Discussione: Le luci della Villa
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Vecchio 07-09-2010, 23.28.51   #7
Mordred Inlè
Cittadino di Camelot
 
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Le luci di Camelot

"Ti hanno mandato a farmi da balia?"
"Sire, con tutto il rispetto, dopo aver fatto da balia a mia sorella posso ritenermi qualificato per fare da balia a chiunque."
Artù si lasciò sfuggire un sorriso e permise a sir Dinadan di sedersi accanto a lui.
Non che avesse bisogno di una balia, ma poteva immaginare quanto fosse preoccupante che un re fuggisse nel bosco e non si facesse vedere per ore.
Artù non era davvero fuggito, aveva solo avuto bisogno di un po' di tempo per se, lontano dai cambiamenti, dalle richieste di Leondegrance per il matrimonio e dalle preoccupazioni di Pellinore e Merlino su Lot. A miglia di distanza da quel gomitolo di confusione che era diventata la sua vita.
"Siete preoccupato per la battaglia con Lot?" domandò Dinadan, ma stava ancora sorridendo, non ancora adagiato in un umore di serietà.
"Non dovrei farmi vedere a voi così, giusto?"
"Perché siete un re? Solo un re sciocco non si mostra umano. I sudditi hanno bisogno di sapere che il loro sovrano li capisce."
"Non sono un re."
"Siete un re. Avete sconfitto Cerdic e non avete permesso che l'esercito si disperdesse. Ed ora sposate una donna per avere una dote in cavalli, tipica azione da re."
Artù si passò una mano sotto il mento. Avrebbe dovuto rasarsi perché poteva sentire una corta barba che iniziava a crescergli. Si era sempre rasato, da nostalgico romano Ector aveva sempre strettamente seguito la moda di Roma.
"Voi avete una moglie?"
"No, anche se le donne si appostano dietro ai cespugli nel tentativo di cogliermi di sorpresa e mettermi una catena al collo. Non sapete che rischio ho corso per venire qui da voi, sire."
Cercando di cancellarsi il sorriso con il dorso della mano, poiché non gli sembrava conveniente ridere in simili momenti, Artù si voltò verso sir Dinadan e sperò di potersi fidare.
Si sarebbe potuto confidare con Bedivere, ma il suo capitano aveva già così tanti problemi che il solo vedere il suo volto stanco faceva nascere in Artù nuovi sensi di colpa. Merlino invece era completamente escluso, confidarsi di simili argomenti con lui era come aspettarsi di donare una sfera di cristallo ad un cinghiale e volerla riavere intatta.
"Sire, lasciate che vi racconti una storia. Mia madre e mio padre si sposarono giovanissimi. Mio padre era innamorato di questa bellissima mugnaia di nome Loral, ma la sua famiglia aveva bisogno di una dote e lo costrinsero a sposare mia madre, Morou."
"Come è andata a finire?"
"Mio padre e mia madre hanno avuto il matrimonio più felice che si sia mai visto."
"E Loral?" domandò Artù, a mezza voce.
"Loral e mio padre sono rimasti innamorati per tutta la vita, fino alla morte di lei. Loral non si è mai sposata pur di rimanere assieme a mio padre ed è venuta a lavorare nel nostro castello."
"A vostra madre andava bene?"
Dinadan scrollò le spalle e poi annuì.
Il rumore di un rametto spezzato interruppe Artù prima che questi potesse chiedergli dell'altro circa la sua bizzarra famiglia e Dinadan si alzò in piedi con la velocità di un lupo, sfoderando la daga in un solo movimento.
Per qualche motivo la vista di Kai infuriò Artù. Non perché non volesse parlare con lui anzi, per dirla tutta era felice che l'altro lo stesse cercando (sperò vivamente che non fosse stato mandato da Merlino, ma che avesse deciso di raggiungerlo di propria spontanea volontà). La cosa che colpì così duramente Artù fu la vista della daga di Dinadan e dei fianchi di Kai come sempre privi di una qualsiasi arma.
