Discussione: Le luci della Villa
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Vecchio 07-09-2010, 23.30.20   #8
Mordred Inlè
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
Le luci delle Orcadi

La cerimonia di incoronazione non fu molto diversa da ciò che Artù si era immaginato.
Nessuno voleva aspettare più del previsto e quindi le sue sorellastre ed i re più distanti non era presenti. Il vescovo che lo aveva portato alla villa quando era un neonato fu anche colui che gli posò la corona sul capo, con un orgoglio da padre soddisfatto che Artù trovò decisamente fastidioso.
Ci fu solo una cosa che lo colpì nel profondo: Camelot.
Camelot non era come la vecchia villa di Uther anche se prendeva chiaramente origine da un'enorme villa romana. Era come vedere un vestito rattoppato e spezzato ed ancora cucito, pezzi di stoffa l'uno sull'altro.
Camelot aveva il cortile di una villa e le torri di uno dei più moderni castelli. Gli accampamenti esterni erano romani, ma le case attorno al castello potevano semplicemente essere qualsiasi cosa: dal legno, al fango alla pietra.
Ed il castello era enorme. Vi erano così tante stanze che Artù rischiò seriamente di perdersi.
Il fatto che la maggior parte della zona ovest venisse usata come dispensa mentre quella nord fosse aperta solo per ospitare nuovi arrivati aiutò molto il re nelle sue capacità di orientarsi nel restante spazio del castello.
Gli fu affidata la camera di Uther e, con un vago sentore di nausea, Artù scoprì di aver sperato di poter trovare in essa delle tracce del proprio padre. La stanza invece era già stata liberata dagli oggetti di Uther o forse lui non era mai vissuto molto nel castello.
Qualche corridoio più in là, Merlino gli mostrò la stanza che sarebbe stata di Ginevra ed accanto quelle delle sue damigelle. Poi poco fuori dal castello, una piccola casetta in pietra che apparteneva a Merlino stesso.
Dopo l'incoronazione, Artù volle annunciare a tutti della sua decisione sul siniscalco del regno.
"Perché Kai?" domandò Merlino, prima dell'annuncio, prendendo il re in disparte. I servitori che erano stati di Uther, ed ora erano i suoi, si ritirarono educatamente, ma non riuscirono a smettere di guardare il loro sovrano con occhi spalancati e curiosi, studiandolo in ogni sua mossa.
"Perché ne è capace."
"Conosco persone più capaci."
"Voi?"
"Non essere sciocco, come se non avessi altro da fare. Potresti dare il posto ad uno dei figli di Pellas. Lamorak o Aglovale sono abbastanza maturi. O a Lancillotto, lui ci ha aiutato in questa guerra come gli altri."
"Come ricompensa? Non voglio dare il posto del mio siniscalco ad uno sconosciuto," ribatté Artù. Ed era vero.
Certo, Pellas meritava un ringraziamento, ma il re non sembrava particolarmente propenso ad infilarsi nella vita di Artù come aveva fatto Leondegrance, ed aveva solo chiesto al Grande Re di accogliere i suoi tre figli quando sarebbero giunti a Camelot per divenire cavalieri. Ed Artù non conosceva abbastanza Lancillotto.
L'aveva incontrato la prima volta il giorno dell'incoronazione e ne aveva avuto una buona impressione, una rigida, educata impressione, ma più di quello non sapeva di lui.
"Lo faremo campione della regina, allora. E' una carica d'onore, se non sbaglio."
Merlino si limitò ad ignorarlo ed osservò il resto dei festeggiamenti con un cipiglio severo.
"Non credo che il tuo maestro sia molto felice di te," commentò Kai quando Artù lo ebbe dichiarato siniscalco davanti agli invitati di Camelot e quindi a tutto il regno.
Il grande re aveva sentito le mani dell'altro tremare quando lo aveva fatto rialzare.
"Lascialo stare. E' solo irato perché non faccio sempre tutto ciò che mi dice di fare."
Kai si voltò verso di lui e gli sorrise, con un mezzo ghigno che Artù conosceva bene, e l'altro fu per un attimo così felice, così dimentico di tutto che si limitò a fissarlo e si ritrovò sul volto un sorriso perfettamente simile.
