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Vecchio 27-01-2015, 01.50.23   #2
Clio
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Clio sarà presto famosoClio sarà presto famoso
C’è una strana atmosfera a Miral nelle fredde sere d’inverno.
Come una quiete insolita e sospetta che attraversa le sue vie, mentre cominciano a velarsi di foschia, una pace inaspettata, un silenzio irreale.
Sono pochi però, i momenti in cui appare tanto magica, una volta il mio preferito era il tramonto, quando cominciavano ad accendere le luci delle case, e in strada si poteva sentire il profumo delle prelibatezze preparate dalle donne della città.
Ora però preferivo la notte, e quel silenzio malinconico e assordante.
Canticchiavo, camminando sulla riva del pittoresco canale, su cui si affacciavano case, le botteghe, tutte rigorosamente buie.
Mi incuriosivano quelle poche luci accese, sintomo che qualcuno, esattamente come me, non stava dormendo.
E paradossalmente mi sentivo meno sola.
Eppure ero stata io stessa a ricercare quella solitudine inquieta.
Casa non era lontana, e mancavo da troppo tempo.
La campagna doveva durare un paio di settimane, invece si era protratta per quasi tre mesi.
Non che mi dispiacesse, per carità, anzi.
Odiavo i periodi tra una campagna e l’altra.
C’era troppo tempo libero, troppo tempo per pensare, troppo tempo per ricordare.
In battaglia non c’è tempo, se ci si riposa si è talmente stanchi che si sprofonda in un pesante sonno senza sogni che non siano presagi di morte.
E poi in quella guerra di cui non mi importava un accidente c’erano loro a distrarmi.
Era la terza volta che combattevo al fianco dei Montanari, eppure mi consideravano una di loro. E’ incredibile il legame che si crea tra sconosciuti combattendo fianco a fianco.
Così, mi scappò un sorriso, pensando ai ragazzi che avevo appena lasciato nell’Ostaria del Topo Rosso.

La piccola osteria alle porte della città, sembrava aver subito un’improvvisa invasione di beceri soldatacci di ventura.
Ma considerando che quei soldatacci erano appena tornati da una campagna vittoriosa, con le tasche piene di Vipere d’Oro sonanti, e avevano una gran voglia di festeggiare con donne e vino, era un’invasione più che ben accolta dal simpatico oste.
E non si trattava di soldati qualunque, ma dei famigerati Montanari, che erano riusciti a riconiare il termine tanto usuale, (nato da un vecchio insulto rivolto ai primi esponenti del gruppo) rendendolo qualcosa di spaventoso.
Un nome che faceva scostare le persone al loro passaggio, inventare storie per spaventare i bambini, sprangare le porte, e pregare di non mettersi mai sul loro cammino.
Eccoli lì, i terribili Montanari.
Uomini semplici forse, rozzi per lo più, crudeli in battaglia, certo, eppure capaci di difenderti in ogni situazione, di avere per te le gentilezze più inaspettate.
Come spesso accade, il mostro visto con occhi diversi non sembrava così pericoloso.
E io lo sapevo bene, per i pirati era la stessa cosa.
Solo che i Montanari difficilmente rubavano, con la paga esorbitante che chiedevano per i loro servigi.
Stavo ridendo, per non so più quale ricordo imbarazzante di Kostor, quando il capitano Elos, propose un brindisi alla compagnia.
Ci voltammo subito verso di lui. Era diverso dai capitani che avevo incontrato, non incuteva terrore nei suoi. Sapevano solo tutti che era il migliore, oltre che una delle persone paradossalmente più serie, e nessuno aveva mai messo in discussione il suo comando.
Alzai il boccale insieme agli altri, per poi portarlo alle labbra.
Una smorfia disgustata mi si dipinse sul volto. Da quando servivano quell’orrore?
Ma poi mi guardai in giro, effettivamente cominciavano ad essere tutti ubriachi.
Beati loro.
Era ora di andare.