Kai era disarmato. Kai era sempre disarmato e non era un guerriero.
"Perdonatemi," esclamò Dinadan, quasi subito dopo averlo riconosciuto, abbassando la spada.
"Artù, smettila di comportarti come una ragazzina, stai facendo preoccupare tutta la villa." Che nel linguaggio di Kai poteva voler dire qualcosa di simile a 'Mi stai facendo preoccupare' o 'Mi hanno costretto a venirti a cercare'.
"Grazie, sir Dinadan, ho apprezzato molto il vostro aiuto."
Dinadan annuì e capì immediatamente la richiesta del suo re perché dopo aver rinfoderato l'arma, si inchinò brevemente e tornò alla villa, lasciando i due uomini da soli.
"Sei disarmato," sbottò Artù, immediatamente.
"Non sono un soldato."
"Ma ti ho dato un pugnale, dov'è?"
"Deve essermi scivolato con tutto quel sangue," ringhiò Kai, evidentemente irritato dal mal umore del re. La frase sembrò andare a buon segno perché Artù sobbalzò.
"C'era così tanto sangue?" domandò timidamente.
"Non lo so, non mi ricordo."
"Kai-" voglio che tu porti una spada, voglio che mi racconti cosa ti è successo, voglio te e basta, voglio- "credo di essere innamorato di te."
"Lo so."
Artù ebbe la decenza di arrossire e per un attimo desiderò ardentemente essersi preso quella breve ora per radersi. "Sono così evidente?"
"Non sei mai stato capace di nascondere nulla."
"E' per questo che mi hai baciato? Perché non sapevo nasconderlo?"
"No. Perché sei diverso da Severinus."
Artù si alzò in piedi, energia nervosa soppressa in ogni suo muscolo, e raggiunse l'altro, a qualche passo di distanza.
Non faceva ancora abbastanza freddo per mantelli e pelli ed il re poté facilmente appoggiare le mani sulla pelle dei suoi polsi segnati, sotto la tunica leggera.
"Quando sarò re lo ucciderò. Lo braccherò e lo ucciderò."
"Non voglio sentir ancora parlare di lui."
"Allora bandirò l'uso del suo nome dal regno!"
Artù aveva parlato in tutta sincerità, ma la frase dovette essere uscita come un'esagerazione perché Kai scoppiò a ridere e piccole vibrazioni giunsero fino alle mani di Artù sui suoi polsi.
"Dico sul serio, Kai, ascoltami!"
"D'accordo, ti credo," rispose Kai e dopo un attimo di esitazione lo baciò, labbra contro labbra velocemente.
"Perché?" si lasciò sfuggire Artù, pentendosene subito. Avrebbe dovuto ricevere il bacio ed esserne grato, non protestare.
"E' questo che hai fatto con Griflet," replicò invece l'altro, tornando in un attimo allo sguardo serio ed apprensivo che aveva avuto la prima volta che ne aveva sentito parlare.
"Sì, ci siamo baciati."
"E bacia come me?"
"No, in modo molto molto diverso. Ognuno bacia in un modo proprio. Ma mi piacciono i tuoi baci," aggiunse subito Artù, sperando che fosse la cosa giusta da dire.
"Dovrei tornare da Rhelemon."
"Torno alla villa con te," annuì subito il re, ansiosamente. Non voleva smettere di parlare con Kai ora che questi era venuto a cercarlo.
"Perché sei fuggito?"
"Non sono fuggito- sono-"
"So che ti sposerai con lady Ginevra. L'ho vista, è una bellissima donna."
"Non la amo."
"Sei davvero una ragazzina, Artù," commentò Kai, ghignando come tante volte aveva fatto da bambino.
"Non ci credo, sono il re eppure tutti continuano ad insultarmi," sospirò Artù, tastando il terreno, incerto su cosa poter discutere o no. Poteva scherzare sulla propria corona, vero? Dopotutto il re era lui.
