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Vecchio 18-02-2015, 14.50.29   #6
Hastatus77
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Excalibur. La spada di Macsen

Titolo:
Excalibur. La spada di Macsen

Descrizione:

Chi fu il Comes Britanniarum Magno Clemente Massimo, protagonista di questo romanzo e del precedente “L’Aquila e la Spada”? Egli fu l’ultimo Governatore romano delle Britannie e ‘usurpatore’ temutissimo nel tardo Impero. Ma, soprattutto, fu una figura essenziale per la nascita dell’epopea di Re Artù e della sua spada Excalibur… anche se pochi – fra noi discendenti dei Romani – lo sanno!
I bardi di Britannia ne cantarono per secoli le gesta nella ballata “Breuddwyd Macsen Wledig” (Il sogno del Duca Massimo), contenuta poi nell’antica raccolta “Mabinogion”, unica traccia scritta delle leggende britanno-celte.
La sua spada, la Spada di Macsen, è stata favoleggiata come l’arma che sarebbe stata tratta dalla roccia, e chiamata Excalibur.
Goffredo di Monmouth, storiografo gallese del XII Secolo, nella sua fondamentale “Historia Regum Britanniae” – fonte primaria di tutta la ‘Materia di Bretagna’ e del ‘ciclo arturiano’ – fa addirittura affermare ad Artù che Magno Massimo era suo “parente stretto”.
Ed è in questo romanzo, come in “L’Aquila e la Spada”, che questa figura viene, come mai prima, svelata e messa in luce.
In un intreccio fra Storia scritta, Leggenda tramandata e Fantasia, fra visioni e incantesimi, battaglie e gesta eroiche, intrighi e tradimenti, Magno Massimo si confronterà con altri ‘giganti’ della sua epoca appartenenti alla Storia (l’Imperatore Teodosio il Grande, il Vescovo di Mediolanum Ambrogio, il retore Agostino, il monaco Martino…) e al Mito (il druido Taliesin, il principe britanno Cynan Meriadoc…)
Insomma, per la prima volta, questo romanzo narra di un retaggio finora misconosciuto dei quattro secoli di dominazione romana in Britannia: quel retaggio da cui – grazie a Magno Massimo – sarebbe nata, quasi un secolo dopo, la memorabile leggenda di Re Artù e di Excalibur.
Il romanzo “EXCALIBUR – LA SPADA DI MACSEN” – così come “L’Aquila e la Spada” di cui quest’opera è il seguito – trae origine dal racconto “La Terza Aquila”, anch’esso scritto da Alvaro Gradella e pubblicato nella raccolta “È sempre tempo di eroi”, edita nel 1998 da “Il Cerchio-Iniziative Editoriali”.
Il personaggio principale, il generale romano Magno Clemente Massimo, è una figura realmente esistita, come lo sono la maggior parte dei contemporanei che leggiamo fargli da contorno: gli Imperatori Flavio Graziano, Teodosio il Grande e Giustina, il Vescovo Ambrogio, il retore Agostino e il monaco Martino (futuri Santi della Chiesa Cattolica), e così via. Nella narrazione, quindi, lo vedremo muoversi e agire in un contesto del tutto congruo al proprio tempo (la fine del IV Secolo d.C.) e – in buona parte – nel rispetto di quanto gli storici ci riportano di lui, nonché della situazione politica, militare e dinastica negli Imperi Romani d’Occidente e d’Oriente.
Magno Massimo (Macsen Wledig, così chiamato dai Britanni) non sfuggì a una spietata damnatio memoriae, ma “EXCALIBUR – LA SPADA DI MACSEN” restituisce voce e gloria – come mai prima – a questo straordinario protagonista della storia di Roma e della Britannia.