Mi alzai, avvicinandomi ad Elos, lui si voltò verso di me e sorrise.
“Clio..” con un leggero inchino “Stai andando?”.
Annuii “Direi di sì..” sorridendo “Grazie di tutto… è sempre un piacere lavorare con voi..”.
“Ah, non dirlo neanche…” scosse la testa “Sei una di noi ormai..”.
Sorrisi, grata di quelle parole.
“Domattina ripartirete per Berig?” voltandomi, distratta da uno schiamazzo troppo alto, per poi tornare a guardare Elos.
“Nah..” rispose lui “Penso che resteremo un paio di giorni chiusi qui dentro..” rise, e io con lui.
“Finchè non avrete speso tutta la paga?” risi.
“Perchè no?” rise, tornando poi serio in un attimo “Potresti venire con noi, lo sai..”.
Scossi la testa “No, ti ringrazio.. manco da casa da troppo tempo.. senza contare che ho dannatamente bisogno di un bagno..” risi “Comunque grazie..” sorridendo con gratitudine.
“Allora alla prossima, ti terrò presente per il prossimo incarico?”.
Annuii “Naturalmente, è sempre un piacere.. a meno che qualcuno non mi abbia offerto più…”. Strizzando l’occhio.
Lui fischiò. “Se esiste, me lo devi presentare..” e ridemmo insieme.
Ci salutammo con un lieve abbraccio, e mi avviai alla porta, sapendo che mi aspettava il giro dei saluti. Salutai Vortex, il gigante buono, armato di ascia, ma dalla risata inconfondibile, Geris, il ragazzino dalla faccia pulita, che mi suscitava ammirazione e tenerezza.
Quasi sulla porta, mi fermò Kostor.
“Ehi, stupenda.. dove vai?” parandosi davanti alla porta, col suo forte accento di Berig.
Lo guardai torva, le mani sui fianchi “A casa, se ti levi..” seria, per poi scoppiare a ridere.
Adoravo Kostor, era genuino e semplice, ma capace di spaccare un uomo a mani nude come nulla fosse. “Diamine, vengo anch’io…” esclamò, divertito.
“Eh, ti piacerebbe…” ribattei.
Lui mi squadrò e sorrise “Non lo so mica se ti vorrei per casa…” ridemmo insieme, e poi lo abbracciai “Fatti vedere, eh..” mi disse, con una sonora pacca sulla spalla.
Annuii “Certo, non ti libererai di me così facilmente…”.
Mi guardai intorno “Dov’è Dort?” Ma nessuno rispose “Beh, salutatemelo..”.
Uscii nella foschia, e mi avvicinai alla balaustra che dava sul canale cittadino, su cui aleggiava una nebbia magica e inquieta.
Restai per un attimo ad osservarla, per poi sospirare.
“Stai andando?” una voce malinconica mi fece voltare di scatto.
“Eccoti, canaglia..” sorrisi a Dort, ma subito mi accorsi di quella luce nei suoi occhi, una luce fredda e tagliente, la stessa che trovavi nei miei se non stavo attenta.
“Ehi..” mi avvicinai, parlando dolcemente “Tutto bene?”.
Lui si limitò a sospirare, spostando lo sguardo verso il placido canale in cui si specchiavano le poche luci rimaste accese.
“Passerà mai?” chiese, con voce dolorosa, senza guardarmi.
Non c’era alcun bisogno che mi spiegasse, una sera, ubriaco, mi aveva raccontato di Lara.
“Certo che passerà..” risi appena, amaramente “Ci sarà una campagna da cui non torneremo..”.
Lui rise “Beh, tu ce l’hai messa tutta per non tornare..” guardandomi, severo “Quell’incursione era un suicidio!”.
Alzai le spalle “Sono viva, no? E ha pure funzionato..” con una smorfia divertita.
“Cosa ti tiene in vita?” chiese, spiazzandomi, con gli occhi nei miei.