"Sire," lo interruppe una voce dall'accento bizzarro e marcato ed il re fu costretto a voltarsi.
"Safir, Palomede," sorrise Artù, vedendo i due fratelli.
A differenza della marcata cortesia di Lancillotto, ed a discapito degli iniziali pregiudizi, Artù si trovava perfettamente a suo agio assieme ai due figli del re d'Africa. Nonostante le difficoltà linguistiche, i due giovani uomini sapevano farsi capire con facilità e parevano non possedere la fredda diffidenza dei Britanni, almeno non verso Artù.
"I miei due salvatori," continuò Artù e Safir alzò una mano per impedirgli di ringraziarli ancora una volta. "Capisco, siete stanchi di essere adulati," rise il re, "ma ditemi almeno cosa posso fare per voi."
"Siamo venuti qui come favore a Merlino. Lui ha salvato la vita di nostra sorella Nimue, quando era appena una bambina, ed ha aiutato nostro padre in momenti difficili," rispose Safir. "Ma se insistete per una ricompensa vorremmo solo chiedervi dell'ospitalità."
"Nostro padre desidera che noi impariamo il modo di regnare di voi Britanni," proseguì Palomede, sorridendo. Era un bell'uomo. Quando Artù era un bambino aveva visto per la prima volta un terribile uomo dalla pelle scura che la sua balia aveva chiamato 'La bestia nera' ed aveva usato il ricordo di quell'uomo come metodo per spaventare il piccolo Artù quando questi aveva bisogno di una strigliata.
Artù aveva creduto che tutti gli uomini della terra del deserto fossero come 'La bestia'. Ma Palomede non poteva essere più diverso.
A differenza del fratello minore, così alto e magro da sembrare la corda di un arco e senza una traccia di barba, Palomede aveva una cortissima barba nera come i capelli, così ordinata da parere di moda romana. Il naso affilato sembrava in tutto e per tutto simile al becco di un falco e vedendo i suoi occhi scurissimi, circondati di un colore nero, Artù si chiese se la Cleopatra che aveva un tempo studiato fosse simile a Palomede. Non gli era difficile crederlo.
"Siete più che benvenuti come ambasciatori e come ospiti. Avrete il libero accesso a tutti i luoghi del mio regno."
Safir annuì e si volse poi verso Kai. "I nostri omaggi per la vostra carica, sir Kai."
Artù non disse nulla sul fatto che l'altro non fosse un cavaliere e si limitò a guardarli allontanarsi verso il portone principale della stanza del trono, dove sicuramente si trovava Merlino.
"Sono dei barbari."
"Kai-"
"Li hai visti."
Il re portò una mano a circondare il polso dell'altro, poco sopra alle cicatrici. "Ci hanno salvati tutti, probabilmente."
"Sire," esclamò un'altra voce. Era facile venir interrotti quando la sala era piena di ospiti e soldati desiderosi di ingraziarsi il nuovo sovrano.
Voltandosi a guardare il nuovo arrivato, Artù incontrò lo sguardo di Bedivere che sorrideva enigmaticamente e si sentì arrossire. Lasciò il polso di Kai e si trovò di fronte Lancillotto, il figlio di Ban.
Tutti coloro che l'avevano visto combattere lo chiamavano il Leone di Bretagna, la furia che aveva distrutto praticamente da solo l'esercito di Mark. Artù sapeva bene quanto le voci venissero ingrandite dopo una battaglia poiché era accaduta la stessa cosa anche a lui, ma dopo aver visto il bretone non metteva in dubbio che quelle fossero, almeno in parte, vere.
Lancillotto era un guerriero. Lo aveva scritto ovunque, sulle spalle, sulle gambe leggermente arcuate dall'addestramento come cavaliere, sulle cicatrici sulle mani e sulla guancia. Il tono della voce apparteneva ad un uomo che sapeva dare ordini e farsi ubbidire e, soprattutto, che sapeva farsi amare.
"Lancillotto, è un onore avervi qui e spero che lo sappiate."
"Lo so, maestà. E' una grande gioia per me esservi potuto essere utile nella vostra guerra."
Kai dovette irrigidirsi o sbuffare, indignato da quella richiesta indiretta di lodi, perché Lancillotto si voltò verso di lui.
