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Vecchio 27-01-2015, 01.20.59   #1
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Imagesc Il Re di Cuori ed il Fiore meraviglioso

A Te, mio Signore Dio,
che Hai forgiato il mio cuore e ne conosci ogni sogno e bisogno, dedico ed offro questa storia, affinchè in essa sia narrata la Tua Grazia e la Tua Gloria.



Prologo



“Ho con me questo antico testo...” disse Asevolio, aprendo la grande borsa di pelle che aveva con sé e tirando fuori un grosso libro dalla copertina di pelle consumata “... credo che troverete molto interessante la sua lettura...” mettendolo poi sul tavolo, davanti al priore Tommaso.
“Si direbbe discretamente antico...” mormorò il religioso, portando la schiena contro la spalliera della sedia sulla quale era seduto ed unendo i polpastrelli delle mani, per poi assumere un'aria indagatrice “... ma non eccessivamente... forse un secolo e mezzo fa, o poco più... questo direi il periodo al quale risale...”
“I miei complimenti...” piacevolmente stupito il medico “... questo libro risale esattamente a cento sessantanni fa.” Annuendo Asevolio.
“Non è poi un esercizio troppo difficoltoso...” fissandolo il priore “... basta osservare... c'è da dire comunque che noi religiosi siamo avvantaggiati, visto che per dovere, missione e diletto trattiamo con i libri quasi allo stesso modo che con le persone. Sebbene classificare un testo sia infinitamente più semplice.”
Asevolio lo ascoltava animato da una vivo interesse.
“Datarlo, come dicevo, non è affatto difficile...” continuò il priore Tommaso “... la pelle è essiccata con il vapore e cucita in modo ortogonale, lungo le bisettrici di ripiegatura che corrono ad incrociarsi al centro della copertina frontale. E poi i caratteri impressi per il titolo, con quell'inchiostro nero e dorato... una tecnica tipica dei maestri Capuani, che circa due secoli fa vedevano la loro arte molto ambita da ricchi signori e mecenati. No, davvero lavoro di poco conto stimare l'età di questo testo.”
“Io non ci sarei riuscito.” Sorridendo il medico.
“Naturale, siete un medico.” Disse il religioso. “Voi dovete scriverli i libri, non studiarli.”
“I religiosi invece si?” Chiese Asevolio. “Anche quelli non Sacri?”
“Soprattutto, amico mio.” Annuì il priore. “Vedete, molti demonizzano i Padri Domenicani perchè usano, talvolta, bruciare grandi quantità di libri.”
“Io sono un uomo di scienza” fece Asevolio “e biasimo questo genere di cose. Se mi perdonate la franchezza.”
