Discussione: Mito La leggenda di Alassia
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Vecchio 09-09-2010, 10.40.49   #1
Lady Dafne
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La leggenda di Alassia

Buongiorno alle dame e ai cavalieri di Camelot,
come vi avevo promesso nel post "I Cimbri" pubblico una delle leggende contenute in Leggende Italiane, vol. I, edito da Fabbri Editore. E' la storia di Alassia, figlia di Ottone I, ripresa da una leggenda ligure edita per la prima volta nel 1919 nel testo di F. Musante, La leggenda in Liguria.
Trascrivo al momento solo la prima parte, se vi piacerà la posterò tutta.
Mi sembra un ottimo esempio dell'ideale cavalleresco, spero siate d'accordo con me!
Arrivederci Amici!


La storia di Alassia

<Tanto tempo fa, quando ancora non esistevano le strade ferrate, né la stampa, né tante altre cose d’oggi, visse un grande uomo: Carlo Magno. Egli aveva compreso che i migliori mezzi di civilizzazione erano la tradizione latina e il cristianesimo, e la impose al mondo barbarico con le buone o con le cattive. Dall’alleanza di Carlo Magno con la Chiesa, dall’idea dell’alleanza e della fedeltà tra gli uomini, combinata con la spiritualità interiore, uscirà la cavalleria, questa manifestazione sorprendente ed originale del Medio Evo.
La cavalleria è una concezione nuova della vita che indica un ideale più elevato dell’uomo e della donna. Il tipo di cavaliere che unisce al coraggio e all’audacia la perfetta cortesia e la dolcezza d’animo non era ancora del tutto formato in Germania ai tempi di Ottone I imperatore, e occorrerà ancora qualche tempo al suo pieno sviluppo.
Onorare e servire i deboli non è cosa facile da insegnare agli uomini per i quali un colpo di scure nel cranio di un vicino incomodo è tanto normale e semplice quanto schiacciare una mosca. Ma verso il Mille le crociate sono nell’aria e l’ideale cavalleresco, specie presso i popoli latini, germoglia sotto le rozze abitudini, e prima di essere argomento delle canzoni dei trovatori esso prende forma nella leggenda.

Adelasia, o Alassia, ebbe per padre Ottone I il Grande, imperatore di Germania. Di una bellezza sorprendente, di forme eleganti di alto ingegno, Alassia era pure di pietà esemplare che quasi rasentava l’ascetismo. Ma, ciò nonostante, un brutto giorno fu messa a dura prova.
Uno svevo chiamato “il Cavaliere Nero”, osò dire che la fanciulla era di facili costumi, e l’imperatore, infuriato con la figlia, la fece comparire dinanzi al suo tribunale. Alassia era indignata, ma con calma si offrì di provare la propria innocenza mediante una singolar tenzone, che era una forma del giudizio di Dio; un fedele onesto scudiero dell’imperatore, di nome Aleramo, si presentò come campione della principessa, lottò in campo chiuso contro il calunniatore, che per la sua forza era considerato imbattibile, e lo vinse.
Tutti furono convinto della purezza della fanciulla, che da allora arse d’amore per il suo difensore. Ma il malevolo “Cavaliere Nero” non si tenne per battuto e con infamia accusò la principessa e lo scudiero di una passione colpevole. Alassia, spinta agli estremi, chiese di ricorrere alla prova del fuoco, più per salvare la vita di colui che l’amava innocentemente che per giustificarsi. L’imperatore accettò e fissò il giorno per il grande avvenimento.
Un’immensa assemblea era riunita sulla piazza pubblica. L’imperatore sedette sul trono circondato dai più grandi feudatari e dagli alti dignitari della Chiesa. La povera Alassia comparve vestita di una semplice tunica di seta bianca stringendo sul petto una croce, mentre i monaci cantavano il rito dei morti.
La principessa è di un pallore mortale, ma la fiamma dell’amore e della purezza brilla nei suoi occhi grandi e fissi. Quattro servi, con le torce accese, tentano di mettere fuoco ai quattro lembi della sua veste, ma la fiamma non vi si appicca e i servi arretrano dallo spavento. Viene allora distesa davanti a lei una striscia di carboni incandescenti e, mentre ella vi cammina sopra a piedi nudi, questi si estinguono sotto i suoi passi.
A questo prodigio la folla emise un’immensa acclamazione e l’accusatore costernato si dette alla fuga. Alassia allora con voce alta e ferma si rivolse a suo padre con queste parole memorabili: “Imperatore e padre, io vi ho provato la mia innocenza camminando sul fuoco, ma da questo momento io cesso di essere vostra figlia; ormai io appartengo a colui che in me ha creduto e mi ha difesa anche di fronte a voi. Addio, voi non mi rivedrete più. Che Dio vi perdoni come io perdono al mio accusatore!”. E con lo scudiero che ella perdutamente amava,fuggì in cerca di un angolo tranquillo, il più solitario che essi potessero trovare.
Si misero in cammino verso le montagne, entrarono nelle più fitte foreste, che allora rintronavano ancora dei ruggiti degli orsi e degli ululati dei lupi. Stanchi e spossati dalla fatica si fermarono infine in un angolo tranquillo e pittoresco della Liguria. “Ecco” pensarono “una solitudine abbastanza profonda per noi”. E fu là, nei nascondigli del picco di Pietra Degna o Ardena, e poi fra i poggi e i colli ancora selvaggi della baia – che poi fu chiamata Alassio – alle falde del monte Lemio, che gli innamorati si rifugiarono per sottrarsi all’implacabile ira dell’imperatore Onorio.
Passarono la notte tra i ruderi di un’antica casa nascosta in un bosco di castagni; dormirono a lungo fianco a fianco perché avevano bisogno di riposo, e di tepore. […]
I primi giorni Aleramo li impiegò per sistemare la casetta e costruirvi intorno un muricciolo; ma bisognava pure che si cercasse un’occupazione . Conobbero lì vicino, alcuni bravi legnaioli e carbonai che insegnarono loro il mestiere e diventarono amici: Aleramo se mise dunque a far legna e carbone, mentre Alassia raccoglieva ramaglia da legare in fastelli. Certo era una vita misera se la si paragonava a quella di un tempo; ma appena Aleramo manifestava un po’ di rammarico lei gli chiudeva la bocca con tenerissimi baci. Passarono gli anni e misero al mondo una bella nidiata di figlioli. […] >



Continua...
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"Gli uomini che meglio riescono a stare con le donne sono gli stessi che sanno starci benissimo senza" Baudelaire
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