"Fatti delle domande, allora," lo seguì Kai, facilmente, naturalmente. I servi di Ector erano soliti discutere per giorni sulle battaglie verbali più o meno accalorate dei due ragazzi, prima di Severinus, prima di Julanna e di tutto il resto.
"Volevo farti una proposta. So che non sei un guerriero-"
"So combattere."
"Lo so," annuì Artù. Lo sapeva. Ector aveva dato a Kai un addestramento base nel combattimento, ma si era basato molto di più sull'uso della daga e le tattiche di un esercito romano che sulle spade larghe che Artù aveva imparato usare a cavallo. "Quello che voglio dire è che Ector vivrà ancora per molti anni alla villa e volevo chiederti di-"
"Che cosa?"
"Nulla, è un'idea sciocca."

Leondrgrance non aveva alcuna intenzione di rimandare il matrimonio. Sapeva che Artù necessitava di truppe e ne aveva bisogno in fretta, ma il re non voleva aspettare dopo la battaglia per dare la figlia in sposa ad Artù.
C'era chi gli suggeriva di vedere come sarebbe finita la guerra, ma Leondrgrance sapeva di avere ragione.
Se Artù fosse morto, Ginevra sarebbe stata una vedova, ma mai di un traditore perché nonostante tutto ciò che Lot asseriva, nessuno vedeva davvero il giovane Artù come un usurpatore. Tutti sapevano che era il figlio di Uther.
La vedova Ginevra avrebbe comunque avuto la possibilità di combinare un nuovo matrimonio perché Lot non avrebbe mai osato umiliare Leondegrance più del dovuto. Scagliarsi contro Leondegrance, dopo una guerra contro Artù, avrebbe significato inimicarsi il nord.
Se invece Artù fosse sopravvissuto ed avesse vinto (non c'era pericolo che, se sconfitto, la sua vita venisse risparmiata) allora Ginevra sarebbe stata la grande regina di Britannia. E questo era più che sufficiente.
Ma il matrimonio doveva avvenire prima. Leondegrance non si fidava così tanto del proprio Grande Re da dargli la possibilità di ritirarsi dalla promessa nel caso avesse vinto la guerra.
"Domani?" annuì Artù, rivolto ai presenti.
Pellinore fece spallucce, non sembrava particolarmente felice delle nozze e Leondegrance si ricordò vagamente che l'uomo aveva una giovanissima figlia di nome Dindran. Sicuramente avrebbe potuto darla come promessa sposa ad Artù, se Ginevra non si fosse messa in mezzo.
Leondegrance sorrise. "Sì, sire. Tutti i preparativi sono pronti. Non sarà necessario un vescovo poiché Merlino, come sacerdote dell'antica religione, celebrerà il rituale."
Pellinore storse il naso.
Artù non sembrava particolarmente entusiasta all'idea, ma non disse nulla e si limitò ad annuire e sussurrare qualcosa a Merlino, al suo fianco.
Se il padre di Ginevra si aspettò di potersi crogiolare ancora un po' nella sua vittoria, si dovette ricredere perché in quel momento sir Bedivere entrò nella stanza della villa e, dopo un breve inchino ai presenti, annunciò le ultime nuove circa gli spostamenti di Lot.
"Sembra che sappia che siamo qui. Non credo che voglia attaccare la villa, penso piuttosto che si voglia congiungere a sud con le truppe di Mark. Saranno pronti per attaccare in tre settimane."
"Re Pellas, avete detto che il resto dei vostri soldati sono già in marcia?" domandò il Grande Re.
"Sì, saranno qui entro una settimana."
"No, mandate loro un messaggio. Dite loro di spostarsi a sud, tagliate la strada a Lot prima che giunga da Mark e con voi l'esercito di Leondegrance, se a lui non dispiace," continuò, fissandosi sul padre della sua futura sposa.
"Certo, sire," rispose questi, gelidamente.

Il matrimonio tra Artù e Ginevra venne celebrato in tutta fretta ed un misero banchetto vi fece da contorno.