“Oh, io non devo certo perdonarvi, né intendo curarmi riguardo alla vostra franchezza.” Chiudendo per un istante gli occhi il religioso. “Come detto, voi siete un medico, dunque vi intendete di corpi, mentre io, essendo un religioso, mi occupo di anime. Quanto ai Padri Domenicani, immaginate soltanto che un libro di magia nera, tanto per fare un esempio, non sia diverso da un morbo, come la peste, il vaiolo o la lebbra e che dunque come tale vada debellato. Voi lascereste esposto in una piazza o in un'affollata stanza un cadavere infetto di un morbo mortale? Con il rischio di diffondere un'epidemia?”
“Naturalmente no.”
“Ecco, vedete?” Riaprendo gli occhi il religioso. “Non siete poi così diverso da un Domenicano. Con la differenza che voi difendete il corpo dei vostri simili, mentre lui fa la medesima cosa ma con le loro anime. Ma non divaghiamo. Perchè mi avete mostrato questo testo?”
“E' un elenco.” Spiegò Asevolio.
“Un elenco?”
“Si.”
“Di che genere?”
“Nato per raccogliere le notizie custodite nel Libro Ducale.”
“Il Libro Ducale... la lista dei duchi di Capomazda, dagli albori ad oggi.” Ripetendo quasi ad alta voce il religioso.
“Esattamente.”
“Ebbene?” Domandò il priore.
“Alla scuola cattedrale di San Felice, a Pomilia, abbiamo sottoposto la lista dei duchi ad uno studio che forse qualcuno riterrà... ambiguo?”
“Perchè mai?” Incuriosito il religioso.
“Perchè abbiamo studiato la morte di molti Arciduchi.” Rivelò il medico.
“Immagino vi sia uno scopo dietro ciò.”
“In verità” Asevolio al priore “questo studio ci è stato commissionato.”
“Da chi?”
“Da Sua Grazia il vescovo.”
Il priore Tommaso restò in silenzio.
“Ed abbiamo scoperto qualcosa di...” continuò Asevolio “... di ambiguo appunto.”
“Ossia?”
“Che molti duchi sono morti per cause ritenute naturali” disse Asevolio “ma mai del tutto spiegate.”
“Anche la scienza medica ha dei limiti.”
“Certo.”
“Dunque?”
“Ma quelle morti non possono essere definite, da un punto di vista medico, come naturali.”
“La Natura ha molti segreti.”
“E questo elenco sembra custodirne diversi.” Osservò Asevolio. “Ma in tutta onestà non li definirei naturali.”
“Perchè?”
“Perchè uno spavento non è considerato morte naturale.” Rispose il medico. “Uno spavento induce ad una possibile morte. Ma per compiere ciò deve essere straordinariamente intenso. E comunque, una dinamica che porta ad un grosso spavento non può esternarsi nella medesima espressione, anche perchè l'effetto di uno spavento può variare da individuo ad individuo, combinandosi poi con una varietà di fattori praticamente infinita.”
“Cosa intendete?”
“Forse dovrei leggervi questo...” aprendo il libro il medico “... una nota aggiunta al margine di una delle pagine del Libro Ducale e qui riportata interamente... riguarda indirettamente la morte dell'Arciduca Taddeo l'Austero e quella di alcuni dei suoi predecessori e successori, essendo tutte praticamente uguali...”
“Vi ascolto.”
Asevolio cominciò a leggere...