"Ed onore a voi, siniscalco," sorrise, porgendogli il braccio, mimando un antico saluto romano che ancora pochi praticavano. Kai gli afferrò l'avambraccio e lasciò che il bretone gli afferrasse il suo.
La stretta dovette durare più del previsto perché il siniscalco lasciò bruscamente la presa e quando Lancillotto permise alla propria mano di scivolare sul suo braccio, Kai fece un passo indietro, austero e rigido come Artù non lo aveva mai visto.
Lancillotto, pensavo di donarvi una carica di alto onore ed impegno come ricompensa. Toglierò Mark dal suo trono e ci metterò voi, spero non vi dispiaccia rimanere per sempre in Cornovaglia, lontano lontano da Camelot e-
"Lancillotto, figlio di Ban!" esclamò Merlino, raggiungendoli ed abbracciando il perplesso guerriero. "Conosco vostro padre da una vita. Ed il re è davvero grato per il vostro impegno. Così grato che ha pensato di darvi la carica di campione della regina."
Kai tossì ed Artù maledisse se stesso ed il proprio maestro. Essere campione della regina non comportava altro impegno che quello di proteggerla e, in un castello armato fino ai denti, era difficile che il campione mettesse davvero a repentaglio la propria vita per la regina. Era in realtà una carica d'onore che permetteva al campione stesso di partecipare più attivamente nella vita del castello senza avere davvero possibilità di cambiarla.
"Oh, sire, voi mi lusingate!" sorrise Lancillotto. Aveva un sorriso perfetto. "Accetto con immensa gratitudine questo vostro dono."

Le donne, le dame e la piccola Rhelemon giunsero a corte solo pochi giorni dopo la celebrazione di Kai. Ginevra sembrò sinceramente felice di ritrovarsi assieme al marito ed accolse la propria corona di regina con modestia ed eleganza. Non fu sicura di aver capito ruolo che avrebbe dovuto avere Lancillotto nella sua vita, ma quando Artù le assicurò che sarebbe stato come se lui non esistesse, la donna strinse la mano del cavaliere bretone e lo ringrazio, prima di ritornarsene nelle proprie stanze con alcune damigelle.
I soldati in cerca di un esercito a cui appartenere, i ladri che chiedevano grazia, mercanti e popolani in cerca di giustizia occupavano quasi interamente i suoi giorni, così come messaggeri dal fronte di Londinium, sempre informati sulle mosse di Cerdic e lettere di rinnovata pace con Mark e le Orcadi.
La notizia della morte di Lot non ci mise molto a raggiungere le mura di Camelot ed alla sua comunicazione Gawain si inchinò, si scusò ed uscì senza dire più altro dalla stanza del trono.
Il giorno dopo fu come se nulla fosse successo e Gawain sembrò invece rassicurato dall'idea che presto sua madre e le sue zie sarebbero giunte per dare i loro omaggi al re.
"Sono preoccupato," ammise Artù, una notte.
Aveva appena fatto visita a Ginevra. Non che fosse una cosa a cui pensava con orgoglio poiché la regina lo accoglieva sempre con così tanta gioia da farlo sentire in colpa per la sua mancanza di sentimenti diversi da quelli fraterni. Artù apprezzava davvero la sua regina, era tranquilla, piccola come un topolino, ma inaspettatamente acuta su argomenti assolutamente bizzarri. L'idea di dover giacere con lei era tutta un'altra cosa. Era il suo obbligo, l'obbligo che Merlino continuava a sottolineare ogni volta che lo trovava a vagare per i corridoi in momenti di pace. L'obbligo di avere un figlio ed un erede.
"Per le tue sorellastre?" domandò Kai, voltandosi a guardarlo.
Erano entrambi stesi sul letto del siniscalco, perché le stanze del re erano sempre un via vai di servitori indiscreti, spalla contro spalla. Non che avessero fatto nulla. Dal giorno in cui il re aveva chiesto all'altro di divenire il suo siniscalco Kai non l'aveva più toccato se non per qualche veloce bacio sulle labbra.
Ed ora il siniscalco, ancora vestito dei nuovi abiti da celtico ai quali si stava abituando, lo stava guardando ed i suoi capelli sfioravano la guancia di Artù.
