilano prepotentemente nelle calighe.
È solo una dimostrazione, non un vero combattimento, annuncia l’arbitro.
Eppure per noi è molto più di questo.
Il vero combattimento sarà domani, certo, ma lui non ci ha mai visto combattere, e nemmeno i nostri fratelli che sono lì al nostro fianco.
E poi dobbiamo combattere anche per loro, le nostre sorelle che meriterebbero di essere qui con noi, e che non avranno occasione di combattere se noi falliremo.
Dunque combatteremo anche per loro.
Abbiamo un minuto, un minuto per dimostrare che non è stato uno sbaglio credere in noi, che siamo degne di queste armi che portiamo in mano.
E poi, vuoi mettere? Domani saremo in riva al mare, ma oggi siamo in anfiteatro.
E so che tu stai pensando la stessa cosa.
Sento il cuore accelerare, e d’improvviso attraverso le piccole fessure dell’elmo posso vederti, vedere il mio riflesso, mia sorella.
Poi il segnale, e tutto ha inizio.
Non conta più nulla, ci siamo solo io e te.
Forse un giorno riuscirò a percepire ciò che accade intorno a noi, ma la strada è ancora lunga.
E tutto dura fin troppo poco, riportandoci alla realtà.
Ma quando voltiamo lo sguardo verso i nostri fratelli e vediamo i loro volti accesi, sorridenti e fieri, capiamo di essere sulla strada giusta.
Chi aveva titubanze o timori, chi ci sottovalutava ha cambiato idea.
E noi ci guardiamo, ma ci basta un sorriso, e poi un lungo abbraccio.
La prova sarà domani, ma ora affrontiamo tutto ciò he viene prima con animo diverso, più leggero.
Passano le ore tra le risate dei fratelli, i discorsi profondi, il mare che non vedevo da anni, ma che fa parte del gioco.
Da quanto tempo non ero così spensierata, come mentre giochiamo con le onde?
Eppure mi manca qualcosa, manca lui, il nostro maestro.
Se penso che domani non sarà lì al nostro fianco, lui che ci ha preparato a questo momento con dedizione e pazienza, spingendoci otre i nostri limiti, insegnandoci a combattere i nostri demoni, lui che ci ha dato tutto, lui a cui dobbiamo tutto, se penso che non potrò cercare il suo sguardo dopo il combattimento, mi prende un morso alla gola talmente forte che non riesco a respirare.
Ma mi basta sentire la sua voce per tranquillizzarmi un po’.
Lui mi dice che sarà nel mio braccio.
Ma io so che non è così, so che sarà in ogni mossa, in ogni colpo, in ogni schivata, in ogni scudata, in ogni respiro.
Tutto quello che possiamo fare è renderlo fiero di noi.
La sera scivola via leggera e quieta.
E poi ancora sole, e sole, e sudore, e lividi, e piccoli combattimenti.
(Mentre io cerco disperatamente di riportare a casa la mia pelle candida come è partita. Sarà un’impresa).
Ma il momento si avvicina.
E alla fine, arriva.
Inesorabile.
Sento in lontananza l’arbitro che spiega come non ci fossero solo gli uomini a combattere, ma anche le donne, e ci chiama.
Sono impegnata ad ascoltare il mio respiro, ad invocare Ercole, perché sorga in me.
Stavolta non sarà un minuto, non sarà una prova, non sarà un allenamento.
Sarà tutto vero, ci porterà al limite, mentre ci guideremo l’un l’altra, in una simbiosi mistica e rituale che ora sembra la realtà.
Ci siamo.
Io e te, con le armi incrociate nel saluto che precede lo scontro, mi chiedo se tu riesca a vedere il mio sorriso.
E l’equilibrio di cui parlavano prima, possiamo quasi toccarlo con mano.
Un colpo, un altro, una scudata deviata, e poi un colpo evitato, un passo, un altro, il respiro corto, il braccio stanco, qualche colpo entra di striscio, qualcuno bene.
Ma andiamo avanti, ancora e ancora.
Finché l’arbitro non dichiara concluso il combattimento, e noi ci fermiamo, sfinite ma felici.
Come posso spiegare quanto unisca due persone un’esperienza del genere?
Come posso raccontare quanto ci leghino quei lividi, quel fiato corto, quelle botte?
Forse non posso,
Perché tutto è racchiuso nell’emozione di quegli istanti, nel nostro abbraccio.
La gente che non conosce queste cose pensa che si combatta l’uno contro l’altro, che si sia rivali.
No, non siamo rivali, siamo fratelli.
Noi combattiamo insieme, perché insieme dobbiamo uscirne vive e solo allora avremo vinto.

E solo ora comprendo appieno gli insegnamenti dei nostri maestri, che tanto hanno insistito su questo punto.
Ora siamo ancora più sorelle.
Dunque è finita, è andata, ce l’abbiamo fatta: forse è questo che pensiamo mentre, in silenzio, restiamo a contemplare incantate il sole che tramonta dietro l’anfiteatro, con la consapevolezza che da questo momento, nulla sarà più come prima.

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