Discussione: L'inizio della fine
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Vecchio 12-08-2009, 17.21.38   #6
Mordred Inlè
Cittadino di Camelot
 
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
Vi ringrazio immensamente, Moruadh :*

03. Mordred- parte uno perchè era troppo lunga

Mordred aveva quattordici anni quando sua madre morì.
La donna si chiamava Annette e non era mai stata sposata. Aveva passato tutta la sua vita a servire Dorottya Erzsebet, nobile e ricca dama ungherese. Nonostante la provenienza di Dorottya, le due donne trascorsero la maggior parte della loro vita in Britannia e non in Ungheria, perché la nobile donna, con il marito appena sepolto ed un bimbo di nome Sagramore tra le braccia, aveva accettato la proposta di matrimonio di Brandegoris di Estangore, un re della Britannia che necessitava vivamente delle ricchezze della donna.
Dorottya sapeva di non andare in sposa per amore ma pagando profumatamente il futuro marito. Dorottya non credeva nella speranza o nei miracoli. Non vi aveva mai creduto fino a quel giorno in cui, durante una passeggiata con Annette e Sagramore, che aveva appena cinque anni, trovò un bambino.
Il bambino era gelido, infreddolito e quasi annegato, sospeso nel fiume. Annette lo prese e le due lo portarono subito a palazzo. Dorottya non aveva mai avuto speranza ma ne aveva bisogno. Aveva bisogno di credere che i miracoli esistessero e per questo fece l'impossibile perché il bambino sopravvivesse.
Passarono settimane prima che i medici, e le donne, potessero tirare un sospiro di sollievo per la vita salva del bimbo.
Dorottya pregò la sua dama di allevarlo come se fosse suo figlio ed Annette obbedì per amore della sua padrona.
Decisero di chiamare il bambino Mordred, salvato dall'acqua.
Ignare di chi fosse veramente Mordred, Annette e Dorottya lo crebbero donandogli l'istruzione di cui privilegiava Sagramore ed i doveri a cui erano costretti i servi. Lo stesso Mordred crebbe confuso sul quale fosse il suo vero ruolo in quel palazzo ma non si fermò mai troppo per rifletterci perché c'era Sagramore, con cui giocare, c'era il maestro Eniko a cui sottostare, c'erano cose da fare e da scoprire.
Mordred aveva quattordici anni quando sua madre morì ma già da tempo aveva capito che Annette non era la donna che l'aveva generato.
Non lo aveva capito dal loro così diverso aspetto fisico ma dal modo in cui Annette lo guardava e lo trattava, come se fosse un delizioso cagnolino che le era stato affidato.
Così, quando la donna non fu più, Mordred si trovò sempre più spesso a domandarsi chi fossero i suoi veri genitori. Si guardava ad uno specchio e si chiedeva se sua madre avesse i suoi stessi capelli scuri ed ispidi, o se suo padre avesse occhi neri come braci, gemelli ai suoi.
Non vi era più Sagramore a distrarlo perché pochi anni prima il giovane aveva lasciato il castello per diventare cavaliere alla corte del famigerato re Artù.
Non vi erano faccende da sbrigare perché, con la morte di Annette, sembrava che tutti si fossero dimenticati di lui o che tutti aspettassero che lui se ne andasse, quasi come era venuto. Gli altri bambini lo evitavano e lo credevano pazzo perché Mordred, fin da piccolo, sembrava essere incapace di vedere il mondo ed i colori come tutti gli altri.
A sedici anni, Mordred decise di parlare con Dorottya e per la prima volta le chiese ciò che da tempo aveva sperato di poter fare.
"Mia regina, per quanto compianga la mia perduta madre e per quanto io ami voi e vostro figlio, so che non è questa la mia vera natura. So che nelle mie vene non scorre alcun sangue vostro o della vostra gente."