Kai sapeva di pelle, di cotta di maglia e di un leggero profumo di donna perché era appena tornato da una visita alla balia della figlia. Tutte le sere andava da Rhelemon e rimaneva qualche minuto a guardarla dormire. La balia della bambina sembrava essersi completamente innamorata di Kai, nel modo più materno del termine, e spesso lo abbracciava e lo interrogava sulla sua salute e le sue abitudini culinarie.
"Anche. Sono quello che rimane della mia famiglia e tutti mi dicono che sono delle streghe."
"Tutti chi?"
"Bedivere."
"Allora probabilmente sono delle streghe," ghignò il siniscalco, anche lui fiducioso di tutto ciò che usciva dalla bocca del capitano. "E cos'altro?"
Artù non si voltò a guardarlo. Perché in quel caso si sarebbe trovato davanti i suoi occhi e la sua bocca e le sue efelidi.
Kai sapeva di caldo.
Incurante di ciò che vagava nella mente del suo re, il siniscalco gli afferrò il polso per richiamare la sua attenzione.
"Mi preoccupa Gawain. Mi preoccupa questo momento di pace, so che non sarà sempre così. Non ci vorrà molto prima che Cerdic si accorga di quanto ancora il regno sia fragile."
"Hai più alleati ora. Hai le Orcadi e Mark. E probabilmente qualche pirata irlandese se Mark lo chiede molto gentilmente."
"E poi sono preoccupato per te."
"Per me?" chiese Kai, con una nota di freddezza.
Artù sapeva che la mente di Kai ragionava in modo strano. Era stata bizzarra anche prima dell'arrivo di Severinus ed immaginava perfettamente cosa l'altro stesse pensando in quel momento. Preoccupato perché Kai non lo toccava, perché Artù aveva cambiato idea e voleva di più, perché Kai non era un siniscalco abbastanza abile-
"Prima di arrivare a conclusioni affrettate ascoltami," rispose subito Artù, voltandosi finalmente a guardarlo.
E Kai era lì. Ed il re avrebbe voluto buttare tutto all'inferno e lanciarsi su di lui.
"Sto aspettando."
"Non mi piace Lancillotto."
"Nemmeno a me piace Lancillotto."
"Lo so. Ma- ora sarà sempre qui a Camelot e-"
"Tu non sei preoccupato, sei geloso."
"Sono anche preoccupato."
Kai roteò gli occhi e li riportò a guardare il soffitto della stanza, lasciando il braccio del re.
"So difendermi, se è di questo che hai paura."
"Lui è un guerriero-" disse subito Artù. Voleva fargli capire. Aveva paura per Kai. E sapeva di essere paranoico perché dopo il primo incontro Lancillotto non l'aveva mai nemmeno guardato, ma semplicemente tutto stava venendo fuori ora. Ora che c'era pace. Ora che erano stabili.
"Ed io sono il siniscalco. E so difendermi." Kai fece una pausa che Artù non osò interrompere. "Quello che è successo con Severinus-" il re smise quasi di respirare e tese ogni muscolo nel tentativo di rimanere immobile. Kai non parlava mai di Severinus. "-è diverso, capisci?"
Artù avrebbe voluto dire sì. Sì, capisco, non c'è bisogno che mi dici altro. "No," sussurrò il re.
"Quando- quando l'ho incontrato la prima volta ho pensato che fosse tutto ciò che io volevo diventare. Avevo undici anni ed ero cresciuto con l'idea che Roma sarebbe tornata a liberarci dalla barbarie celta e Severinus era un romano, era alto, vestiva come un romano, parlava come un romano. Ho iniziato a seguirlo ovunque, come tu facevi con me, come un cane. Quando lui veniva a trovare Ector alla villa gli ero sempre attorno. Facevo tutto ciò che mi diceva di fare. E crescendo sapevo che avrei fatto anche di più, avrei fatto con lui ciò che un uomo poteva fare con una donna.
E poi lui mi ha baciato, è stata una delle poche volte in cui l'ha fatto, ed io sono stato così stupido perché ero felice, ero soddisfatto. Mi aveva baciato ed io ho solo creduto di essere speciale. E la volta dopo mi- mi ha chiesto di più ed io glielo dovevo perché lui mi aveva baciato ed a me era piaciuto, quindi glielo dovevo, capisci?"