Scossi la testa “Non lo so..” ammisi “È come se non riuscissi a rassegnarmi..” mormorai “Come se continuassi a sperare, non so nemmeno in che cosa..”.


Lui non sapeva tutta la verità, non era la morte che cercavo, ma l’oblio.
L’oblio che solo la battaglia poteva darmi, quando il desiderio di vivere, nonostante la mia immancabile incoscienza, si impossessava totalmente di me, non lasciando spazio ad altro.
Nemmeno a Lui.
Persino ora, nel silenzio della notte, sentivo la sua mancanza: eppure non c’era nulla che potesse scatenare i miei ricordi, era proprio per quello che ero tornata a Miral, perché nulla mi parlasse di lui.
Allora perché lo vedevo dappertutto? Perché mi chiedevo in continuazione che cosa avrebbe detto nel vedere un palazzo, nell’assistere a una scena pittoresca, o nel passare di fronte alla grande Cattedrale incompiuta?
Ero arrivata proprio davanti a lei, e alzai lo sguardo.
Già, pensai, gli sarebbe piaciuta quell’opera grandiosa, a cui tutta la città contribuiva da decenni.
Avrebbe sicuramente tirato fuori un discorso su quanto gli uomini riescono a compiere opere meravigliose per onorare Dio. O qualcosa del genere.
Sorrisi, voltando a sinistra, in una viuzza che mi avrebbe portato a casa.
Un mendicante stava canticchiando una canzone malinconica, gli lanciai distrattamente una moneta, senza voltarmi, e raggiunsi finalmente la porta di casa..
Alzai gli occhi sul tetro cancello e sorrisi appena, sfilando la collana con le chiavi.
Il giardino era spoglio, come sempre, ma non vi badai, e mi avvicinai all’imponente portone.
Una chiave, l’altra, l’altra ancora. Avevo fatto costruire quella porta dal miglior fabbro della città, almeno a casa mia volevo dormire sonni tranquilli.
Con un cigolio sinistro, la porta si aprì, e un’ombra rapida e veloce la attraversò prima di me.
Impugnai immediatamente il pugnale, prima di accendere la grande lampada ad olio.
Scossi la testa, e richiusi la porta dietro di me, serratura dopo serratura.
“Oh, ma guarda un po’ chi c’è..” riponendo l’arma nel fodero, avvicinandomi al grande tavolo, su cui stava impettito e curioso un gatto nero come la notte, con i tipici occhi gialli, gli accarezzai la testa, e iniziò a fare le fusa.
“Ma ciao, peste…” sorridendo “Hai fatto il bravo mentre ero via, Nero?”.
Nero era un gatto randagio, temuto e trattato in malo modo, che avevo salvato da due ragazzini al mio ritorno a Miral. Da quel momento, mi aveva adottato. Sembrava sapesse in anticipo quando tornavo e quando dovevo partire. Era completamente indipendente, e se avessi raccontato quanto era docile e mansueto nella mia casa, probabilmente nessuno mi avrebbe creduto.
“Guarda che non ho niente da mangiare..” gli dissi, aprendo la porta che dava sulla cantina.
Scesi, seguita dal micio, e depositai la ricca borsa che mi aveva fruttato la campagna in un luogo sicuro, ma ne approfittai anche per prendere una bottiglia dell’ottimo vino di Solpacus.
La solitudine era una pessima compagnia ma nonostante tutto, era bello tornare a casa.
Entrai nella sontuosa sala da bagno, dove avevo fatto costruire una vasca con i più moderni sistemi di riscaldamento, moderni per modo di dire visto quanto erano antichi.
Mi voltai divertita, osservando il muso di Nero affacciato alla porta, titubante.
“Hai paura che immerga nella vasca anche te, eh..” risi. Raramente entrava in quella stanza, di solito mi aspettava sulla soglia, immobile come un soldatino.
E così fece anche quella volta, mi chinai su di lui, posandogli una lieve carezza sulla testa, prima di chiudere la porta.