Dorottya lo aveva sempre trattato con adorabile distacco. Lo aveva ammirato, quando lui era piccolo, come si ammira un dono del cielo ma era rimasta profondamente delusa quando, crescendo, il ragazzo era diventato come tutti gli altri ragazzi. Nessun miracolo. Nessuna speranza. Solo Mordred.
"Mordred, non ti nego di averti tenuto nascosta la tua origine per tutto questo tempo. Non eri davvero il figlio di Annette ma sei stato un dono del fiume. Eri quasi annegato, morto, quando ti abbiamo trovato."
Tra tutte le risposte che il giovane si aspettava, quella era sicuramente l'ultima.
"Ma mia madre non c'era?"
A lungo Mordred aveva immaginato una madre che, tra strazianti lacrime, lo abbandonava in affido tra le braccia di Annette perché il terribile nuovo marito non accettava il frutto di un precedente matrimonio. O quando si ricorda di essere più modesto, il ragazzo immaginava la madre come una povera contadina che, affiancata da un marito affranto, era costretta a lasciare il bimbo perché impossibilitata a crescerlo.
Ed invece nulla. Nulla di tutto questo. Solo un fiume.
Dorottya lo guardò con compassione, non sapendo quanto quel sentimento bruciasse striature dolorose nel cuore del ragazzo.
"Piccolo mio, temo che tua madre non abbia avuto la possibilità di crescerti e per evitarti una vita infelice abbia deciso di riportarti nel regno dei morti dal quale eri venuto."
Per un attimo, Mordred provò l'impulso irresistibile di lanciarsi su Dorottya e distruggere il suo aspetto impeccabile come lei aveva distrutto le fantasie su una madre scomparsa.
"Certo," riuscì solo a dire, sentendosi improvvisamente un estraneo davanti alle persone che aveva conosciuto per tutti quegli anni.
"Qualcos'altro?" domandò Dorottya, implacabile nel suo egocentrismo.
Mordred avrebbe voluto rispondere no. Avrebbe voluto inchinarsi ed andarsene da quella stanza troppo luminosa che quasi lo feriva per tornare ai suoi doveri. Avrebbe dovuto farlo.
Ed invece parlò prima di riflettere.
"Me ne vado. Vado a cercare mia madre."
Dorottya lo osservò divertita e Mordred poté quasi sentire i pensieri della donna. Tua madre sarà stata una puttana, sarà morta a quest'ora.
"E' una tua scelta, Mordred. Sappi che qui avrai sempre una casa."
Meno di un mese dopo, il ragazzo lasciò la sua casa e partì per dirigersi ad Avalon.
Scelse la famosa isola di Avalon perché, fin da bimbo, la gente parlava di quel luogo come di un'isola fatata in cui streghe, veggenti e sacerdotesse vivevano in pace, accettando tributi e pagamenti in cambio di magie o premonizioni.
Con i pochi risparmi che aveva, incappucciato e stanco, Mordred raggiunse Avalon.
La delusione lo sommerse e rischiò quasi di soffocarlo.
Avalon altro non era che un piccolo castello su un promontorio, circondato da un lago che di magico e puro non aveva nulla. Le vele dei pescatori si distendevano sull'acqua e Mordred poteva vedere facilmente le loro capanne anche da lontano.
"Sei deluso, ragazzo?"
Mordred sobbalzò sul cavallo, e si voltò per vedere un'anziana donna con il viso rovinato dal vento e dal sole ed i capelli umidi e ormai bianchi.
"Deluso? No. Mi sento tradito. Tutta la mia vita è una menzogna."
"Tutte le vite sono menzogne," sospirò l'anziana donna. "Vorresti darmi una mano? La mia rete si è incastrata e non riesco più a tirarla a riva."
Mordred scese da cavallo e seguì la donna fino alla riva del lago.
"Grazie, caro. Guarda, la rete è laggiù."