No. Ma sarebbe stato troppo crudele negare perché Artù era sicuro che nemmeno Kai capisse. Si limitò ad annuire e tacere.
"E faceva male, ma mio padre era così felice che io passassi le giornate con lui perché era di una buona famiglia ed era un romano. Ed io glielo dovevo perché- gli ero sempre attorno- dovevo dargli qualcosa in cambio e lui c'era sempre, era gentile a volte e poi tu mi hai detto di non andare ed io non sono andato. Perché Julanna mi aveva supplicato e tu- non lo so."
"E cos'è successo?"
"Il bambino. Ho sentito c'era successo al bambino," rispose Kai, raschiandosi la gola ed osservando ostinatamente il soffitto. "E sapevo che era colpa mia perché se io fossi stato là Severinus avrebbe avuto me e non avrebbe cercato altro."
"Non-"
"E sono tornato. Ed in parte ero felice perché- era tutto ciò che conoscevo."
"D'accordo, va bene," sussurrò Artù, sentendosi tremare di rabbia e frustrazione, e voltandosi per stendersi più vicino a Kai e nascondere il volto nell'incavo della sua spalla. Il siniscalco si irrigidì finché, dopo qualche secondo, portò una mano tra i capelli del re, toccandoli e giocando con loro, aspettando senza dire nulla.
"Sono felice che tu sia fuggito da lui, quella notte," mormorò Artù, pensando a tutte le cose che Kai non gli aveva detto ed alle cicatrici sui suoi polsi.
"Anch'io," rispose l'altro e la parola gli morì a metà.

Se Artù avesse dovuto mettere in ordine di importanza le cose che lo preoccupavano, sicuramente l'arrivo delle sue sorelle sarebbe stato all'ultimo posto. Era nervoso, ovviamente, ma l'idea di un attacco da parte di Cerdic ed il peso dell'intero regno gli sembravano molto più pressanti.
Elaine fu la prima a giungere a Camelot. Arrivò con una modesta scorta di damigelle ed il marito a fianco.
Artù assorbì ogni tratto ed ogni movimento della sorellastra. I capelli biondissimi, l'aria austera, il naso leggermente storto ed il piccolo nei sul labbro superiore.
"Sire," si inchinò Elaine, rigidamente. Si scusò per non aver portato il figlio, ma il bambino era ancora troppo piccolo per viaggiare così tanto.
Artù avrebbe voluto abbracciarla, incantato dalla sua bellezza, e chiederle se lui assomigliasse a loro madre Igraine, ma l'esclamazione di gioia scomparve immediatamente quando lei lo guardò negli occhi.
Elaine non pareva particolarmente entusiasta di quella visita e lo osservava come se tutto quello fosse un doloroso dovere da portare a termine più che la gioia di un ritrovato parente.
Artù non ebbe tempo per disperarsi particolarmente della fredda accoglienza perché solo qualche ora dopo iniziarono a giungere voci confuse sull'arrivo della sua sorellastra Morgana.
"Credo sia qui, sire," gli disse uno dei servitori, con aria incerta.
"Credete?"
"Non si è presentata ed è senza scorta. Ma pensiamo che sia lei."
Il re non poté aggiungere altro che Morgana fece il suo ingresso nella sala del trono.
Era completamente diversa da ciò che si era aspettato e molto più simile a lui di quanto lo fosse Elaine.
Morgana era alta, molto alta, ed aveva dei fianchi leggermente larghi e piatti che non la rendevano particolarmente affascinante. I capelli, lunghi diritti e nerissimi, erano lasciati sciolti come quelli di una fanciulla nonostante Artù sapesse che lei era sposata.
"Mio marito ci sta raggiungendo. Con calma," sorrise Morgana. Aveva una carnagione più scura di quella di Artù e se fosse stata una donna minuta probabilmente sarebbe stata scambiata per una delle fate della foresta.
"Sorella, è un onore conoscervi," la raggiunse Artù.
Morgana non lo abbracciò, ma non lo osservò nemmeno con la stessa noia che aveva avuto Elaine.
Morgana lo studiò, lo guardò in ogni piccolo particolare, bevendo ogni sua espressione e facendolo sentire nettamente a disagio.