Merlino, che chiaramente non provava alcuna simpatia per la futura moglie, non si perse in esagerate celebrazioni o particolari auguri, ma fece il suo dovere con il volto serio che aveva avuto andando in battaglia.
Nemmeno Artù si sentiva particolarmente allegro la notte delle sue nozze.
"Siete un uomo sposato sire, dovreste sorridere," esclamò sir Griflet, raggiungendolo dall'estremità del campo. Molti dei cavalieri più importanti dei vari eserciti accampati fuori dalla villa e dalla città erano stati invitati, più per fare numero e testimoni che per la gioia della festa.
Ginevra, in piedi accanto ad Artù, non disse nulla e nemmeno una volta rimproverò il marito per lo sguardo lugubre che sembrava possederlo.
"Mia regina," sorrise Griflet, inchinandosi davanti a lei, "siete incantevole."
Ed era vero. Il re dovette ammettere che Ginevra sembrava molto meno un furetto e molto più una donna. Aveva un lunghissimo abito rosso ed i capelli erano raccolti con una retina nera intrecciata di perle quasi perfettamente rotonde.
"Vi ringrazio," rispose la donna, chiaramente incerta su come chiamare il cavaliere e come comportarsi davanti a lui.
"Lui è sir Griflet, uno dei valorosi che mi hanno guardato le spalle a Londinium," lo presentò Artù.
"Molto più delle spalle, ne sono certo," intervenne la voce ghignante di Kai e Ginevra lo osservò perplessa.
Griflet inarcò le sopracciglia ed il re fu costretto a presentargli l'amico d'infanzia.
"Kai, è un onore conoscervi. Il nostro sovrano ha parlato molto di voi."
"Anche di voi, ve lo posso assicurare."
Artù arrossì. Fortunatamente Ginevra scelse proprio quel momento per prendergli il braccio tra le due mani minute ed il re sperò che il suo rossore passasse per l'emozione dato dal tocco della moglie e non il suono roco e minaccioso che la voce di Kai sembrava avere assunto.
Anche se probabilmente sarebbe bastato il suo aspetto. Ector, per rispetto verso i celti presenti, gli aveva chiesto di vestirsi anch'esso come uno di loro, come un soldato, e di lasciare gli abiti romani almeno per quella sera.
"Sire," Griflet decise di spostare tutta la sua attenzione sul suo sovrano, "so che potrebbe non essere il momento adatto, ma le truppe si-"
"Non è il momento adatto. Artù questa sera dovrà solamente pensare al proprio matrimonio," decise Kai, prendendo Artù dall'altro braccio e trascinandolo lontano dal cavaliere, portandosi dietro anche Ginevra che, incerta, decise di seguirli.
Artù avrebbe voluto chiedergli il perché ed avrebbe voluto poter sperare nell'emozione che gli aveva momentaneamente preso lo stomaco, ma quando aprì la bocca per chiedere a Ginevra se potesse lasciarli qualche minuto da soli, Merlino piombò su di loro, come un falco.
"Sire, sembra che re Mark abbia attaccato l'esercito di Pellas via mare, mentre scendeva verso di noi."
"Cosa? Via mare? Nessuno aveva parlato di navi," rispose Artù, tristemente dimentico dell'aria di normalità che era scesa poco fa su di lui.
"Non sono cattive notizie, ve lo assicuro," rise Merlino, improvvisamente, "anche se sono alquanto bizzarre."
"Spiegatevi." Dare ordini era molto meno difficile in quei momenti, quando il suo cuore batteva così forte per l'agitazione da farsi sicuramente sentire anche all'esterno del suo petto.
"Pare che un condottiero con i colori delle Orcadi abbia salvato gli uomini di Pellas dall'imboscata. Ed ora i due eserciti si stanno dirigendo qui."
"Lot ha deciso di tradire Mark?"
"Ne dubito fortemente, Artù."