Prefazione a cura di Adolfo Morganti

Alvaro Gradella prosegue con questo suo "Excalibur – La Spada di Macsen" il percorso mitico-narrativo iniziato con "L'Aquila e la Spada" nel 2012, di cui abbiamo già avuto modo di trattare. Lo fa con una sapienza di tratto che gli apre le porte a un possibile e già in nuce proseguo che lo condurrebbe alla stesura di una trilogia narrativa, unica in Italia, sul passaggio dalla Romanità al mondo storico e mitico di Artù, figlio di Uther Pendragon. Ma questo non è il solo suo merito.
L’Autore, cosa rara in un clima di consumismo culturale in cui chi scrive romanzi storici – un genere di sempre fecondo successo, fatto che suggerisce molte valutazioni attorno al bisogno di identità storica che contraddistingue il mondo in cui viviamo – lo fa leggendo al massimo altri romanzi storici e compulsando la più vasta miniera a cielo aperto di errori e superficialità della modernità, Wikipedia, da anni studia con attenzione quel lungo e cruciale periodo di passaggio fra Romanità e Alto Medioevo che darà poi vita a un cuore pulsante della letteratura e dell’identità europea: la “Materia di Bretagna”, la storia di Re Artù e della Tavola Rotonda.
Da anni, si diceva: la mia conoscenza con Alvaro Gradella risale al 1997, quando con “La terza Aquila” – un racconto veramente bellissimo, dove già allora e con largo anticipo tratteggiava la genesi romana di Excalibur – vinse il 2° Premio al Concorso Internazionale promosso da Fantàsia in occasione dell’annuale Convention Nazionale di Letteratura Fantastica e dell’Immaginario (ItalCon). Il suo racconto venne quindi pubblicato in una bella antologia dal nome "È sempre tempo di eroi" (Il Cerchio, 1998).
Già in quell’occasione egli si misurava con una profondità di conoscenza che lasciò stupita la Giuria del Premio attorno alla dialettica storica e spirituale fra Romanità e Germanesimo; anche allora perno del racconto era una spada; anche in quel racconto la figura dell’eroe era resa asciuttamente, senza retorica né antiretorica. Una scrittura efficace e stringata, una trama avvincente: un notevole autore scoperto, che solo la devastante esterofilìa del mondo letterario italiano – esasperata nell’ambito della letteratura di fantascienza e fantasy, in cui si è dovuto spesso assistere al penoso spettacolo di autori di Bari o Rho che per pubblicare racconti e romanzi in Italia dovevano inventarsi pseudonimi anglosassoni e far finta di essere americani – ha tenuto ai margini della meritata notorietà artistica in ambito letterario, che in altri ambiti gli ha viceversa assai più abbondantemente arriso.
Ora, il lettore de "Excalibur – La Spada di Macsen" può quindi misurare da solo lo spessore di questo amore di Gradella per quella stagione corrusca e cruciale della nostra storia, crogiolo in cui ha preso forma l’Europa di oggi, e considerare come dietro alla bella lettura di questo romanzo riposino molte belle letture, altrettante meditazioni, uno studio assiduo del contesto storico e antropologico di cui esso si nutre generosamente.
L’afflato… per un romanzo storico è tutto. In realtà Alvaro Gradella ci narra costantemente le metamorfosi dell’archetipo dell’Eroe, che a differenza della nota e infelice battuta di Bertold Brecht, non ci abbandona mai; così come ci è noto quanto il drammaturgo tedesco adorasse gli Eroi del Lavoro dell’Unione Sovietica, non esiste semplicemente società umana che non distilli i propri esempi e non li additi all’onore sociale, all’imitazione dei propri membri. Se gli storici delle religioni, a partire dallo statunitense Joseph Campbell, hanno da decenni illuminato l’esemplarità, quindi la natura sociale e pedagogica della figura dell’Eroe nelle società tradizionali, chiunque analizzi la società contemporanea si trova a dover affrontare il medesimo tema, che per pudore potrà essere travestito con termini più politically correct (come moda, o icona…) ma che resta vivo della medesima funzione; di fronte alle miriadi di magliette col volto trasfigurato di Che Guevara e alla macchina massmediale che divinizza Lady Gaga a uso delle adolescenti in cerca di identificazioni di successo, nei due romanzi di Alvaro Gradella lo spessore del protagonista Magno Clemente Massimo appare scolpito nel marmo.
La Storia è scritta dai Vincitori, la Leggenda… dagli Sconfitti”. Questa frase, già scolpita nella copertina della prima edizione de "L’Aquila e la Spada", viene ripetuta in calce a questa sua nuova fatica letteraria. Ma così come i Vincitori non sono sempre né belli né buoni, così gli Sconfitti continuano a richiamare non solo la pietas che si deve (si dovrebbe) riconoscere al valore sconfitto sul campo, ma qualcosa di più: la bellezza dell’azione, la profondità dell’amicizia, il coraggio di fronte a un destino che come quello di tutti noi è intessuto di speranze e timori, di amore e delusione, di vita e di morte. Le vicende lontane del tempo in cui, alla periferia del mondo conosciuto, l’eredità di Roma divenne l’utero di un cruciale e archetipico Medioevo sacro, tornano così a parlare a ognuno di noi della battaglia quotidiana, che ogni uomo combatterà su questa terra finché non avremo nuovi cieli e nuove terre. E in questa narrazione la Spada rimane il simbolo assiale, nella sua continuità e nelle sue trasformazioni, di una sacralità che non si estingue. Mai.

Editore: Runa Editrice
Autore: Alvaro Gradella

Fonti:
Runa Editrice

Per approfondire l'argomento:
Magno Massimo
Artù: Base storica e possibili identificazioni
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"La Morte sorride a tutti... Un uomo non può fare altro che sorriderle di rimando..."


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