"Volete riposarvi? So che siete giunta da sola a cavallo e-"
"Non sono mai stanca, sire," sorrise Morgana, brevemente.
"Lasciate allora che vi presenti il mio fedele consigliere Merlino ed il capitano delle guardie, Bedivere."
"Ci conosciamo," replicò Morgana, non degnandoli di uno sguardo.
"E la regina Ginevra, la mia amata moglie."
Ginevra si alzò dal proprio tono e raggiunse la nuova arrivata, abbracciandola. "Sorella, siete incantevole."
"Non è ciò che mi dicono di solito, ma vi trasformerò di certo in un castoro per aver mentito."
Ginevra si impietrì, confusa e spalancò gli occhi, ma prima che Artù potesse indignarsi, la regina riuscì a balbettare una risposta: "Vi ringrazio per la vostra gentilezza. E per non aver detto topo. O furetto. Di solito scelgono quelli."
Morgana alzò un sopracciglio e la guardò come se fosse impazzita, ma poi Artù le vide dare il sorriso più sincero che avesse avuto dal suo arrivo. E si lasciò abbracciare una seconda volta.
"E questo è il nostro siniscalco."
Morgana era alta quasi quanto Kai e non tentò di apparire più piccola o minuta come molte donne erano solite fare davanti ad uomini alti come loro.
"Ho sentito molto di voi."
"Spero nulla che vi faccia venir voglia di trasformarmi in un castoro."
"Nulla di simile," rispose Morgana, con tono serio, "ma mia sorella Morgause ha un dono per voi."
Artù aggrottò le sopracciglia e scambiò uno sguardo confuso con Bedivere che si limitò a scrollare il capo.
"Ed anche per voi, fratello," gli sorrise Morgana, con aria spensierata.

Morgause giunse il giorno successivo.
Dopo aver incontrato Morgana, Artù era del tutto propenso a credere alle parole di Bedivere e l'idea che la sua ultima sorellastra avesse un dono per lui e per Kai gli incupì la mattinata ed il pomeriggio intero.
Elaine passò le ore fino all'arrivo di Morgause chiusa nelle proprie stanze con il marito, mentre Morgana venne vista tutto il giorno a gironzolare per il castello, facendo le domande più disparate e bizzarre a servi e soldati.
Le sue richieste andavano al semplice desiderio di avere informazioni sulla planimetria di Camelot, a domande più specifiche su armi, cavalli e strategie militari. Nessuno nel castello si sentì abbastanza sicuro di sé da risponderle con più di qualche accenno e delle veloci scuse, prima di una fuga.
Morgause arrivò con una scorta sontuosa e delle vecchie damigelle dalla pelle rovinata dal vento scozzese, vestite ed addobbate come le bambole di una bambina.
Il banchetto era previsto per il giorno successivo quindi Morgause ed i suoi figli raggiunsero il re in una sala del trono occupata solo da Bedivere, la regina, Merlino, Kai e qualche cavaliere, tra cui Lancillotto.
Morgause era bellissima. Aveva dei folti capelli di un ricco colore rosso come quelli di Gawain, delle mani delicate ed un delizioso bracciale dalla forma di drago. E gli occhi grigi erano quelli di Anna.
Artù si era completamente dimenticato della donna con cui aveva giaciuto prima della battaglia con Cercic. Non era stato importante, era semplicemente stata una notte in cui una bella donna si era trovata lì. Una bella donna di nome Anna che gli aveva ricordato Kai, in un qualche modo.
Quando Artù vide la sorellastra Morgause sorridere, con quelle piccole fossette attorno alla bocca, si lasciò sfuggire un singhiozzo e si accorse di aver oscillato solo quando sentì le mani di Bedivere e di Kai che lo sostenevano.
"Fratello," esclamò Morgause, con voce mielata, "è passato molto tempo."
"No- voi non siete Morgause," sussurrò Artù e Bedivere gli lanciò uno sguardo perplesso.
"Sire, ferite i miei sentimenti. Sono Anna Morgause, vostra sorellastra e figlia del duca Gorlois e di lady Igraine," rispose la donna, con voce chiara ed alta. Sembrò voler aggiungere qualcosa, ma infine si limitò a sospirare e mordicchiarsi le labbra.