Fu quello il momento in cui sir Bedivere, con la sicurezza che sempre lo caratterizzava, li raggiunse, con il sorriso delle buone notizie e per un attimo Artù volle quasi abbracciarlo e baciarlo (e fargli promettere che se qualcosa gli fosse successo lui si sarebbe preso cura di Kai).
"Un esercito con uno stemma a sfondo viola ed un falco nero a due teste si sta dirigendo qui assieme a quello di Pellas. E Re Ban ci sta mandando dei rinforzi dalla Bretagna."
"E' lo stemma delle Orcadi?" domandò Artù, preferendosi per il momento concentrarsi su quello. (Anche se l'idea che Ban, il vecchio re che aveva combattuto con lui e Uther a Londinium, avesse deciso di schierarsi dalla loro parte gli riscaldò il cuore).
"E' un falco a due teste? E' lo stemma di Gawain."
I quattro uomini presenti si voltarono stupiti verso Ginevra. Tutti loro si erano dimenticati della sua presenza e la donna, fino a quel momento, non aveva nemmeno sospirato per farsi notare.
"E'- è lo stemma che gli è stato assegnato da Lot," continuò la regina, leggermente imbarazzata per l'attenzione.
"Perché Gawain dovrebbe schierarsi con noi?" domandò Artù e questa volta non fece finta che la propria moglie fosse scomparsa, ma rivolse la domanda anche a lei.
"Morgause è vostra sorella, sire," rispose.
"Se è per il volere di Morgause allora è molto più probabile che stia venendo qui a pugnalarvi," intervenne Merlino, bruscamente.
Il resto della serata passò dimentico del matrimonio perché Pellinore volle essere sicuro che l'esercito alieno assieme a quello di Pellas non passasse dai confini dei loro accampamento finché non fossero stati sicuri delle sue intenzioni. Bedivere spiegò loro che in ogni caso avevano anche Ban e che il re della Bretagna aveva mandato il suo secondogenito, un cavaliere a nome Lancillotto, ad attaccare Mark dal mare, in modo da distrarre alcune delle sue navi e delle sue forze.
"Potrei chiedere alcuni favori a qualche vecchio amico," brontolò Merlino, prima di scomparire. E piano piano i soldati ubriachi iniziarono a cadere a terra come foglie ed Artù iniziò ad essere stanco.
Aveva nuovamente perso di vista Kai, ma poteva quasi essere certo che l'altro avesse bevuto così tanto da rendere impossibile ora una discussione con lui, quindi non protestò quando, dopo aver annunciato la fine della festa, Leondegrance lo trascinò con grazia verso la camera da letto. Assieme a Ginevra, ovviamente.
La stanza era la stessa che Artù aveva usato nei giorni precedenti ma, per l'occasione, era stata addobbata con fiori e drappi e sembrava molto più la vecchia camera di Julanna che il giaciglio di un guerriero.
Ginevra, accanto a lui, respirava pazientemente, incerta su cosa fare.
"Eccoci," sorrise Artù, nervosamente. Avrebbe dovuto bere di più.
Prendendola per mano la portò delicatamente verso il loro letto e quando si tolse gli stivali e si inginocchiò su di esso, Ginevra lo imitò guardandolo con occhi immensamente grandi.
"Ed ora?" sussurrò la donna, toccando con cautela una guancia del marito.
Il morbido toccò sembrò risvegliare Artù da una momentanea distrazione perché questi la abbracciò con foga e seppellì il volto su una sua spalla.
"Non posso."
"Potete fare finta che io sia la vostra amante," rispose Ginevra, senza nemmeno una traccia di fastidio, ma solo curiosità.
"Non posso. La mia amante- non è come voi, capite?"
"E' più bella."
"No, è- un uomo." D'accordo, forse aveva bevuto abbastanza.
"Oh," sussurrò Ginevra, irrigidendosi ed Artù le lasciò le spalle per guardarla negli occhi.
"Mi va bene," aggiunse la regina, "lui non potrà mai darvi un figlio. I vostri figli saranno solo i miei."