“Sull'origine della maledizione dei Taddei sono state tramandate e scritte molte cose. Ma discendendo io stessa da tale nobile stirpe ed avendo udito più volte questa storia da mio padre, che a sua volta l'aveva appresa da suo padre, come quello dal suo e così via, ho deciso di trascriverla a margine di questa pagina, nella piena certezza che tutti i fatti narrati si svolsero come qui descritti.
L'Arciduca Ardeliano il Grande, dopo aver conquistato i territori di Sygma, annettendoli a quelli ducali di Capomazda, per sancire l'alleanza tra il suo casato e quello regnante in terra Sygmese decise di prendere come moglie la principessa Gaya e farne la sua Granduchessa.
Ella amava teneramente il duca ed il loro, nei primi mesi, fu un Amore ed un matrimonio felice.
La principessa conquistò subito il cuore del popolo Capomazdese e il ducato accolse la ragazza con gioia ed entusiasmo.
Ma Ardeliano, uomo di grandi slanci e passioni, non aveva dimenticato un'altra donna, incontrata in precedenza e che amò come amante durante le campagne Flegeesi finite poi con una sconfitta.
Quell'amore impossibile, lei infatti, principessa Flegeese era già ammogliata, restò albergato nel cuore del duca, togliendogli la capacità di godere invece non solo della sua grande vittoria su Sygma, ma anche del grande sentimento che Gaya aveva per lui.
E così, in una miserevole notte di Primavera, accortasi che il duca non ricambiava appieno il suo Amore, la principessa lasciò il palazzo reale di Sygma e fuggì da sola tra le colline.
Vedendo ciò, Ardeliano comprese la sua follia, condannò se stesso per non aver compreso quel dono e preso il suo miglior cavallo corse a cercare sua moglie.
Ma davanti a questa scena nessuno dei servitori scelse di accompagnarlo ed una vecchia, si narra, lo maledì, profetizzando una misteriosa e diabolica furia pronta a colpire il duca ed i suoi discendenti, reo di non aver goduto dei tesori, spirituali e terreni, di Sygma.
La notte allora si fece cupa, sinistra, ululante e gemente come se le forze oscure si fossero destate per abbattersi sulla Terra.
Arrivarono allora nel palazzo alcuni cavalieri Capomazdesi e divenuti sospettosi riuscirono infine a sapere dai servi l'accaduto.
Presero i palafreni ed uscirono per cercare Ardeliano e Gaya.
Percorsero la valle fino ad incontrare un contadino, chiedendogli del duca e di sua moglie.
Il villano appariva come sconvolto ed alla fine balbettò qualcosa di incredibile.
Egli infatti aveva effettivamente visto qualcuno correre nella valle.
Si trattava di una bellissima ragazza e dietro di lei di un nobile signore in sella ad un robusto cavallo.
Ma la cosa sconvolgente era che proprio alle spalle di quei due, che altri non erano che Gaya ed Ardeliano, una muta di spaventosi cani si era gettata al loro inseguimento ed a capeggiare quelle bestie vi era un altro cane, più feroce ed agghiacciante di tutti gli altri.
I cavalieri non credettero a quell'uomo e ripresero il loro galoppo, dopo averlo mandato al diavolo.
Ma poche miglia però dopo udirono qualcosa.
Dei terrificanti latrati ed infine intravidero una sagoma nella valle.
Era il cavallo di Ardeliano, con la bocca schiumante di bava e la sella vuota.
Vedendo ciò, spaventati, di nuovo ripresero a correre in cerca del loro duca e di sua moglie.
E quando la Luna spuntò dalle nubi illuminando la campagna di Sygma, i cavalieri si ritrovarono davanti ad una scena terribile.
Un corpo giaceva a terra, sfigurato a tal punto da un'espressione di vivo terrore da non essere subito riconoscibile da quei cavalieri.
Solo dai suoi abiti, infine, essi riconobbero che quel corpo senza vita era del loro signore, il duca Ardeliano.
Ma ciò che portò alcuni di loro alla follia fu l'ululato che udirono echeggiare tra le colline e la figura lontano di un'indefinita bestia che li fissava con malvagità nel sinistro pallore lunare.
Due di quei cavalieri morirono all'istante di crepacuore, tre persero buona parte del senno e gli altri quattro, ritornati a Capomazda, finirono i loro giorni in convento.
Gaya invece svanì nel nulla, come inghiottita da quella terribile notte.
Ecco, questa è la storia di quella furia che da allora si dice affligga così crudelmente la nostra stirpe e che viene chiamata la Gioia dei Taddei.
E non si può nascondere che molti dei nostri siano morti in circostanze tanto simili, quanto spaventose.
Ma trascriverla qui non è solo la volontà, da parte mia, di descrivere i fatti come monito per tutti voi, ma anche la speranza di infondere in voi la Fede verso la Misericordia Divina, affinchè perdoni le nostre colpe, cancelli la nostre miserie e ci liberi da questo affanno.
Portate alla mente le mie parole, le mie preghiere ed i miei consigli.
Pregate dunque, figli miei.
Pregate e tenetevi lontani dalla notte e dalla campagna, quando le forze del male maggiormente si scatenano.