Non vedevo l’ora di liberarmi di quei vestiti incrostati di sangue e fango e di liberarmi dell’odore acre di morte che mi portavo dietro, per non parlare di come erano conciati i miei capelli, ora raccolti in una treccia che disfai disgustata.
Risi da sola mentre un ricordo lontano mi attraversò.
“Adesso non mi diresti che sono profumata, te l’assicuro..” alzando lo sguardo, per poi sorridere, tristemente.
Lasciai cadere uno dopo l’altro gli indumenti che indossavo, e poi mi avvicinai allo scaffale su cui tenevo le essenze più diverse da aggiungere all’acqua del bagno.
Esitai, per un momento, mentre una fitta mi attraversò.
“Vuoi davvero farti del male?” sussurrai, mentre la mia mano raggiungeva una boccetta.
“A quanto pare sì..” sospirai, mentre la stringevo tra le mani, per poi versarne il contenuto nell’acqua che ormai si era scaldata.
Mi immersi in quel bagno caldo tanto desiderato, con accanto la bottiglia di vino che si impoveriva sempre di più, mentre sentivo bruciare le ferite fresche, i lividi, i tagli.
Il profumo inebriante di quelle essenze era insopportabile.
Se chiudevo gli occhi lo vedevo lì, seduto sul letto della mia cabina, sorridente, a decantare le marmellate: era una tortura, ma estremamente dolce e irresistibile.
Quando l’ultimo nodo dei miei capelli si sciolse, l’acqua si stava ormai raffreddando, e io apparivo un’altra persona.
Mi avvolsi in un telo caldo e soffice, che tanto stonava con i rigidi indumenti che avevo indossati per tre lunghi mesi.
Uscii dalla stanza da bagno e sorrisi a Nero, che sorvegliava la porta immobile come una statua.
“Hai fatto buona guardia, bello?” risi appena.
Raggiunsi la mia stanza da letto, e il grande armadio. Indossare una camicia da notte di purissima seta nera, in stile orientale, e una vestaglia coordinata era un vero sollievo.
Silenzio.
Erano mesi che non sentivo tanto silenzio.
La bottiglia di vino era sempre più vuota, ma la mia mente ragionava ancora, non era abbastanza annebbiata per permettermi di dormire.
La finii più in fretta di quanto avrei voluto, di quanto avrebbe meritato quel prezioso vino, e mi lasciai cadere pesantemente sul grande letto.
Un attimo dopo, con passo leggero, Nero mi si avvicinò, accoccolandosi addosso a me.
Sorrisi appena, accarezzando distrattamente il nerissimo pelo del micio.
Fissavo insistentemente il soffitto, immersa nei ricordi, dolorosi, dolci, lontani.
“Buonanotte..” mormorai, mentre una lacrima ribelle mi attraversava il viso “Non dimenticare di visitare i miei sogni…” sorrisi, tristemente.
Mi svegliai che il sole era già alto, per quanto ne sapevo, potevo aver dormito un paio di giorni.
Nero era già sveglio e pimpante.
Così mi alzai e mi vestii in fretta, aprendo le imposte di quella casa rimasta chiusa tanto a lungo.
Era una classica costruzione miralese, articolata su un cortile interno, totalmente privato, sul quale si affacciava il locale adibito a palestra.
Ma non avevo alcuna intenzione di allenarmi, un paio di giorni di pausa me li ero meritati, sempre che riuscissi a tenere la mente occupata in qualche modo.
Le mie stanze private erano al piano di sopra, mentre a pianterreno c’era un’ampia sala da pranzo, un salotto di rappresentanza oltre, naturalmente, alla biblioteca.
Dovevo fare alcune commissioni quel giorno, le solite noiose incombenze che ricorrevano tra una campagna e l'altra, come trovare qualcosa da mangiare, e fare una visitina alla bottega dei Marzi, i migliori armaioli della città, per vedere come spendere buona parte della mia sontuosa paga.
Così mi preparai per andare incontro a quel nuovo giorno.
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