"Ginevra, voi- io non so cosa fare."
"Io non so cosa fare," rispose la regina, parlando chiaramente di altro. E per la prima volta da quando Artù l'aveva conosciuta, Ginevra rise.

Il mistero di Gawain venne presto risolto. E molti dei nodi rimasti in sospeso tornarono felicemente al pettine.
Molti anni dopo, quasi prima di morire, Artù avrebbe ricordato il suo primo incontro con il giovane Gawain e si sarebbe detto: "Sì, è qui che il sangue è cominciato."
Ma per ora ancora non poteva sapere nulla di ciò che gli riservava il futuro e quando gli annunciarono che i due eserciti erano accampati fuori e Gawain, autoproclamatosi suo alleato, voleva vederlo Artù accettò con gioia.
Gawain era suo nipote, ma non poteva essere più diverso da lui.
Non aveva la grazia felina di Artù, ma una forma di solida forza che pareva circondare tutti coloro che erano con lui. Il naso, privo di efelidi, ed i capelli rosso cupo gli ricordavano qualcuno, ma non riuscì del tutto ad elaborare il veloce sentimento perché Gawain sorrise e tutto il mondo sembrò illuminarsi.
Gawain sorrideva spesso ed aveva dei canini allungati, un po' come quelli di Artù, ed una voce profonda nonostante fosse più giovane del re di tre anni e quindi ancora un ragazzino agli occhi di tutti.
"Zio, sovrano!" esclamò sir Gawain, quando fu al suo cospetto.
Sì, avrebbe ripensato a quel momento, in futuro, ed avrebbe visto il carisma di Gawain ed il modo in cui il suo sorriso contagiava tutti i presenti, accogliendoli quasi in un abbraccio collettivo.
"Sir Gawain, non posso che essere felice di incontrarvi, nipote, nonostante le circostanze. Ma non posso fare a meno di chiedervi il perché della vostra scelta."
Ginevra era seduta accanto a lui ed osservava la scena con occhi spalancati. Artù decise che quella era la sua naturale espressione di curiosità e non, come aveva creduto, il riflesso di un nervosismo o di una timidezza.
"Perché è la cosa giusta," rispose Gawain, credendo in quelle parole con tutto se stesso.
Non ci volle molto ad Artù per scoprire che Gawain faceva ciò che faceva per la giustizia. Il sostenerlo come Grande Re era giusto perché lui era figlio di Uther e non importava che questo lo mettesse contro il proprio padre.
Artù credette che suo nipote sarebbe diventato un grande cavaliere. Ma si sbagliò, suo nipote diventò il grande cavaliere, il cavaliere delle donne e degli indifesi.
Ed Artù credette che suo nipote avrebbe sempre fatto la cosa giusta, anche se contro la sua famiglia come decise di fare quel giorno contro Lot. Ma scoprì che anche li si sbagliò, perché se c'era una cosa che non sapeva era che gli uomini delle Orcadi stanno con gli uomini delle Orcadi. E Lot, benché suo padre, altro non era che il re del Lothian.
In ogni caso, l'arrivo di Gawain fu miracoloso. La scoperta che il figlio del loro nemico era passato dalla parte di Artù sembrò risollevare il morale di tutti, così come la scomparsa dalla villa di Merlino che lasciò solamente detto che sarebbe presto tornato con altro aiuto.
Seguendo l'idea originaria di Artù, Pellas, i suoi uomini e parte dell'esercito di Pellinore partirono per impedire a Lot di raggiungere Mark, lasciando ai rimanenti l'onere di vedersela con Mark.
Le cose andarono meglio del previsto.
Lot si diede alla fuga, ferito da Pellas stesso, ed il suo esercito si arrese alla volontà di Pellinore lasciando così Mark solo a confrontarsi con Artù.
Sfortunatamente c'era una cosa che Artù non sapeva di Mark: aveva sposato una principessa irlandese.