Conselia de'Taddei, Granduchessa di Capomazda.”


Finito di leggere, Asevolio richiuse il libro, per poi alzare lo sguardo sul Priore Tommaso con aria interrogativa.
“Affascinante leggenda.” Con noncuranza il religioso.
“Molti giurano non sia una leggenda.” A lui Asevolio.
“Anche i miti pagani avevano, pare, diversi testimoni” replicò il religioso “ma oggi abbiamo poi scoperto che si discostavano dalle favole solo per i preziosismi stilistici con i quali erano narrati.”
“I duchi morti tutti in circostanze simili e misteriose sono forse personaggi di favole? I Vangeli, tra i miracoli di Nostro Signore, riportano anche di come Egli scacciasse i demoni. Le forze infernali, dunque, esistono per la Chiesa.”
“Naturalmente.” Senza scomporsi il Priore. “Ma la Chiesa accetta la presenza di tali fenomeni solo dopo aver escluso tutte le possibili cause naturali del caso. Prima di conoscere animali come gli elefanti, ad esempio, gli antichi, ritrovando i resti di tali creature, come il cranio e gli arti spropositati, attribuivano tali scheletri ad esseri fantastici, come ciclopi ed animali mostruosi. Molti fenomeni che oggi ci appaiono senza spiegazione, un giorno forse saranno chiariti dalla scienza senza dover scomodare il folclore e leggende varie.”
“Capisco...” pensieroso Asevolio “... fatto sta che oggi, però, Capomazda è senza un duca Taddeide ed i due pretendenti al seggio ducale non hanno sangue di Ardea nelle loro vene.”
“Ma perchè siete qui?” Alzandosi dalla sedia il Priore Tommaso. “In cosa credete io possa aiutarvi? Sono un uomo di Chiesa, non un politico e neanche un soldato.”
“Infatti” alzando il capo Asevolio “per sconfiggere le forze occulte non occorrono né politici, né soldati...”
“Volete dunque dichiarare guerra agli inferi?” Con leggero sarcasmo il Priore.
“No...” scuotendo il capo Asevolio “... solo proteggere Capomazda dai suoi nemici... di qualunque natura essi siano...”
Ed il Priore Tommaso restò a fissarlo senza rispondere nulla.



Il Re di Cuori ed il Fiore meraviglioso


Capitolo I: La gioia dei Taddei



“Che Dio maledica questa Gioia, che tanti valent'uomini ne sono rimasti uccisi! Invero, essa oggi commetterà un danno ancor maggiore!”


(Chretien de Troyes, Erec ed Enide)