"Siediti, Artù," gli ringhiò Kai, in un orecchio, ed il re si lasciò cadere sul trono dietro di lui.
"Lasciate che vi presenti i miei figli," continuò Morgause ed Artù quasi non riusciva a sentirla. Si sentiva nauseato, stanco, tremendamente stanco e sapeva di essere impallidito.
Oddio, che cosa aveva fatto?
"Conoscete già il mio primogenito Gawain."
Sono di passaggio, sentiva solo Artù, chiamatemi Anna.
"E questi sono Agravaine e Gaheris."
Immaginavo che voleste un po' di compagnia questa notte.
"Questo piccolino è Gareth, è un vero principino dai capelli dorati come sua nonna."
Mi dicono che dentro di voi scorre il sangue di un orso e di un drago.
"Dei bambini incantevoli," intervenne Merlino ed Artù chiuse gli occhi, passandosi una mano sul volto.
"Purtroppo ho dovuto lasciare il più piccolo alle Orcadi," continuò Anna Morgause, con un'aria così normale, così rilassata che Artù avrebbe voluto fuggire o colpirla.
Il re sentì la mano di Kai sulla propria spalla e fu quasi tentato di coprirla con la sua.
"Il piccolo Mordred ha solo qualche mese, ma appena diverrà più grande lo dovrete assolutamente incontrare."
Ed Artù capì.
Non seppe mai il perché. Forse Morgause era veramente una strega, o forse era l'aria soddisfatta con cui la donna aveva brillato dopo quelle parole, ma Artù capì subito che Mordred era suo figlio.
Per quanto il re avesse voluto non aveva alcuna intenzione di alzarsi e fuggire. Perché era il re e già odiava Morgause così tanto da non desiderare darle questa soddisfazione. Ed inoltre era molto probabile che se si fosse alzato le sue gambe avrebbero ceduto e così il suo stomaco.
"Siete proprio come mi immaginavo," esclamò Morgause, con una risata deliziata che nulla di aveva della freddezza di Elaine e della spigliatezza di Morgana.
"Voi no," si lasciò sfuggire il re, con voce strozzata.
"Spero di avervi sorpreso in meglio," replicò la sorellastra, come se nulla fosse accaduto.
Prima che Artù potesse aggiungere che era stata una pessima sorpresa, Morgause batté le mani ad una delle sue damigelle e questa si avvicinò alla sua signora con uno scrigno di legno poco più piccolo di un metro di lunghezza, ma leggero all'apparenza.
"Un dono per il nobile siniscalco di Camelot, l'uomo più vicino al re."
Quanto sa? Si domandò Artù, osservandolo allarmata, ma gli occhi grigi di Morgause non rivelarono nulla quando la serva raggiunse Kai e si inchinò davanti a lui.
"Aprite, vi prego."
Kai guardò il proprio re con aria allarmata. L'aria nella sala sembrava essersi fatta glaciale.
Tutti avevano notato la reazione del sovrano alla vista di Morgause, incomprensibile ed improvvisa, ma sapendo della reputazione della donna nessuno aveva dubitato che Artù avesse degli ottimi motivi per essere così scosso.
"Di che dono si tratta?"
"Una sorpresa che spero possa allietarvi la serata," rispose solamente Morgause e prima che Kai potesse allungare una mano per aprirlo o per cacciare il dono, Morgause scioccò aspramente le dita e la serve sollevò la piccola cassa.
All'interno, tra cuscini di velluto rosso, vi era una testa mozzata.
Kai aspirò brevemente e quando Artù lo vide oscillare su se stesso e rabbrividire, il re spostò nuovamente la sua attenzione sulla testa.
"Quest'uomo è giunto alla mia corte desideroso di tradirvi, sire," li informò Morgause.
Ed Artù poté distinguere nel pezzo di cadavere i nobili lineamenti di quello che era stato Severinus.
"Vi ringrazio, Morgause," rispose Artù, di rimando, parlando per la prima volta senza tremori nella voce. E prima che Kai potesse retrocedere ancora e fuggire dalla stanza, il re gli afferrò l'avambraccio e lo trascinò fuori scusandosi con i presenti.