Fu con grande sorpresa che le navi irlandesi iniziarono ad attaccare la flotta di Ban e Lancillotto e l'esercito di Mark poté quindi completamente concentrarsi su Artù.
Fu quello il momento in cui Merlino decise di tornare e non era solo.
Artù non aveva mai visto uomini come quelli che seguirono Merlino in battaglia quella giornata. Avevano la pelle scura, quasi nera, e cavalcavano come se fossero stati cresciuti da dei centauri, manovrando spade ricurve che parevano essere state costruite apposta per sgozzare i soldati di Mark.
"Merlino, avevi detto di dover riscuotere dei favori!"
"Un favore fatto molto tempo fa ad un re dell'Africa."
Merlino non era andato, ovviamente, in Africa, ma pareva che il re avesse mandato i suoi due figli minori, Palomede e Safir ad imparare i modi ed i costumi di cui tanto Merlino aveva parlato.
"Credo che volesse che i suoi figli imparassero i modi di combattere dei galli. Sono certo che quell'uomo abbia manie di grandezze e che un giorno, sassoni o non sassoni, saremo tutti sotto il suo potere."
Artù non lo ascoltò nemmeno, non gli interessava di quello strambo re dell'Africa, l'unica cosa che vedeva era il piccolo, ma veloce esercito di Safir sbaragliare con l'effetto sorpresa i soldati di Mark.
Furono dei mesi lunghi e difficili e molte cose cambiarono, una di queste fu che Artù divenne finalmente il Grande Re.

Ci volle tempo prima che le strade per Camelot fossero sicure e che la voce della vittoria di Artù si diffondesse in tutto il regno.
La gente ora sapeva, parlava del Grande re Artù Pendragon, figlio dell'Orso, il re Uther, e sposato a Ginevra, la bellissima figlia di Leondegrance.
E tutto ciò che Artù riusciva a pensare era che presto avrebbe vissuto a Camelot e che finalmente la parte più dura del suo lavoro era stato fatto. Almeno fino al ritorno di Cerdic.
Quando Kai lo raggiunse dopo uno degli innumerevoli festeggiamenti che Leondegrance sembrava donare ai soldati della villa, Artù avrebbe voluto essere un vero re, un uomo meritevole e parlargli come un Grande Re avrebbe fatto, ponderando le parole, annuendo nella parti giuste.
Tutto ciò che gli uscì invece fu uno spezzato: "Vuoi diventare il mio siniscalco?" Ed alle orecchie dei due uomini parve quasi una proposta di matrimonio.
"Non posso lasciare Rhelemon," rispose, Kai, con cautela, fermando nel bel mezzo di un passo.
"Potrà vivere a Camelot. Avrà dame di compagnia e la sua balia. Non le mancherà nulla. Te lo prometto."
"Ti credo, Artù," ghignò Kai, chiaramente prendendosi gioco della sua foga, "ma credo anche che sir Bedivere sia un uomo migliore di me."
"Sir Bedivere è il capitano delle mie guardie e mio consigliere."
"Sir Griflet, allora. Lui ti darà ciò che vuoi."
Artù si bloccò, prima di aggiungere dell'altro, ed osservò l'amico con attenzione. Sembrava esserci dell'altro dietro quelle parole.
"Io voglio te, non sir Griflet. O Bedievre. O addirittura Ginevra."
"Lo so. Ma io non posso darti nulla." E per la prima volta Artù lo vide stanco, tremendamente stanco.
"Non devi darmi nulla."
"So che cosa vuoi. Vuoi quello che voleva Severinus."
"No. Sì, ma è diverso. E' una cosa diversa. Non ti tratterei mai come ti ha trattato lui."
"Non sai nulla di Severinus."
Artù fece spallucce. Sapeva poco, ma sapeva anche abbastanza.
Probabilmente fu il gesto sbagliato da fare, la cosa sbagliata perché gli occhi di Kai divennero di pietra.
Non avevano davvero parlato dal giorno del matrimonio, né si erano mai toccati o Kai l'aveva baciato ancora quindi fu inaspettato quando l'altro gli afferrò i capelli e lo costrinse in un nuovo bacio.