Nell'antico ed ameno distretto detto delle Cinque Vie, nella nobile e felice Capomazda, non troppo distante dal corso del Lagno, la vasta e ridente campagna ricopriva gran parte di quelle terre, interrotta solo da una strada di poco più ampia di un sentiero che la tagliava in due.
Il Sole calava stancamente sull'erboso campo, racchiuso e descritto, come un quadro di pastorale candore, da decine di tozze e robuste querce che estendevano in ogni dove i loro lunghi e aggrovigliati rami sopra un lussureggiante e screziato tappeto d'erba e di fiori.
In alcuni tratti esse si mischiavano a salici, pini ed altre piante del sottobosco, generando una fitta rete capace di imprigionare gli ultimi bagliori del giorno morente, per poi liberare ombre lunghe ed imponenti che in quel purpureo e idilliaco scenario parevano generare spazi indefiniti ed infiniti, dove spesso lo sguardo dei sognatori, degli artisti e degli innamorati ama perdersi, immaginando un mondo che la fantasia trasforma in sentieri ed orizzonti di selvaggia e romantica avventura.
E proprio in un ampio spazio aperto che faceva da fondale a quella strada, una lenta carovana di mercanti percorreva quel bucolico e feudale ambiente.
La carovana, attraversando quel passo immerso nella natura incontaminata e primordiale di quel luogo, accorgendosi di una sagoma poco più avanti, tradì la sua presenza facendo suonare un campanaccio.
Stava infatti d'avanti ad essa un mulo che stancamente, con un incedere quasi incanutito, portava in groppa una figura dimessa e dall'aria malinconica.
Quella figura, per così dire quasi indifferente, se non addirittura apatica, a ciò che accadeva lungo la strada, sembrava come assorta da pensieri vaghi e lontani che conduceva al suo cospetto al suono basso della sua cetra.
I mercanti la raggiunsero e la fiancheggiarono.
“Salute a voi...” disse uno di quelli al bardo “... siamo stranieri giunti qui per i nostri affari. Dista molto Capomazda?”
“Salute a voi, perduti viandanti...” rispose il bardo “... procedendo in questa direzione, tra i sicomori ridenti, i melanconici salici e le fronde cremisi di querce addormentatesi al crepuscolo, giungerete in quella matta e variegata realtà che gli uomini chiamano Capomazda.”
“Quanto occorre per raggiungerla?” Domandò un altro di quei mercanti.
“La temporalità” mormorò il bardo “è un'invenzione degli uomini nel tentativo di dar un nome comprensibile agli accadimenti della vita. Ma proseguendo a passo svelto, così che comprendiate, vi giungerete prima che faccia buio.”
“Grazie, buon musico.” Annuendo il mercante. “Anche voi siete diretto là?”
“Io vago tra il crepuscolo ed il silenzio, dove gli uomini non giungano e non trovano sollievo.” Fece il bardo.
I mercanti si scambiarono varie occhiate fra loro.
“Oh, non tentate di comprendere la mia natura ed il mio spirito...” sorridendo per un attimo il bardo “... ma se volete vi dirò che sono il primo bardo di Elphin, che provengo dal paese delle stelle d'Estate, che ho conosciuto Merlino e Santa Maria Maddalena, mi sono bagnato nell'Arno e nel Giordano e che ho attraversato il Calvario insieme all'Ebreo Errante ed ai suoi maledetti trenta denari.”
I mercanti lo fissavano stupiti.
“La mia natura non è né carne e né pesce” continuò il bardo “ed il mio incedere è tradito solo dalla mia musica. E solo la mia musica riconoscerete e da essa me. Sono Taliesin il bardo.”
E detto ciò riprese a suonare il suo strumento, mentre la carovana dei mercanti passò oltre e riprese il suo cammino.
Alla fine quegli stranieri giunsero, come indicato loro dal bardo, alle porte della capitale Capomazdese.
E la città, di un rosato ed antico profilo, come persa, o meglio sospesa, in quello sfondo crepuscolare, accolse i mercanti con le ultime cerimonie del giorno ormai calante.
Soldati marciavano a passo ordinato, davanti a cavalieri bardati di tuniche variopinte ed elmi dal raro piumaggio, a loro volta con un seguito di valletti attenti alle redini dei destrieri scalpitanti che mordevano schiumando i freni dorati.
“Vi è una parata, buonuomo?” Uno dei mercanti ad un passante.
“E' il cambio della guardia, messere.” Rispose questi. “Lord Gvineth tiene molto che le armate sfilino superbamente, per mostrare il potere del nostro esercito.”
“Egli è il signore di queste terre?” Ancora il mercante.
“Si, insieme a lord Cimmiero.” Annuì il passante. “Entrambi reggono il ducato, dopo che l'ultimo duca, lord Guisgard de' Taddei è morto. Lord Gvineth si occupa del potere militare, mentre lord Cimmiero controlla l'amministrazione.”
“Lord Gvineth è quell'uomo alla testa dei soldati marcianti?” Un altro di quei mercanti al passante.
“No, quello è il capitano De Gur, suo braccio destro. Vive in un castello poco fuori la città, insieme a sua moglie.”
“Dove possiamo trovare un alloggio?” Domandò il mercante.
“Vi sono molte locande in città.” Fece il passante. “Sicuramente troverete un alloggio accogliente.”
Poco dopo la sera prese il posto del crepuscolo ed enigmatiche luci illuminarono Capomazda, facendola cadere in un innaturale sonno.




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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO

Ultima modifica di Guisgard : 27-01-2015 alle ore 02.15.28.
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