Non importava che stesse fuggendo dalla sorellastra. Non voleva che lei vedesse Kai in quello stato.
Il siniscalco aveva smesso di camminare e se ne stava immobile con una mano sulla bocca.
"Devi-" iniziò Artù, convinto che l'altro stesse per vomitare.
"Sto bene," dichiarò Kai, con la voce roca ridotta ad un sibilo. "Era Severinus."
"Lo so. Non posso dire di essere dispiaciuto per la fine che ha avuto."
"Lei lo sa. Artù, lei sa cosa sono, cosa ho fatto-"
"Cosa hai fatto? Tu non hai fatto nulla. E cosa sei? Sei il mio siniscalco ed il figlio del nobile Ector, tutto il resto non importa."
"No, no, no, no," insistette Kai, premendo i palmi della mani sulle spalle di Artù. "Se lei dirà- se dirà a qualcuno di Severinus tutti penseranno che io sia il siniscalco- che io sia qui per quello."
"Nessuno oserà mai pensare ad una cosa simile," replicò Artù, a denti stretti.
Probabilmente Morgause sapeva cosa avesse fatto Severinus perché aveva dato la testa a Kai benché avesse informato la corte che la colpa dell'uomo era stato voler tradire Artù. Ma il re non riusciva ad immaginare il vero scopo della donna.
"Che cosa ti ha fatto?" domandò improvvisamente Kai, prendendo il viso del re fra le mani. "Ti ho visto, prima."
"Nulla, non pensiamoci."
Non voleva lasciare sulle spalle di Kai anche quel peso, quella colpa ed inoltre l'idea di dover parlare proprio a lui della sua debolezza e vergogna non gli sorrideva.
Purtroppo Merlino scelse quel momento per raggiungerli, giustamente confuso e irritato.
"Artù, hai lasciato tua sorella da sola senza un degno congedo e Gawain si chiede se il re non sia impazzito."
"Merlino, hai visto anche tu quello che ha fatto."
Il maestro dovette vedere il pallore di Kai ed il modo in cui in quel momento era aggrappato alle mani di Artù.
"Ho visto. Ho visto anche il modo in cui hai reagito alla vista di Morgause."
"Sei venuto qui per salvare l'onore di quella donna o ti stai solo impicciando?" sbottò Artù, sentendosi come al limite di una lunga corda tesa.
"Ragazzino, ricordati che io sono dalla tua parte e che lo sono sempre stato fin da quando non eri nemmeno in grado di tenere in mano una spada."
Artù distolse lo sguardo dal proprio maestro e si voltò nuovamente verso Kai, stringendogli le mani.
"Non è niente," sussurrò appoggiando la fronte a quella dell'altro. Non gli importava se Merlino vedeva. Non gli importava nulla.
"Artù," lo chiamò il siniscalco, respirando ancora troppo velocemente, ma chiaramente cosciente di non essere l'unico ad aver subito l'arrivo di Morgause.
"Niente, non è successo nulla."
"Artù, se c'è qualcosa che dobbiamo sapere-" intervenne Merlino, probabilmente sperando di rabbonire il re portando anche Kai e la corte intera nel suo 'noi'.
"Nulla di cui voi dobbiate preoccuparvi. Riguarda me."
"Sei il re, ora, riguarda tutti," ribatté il suo maestro, con freddezza.
E Merlino non sapeva quanto avesse ragione. Perché aveva ragione. Qualsiasi dissapore Artù avesse con qualcuno riguardava ora tutto il regno.
Qualsiasi nemico del re era nemico di Camelot.
Ma avere un figlio era molto più che di un litigio fra fratello e sorella. Ed avere un figlio da sua sorella-
"Merlino- conoscevo già Morgause."
"Dove?"
"A Londinium. Deve essere venuta assieme a Lot, prima della battaglia con Cerdic. Non sapevo fosse mia sorella, Merlino, non lo sapevo. Te lo prometto. Kai, diceva di chiamarsi Anna, non lo sapevo."
Artù non si accorse nemmeno che la propria voce era diventata un sussurro. Non si rese conto delle lacrime sul suo viso, ma sentì solamente le braccia di Kai attorno a lui e la mano di Merlino sulla sua spalla.
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[English Arthurian fandom]

❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends
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