Artù lasciò che Kai gli mordesse il labbro inferiore e gli leccasse quello superiore, lasciò che le sue mani scendessero sul suo collo più duramente del necessario e si costrinse a reprimere il mugolio di disperazione quando l'altro lo lasciò infine andare.
"Che cosa preferisci?" domandò Kai, "Questo?"
"Come?"
"O questo?" continuò l'altro, come se non l'avesse sentito, lasciandosi cadere in ginocchio davanti a lui.
Ed Artù avrebbe dovuto capire cosa stava succedendo perché Griflet si era inginocchiato altre volte nello stesso mondo, ed anche alcune delle donne con cui era stato, ma quello era Kai e le cose semplicemente non combaciavano.
Quindi fu con sorpresa che si accorse che sentiva freddo là sotto perché gli aveva slacciato tunica e brache e prima che Artù potesse fermarlo lo stava leccando. Ed Artù avrebbe davvero voluto trovare la forza per fermarlo, ma quella era la bocca di Kai su di lui e Kai che lo aveva completamente ingoiato.
Avrebbe dovuto guardalo, ma non poté fare null'altro che appoggiarsi al muro e lasciar fare. Per tutti gli dei, era pur sempre un uomo e quello era Kai!
Quando venne le sue ginocchia cedettero e si ritrovò seduto a terra, con le gambe leggermente aperte e Kai davanti a lui che lo stava fissando.
Ebbe la decenza di arrossire, ma non distolse lo sguardo.
"Mi ha insegnato tutto Severinus. Tutto quello che so. Che cosa fare, come farlo."
"Kai-"
"Cosa preferisci?" Non era la domanda di un amante, era una sfida, una prova ed Artù si ritrovò a chinarsi in avanti, con le mani che tremavano afferrò il collo di Kai e lo trascinò vicino, davanti a sé.
"Preferisco questo," rispose il re, con voce roca ed affannata, appoggiando le dita ai lati della bocca di Kai e costringendola in un sorriso. "E preferisco decisamente sentirti parlare. Che equivale ad insultarmi, ma va bene lo stesso."
E Kai iniziò a piangere, singhiozzando come se non avesse più aria attorno a sé, chinandosi su se stesso, finendo disteso sul petto del suo re.

Kai alla fine disse sì, con grande sorpresa di Artù, e partì con lui per diventare il siniscalco di Camelot.
Artù ebbe occasione di incontrare Safir e Palomede e scoprì che dietro al loro ben poco rassicurante aspetto si celavano due soldati, simili a lui e che sanguinavano come lui e come un qualsiasi Britanno. Fu con gioia che i due uomini accettarono l'invito per l'incoronazione.
Mark, rintanato nuovamente nella Cornovaglia, si premurò di mandare riscatti e denaro e smielati sorrisi di sottomissione al nuovo Grande re di Britannia.
"Lancillotto, figlio di Ban, sarà a Camelot al nostro arrivo," lo informò Merlino, a qualche giorno da Camelot. Ginevra era di molte miglia dietro di lui, viaggiando con Rhelemon, le donne e l'esercito di Leondegrance. Non c'era fretta per la sua apparizione, ciò che la Britannia voleva vedere era re Artù.
"Lo dovrò ringraziare. Ed anche suo padre. Sono stati dei preziosi alleati."
"Sire, temo che mio padre sia ancora in fuga, ma mia madre, vostra sorella Morgause, sarà ben lieta di raggiungerci a Camelot per farvi i suoi omaggi, dopo l'incoronazione," lo infermò sir Gawain. Ancora nessuno di loro sapeva che re Lot era morto per le ferite ricevute da Pellas.
Artù annuì e gli sorrise: "Sono felice di poter conoscere la mia sorellastra. Merlino, vorrei che chiamaste anche Morgana ed Elaine."
"Sarà fatto."
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[English Arthurian fandom]

❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends
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