La rete era veramente impigliata. Era stesa sull'acqua ed un tronco quasi marcio vi galleggiava in mezzo, aggrovigliandola attorno a sé. Mordred dovette nuotare fino al tronco e trascinare tutto fino alla riva.
"Non spezzarmela, ti prego."
Mordred non rispose e si limitò a sbrigliare la rete il più delicatamente possibile.
"Hai sciolto i nodi della mia rete," lo ringraziò la donna, quando il giovane riuscì nell'intento anche se ne ricavò un paio di mani sanguinanti, "se vuoi posso sciogliere i nodi della tua mente."
"Non ho nodi nella mente."
"Ne hai più di quanto tu creda."
Mordred arricciò il naso, in una smorfia che aveva imparato ad imitare da Sagramore.
"Vivi in un mondo strano," sospirò la vecchina.
"Siete voi che vivete in un mondo diverso dal mio. Dimmi come fare per potervi raggiungere."
La donna ignorò la sua richiesta e si sedette vicino a lui.
"Siamo comunque nello stesso mondo, Mordred."
"Voi sapete il mio nome, ditemi il vostro."
"Ne ho avuti molti, sono stata una strega, sono stata una madre, una regina ed una guerriera. Ma ora sono solo vecchia e tutti mi chiamano Viviane."
Mordred la osservò, cauto più che speranzoso. "Chi è mia madre?"
"E' questo che vuoi sapere?"
"Chi sono io?"
"Mordred Pendragon."
Il giovane, per un attimo, non capì. Aveva sentito quel cognome molte volte ma sempre associato ad Artù, alla regalità. Suonava sbagliato accanto al suo nome. Suonava marcio.
"No, Pendragon è il re ed un re non avrebbe mai abbandonato il proprio figlio. Chi è mia madre?"
"Ma lui non ti ha abbandonato, caro," sorrise Viviane, prendendogli le mani. "Lui ha tentato di ucciderti."
"No, Viviane, no. Lui è il re, lui non avrebbe mai ucciso il proprio figlio. Io non sono suo figlio."
Viviane scosse la testa e sospirò stanca.
"Sei il figlio nato da un atto abominevole che Artù ha commesso con sua sorella Morgause. Sei il figlio di una notte di due giovani folli."
"Se mi avessero voluto morto- se avessero voluto uccidermi-"
"Pensi che non ci abbiano provato? Tua madre ha ingoiato qualsiasi veleno trovasse ma tu eri troppo forte."
Mordred levò le proprie mani da quelle della maga, spaventato. Non era quello che si aspettava. Era sicuramente un altro inganno.
"Ti stai chiedendo se mento?"
"Menti," sussurrò il ragazzo ed improvvisamente si chiese se il brillare di mille colori avrebbe mai potuto mitigare ciò che stava crescendo dentro di lui, come un orribile mostro di fango che tentava implacabile di mozzargli il respiro ed uccideva il suo futuro.
"Vorrei, caro, vorrei. Ma non mento. Quando sei nato si sono sbarazzati di te. Ma tu sei stato più forte, piccolo Mordred."
Mordred la osservò. La guardò, per davvero.
Viviane non sembrava così vecchia come gli era parsa qualche minuto prima. Le rughe del suo volto erano le rughe di una donna invecchiata precocemente e non davvero anziana. I capelli avevano ancora tracce di ramato, fra di loro e gli occhi erano così vivi da parer di fuoco.
"Perché mi dici questo?"
"Perché è giusto che tu sappia. Il nostro re è un assassino di innocenti e bambini. Di suo figlio. E quest'uomo governa il nostro regno. Suo padre ha distrutto il popolo di Avalon perché Merlino era geloso dei nostri segreti. Ed il figlio vive come un debole, lasciando i combattimenti ai propri cavalieri mentre lui amoreggia con la sorella e la moglie nel proprio castello."
"Artù è un re giusto."
"Non sono parole tue, sono parole che senti in giro. Sagramore morirà."
Quelle parole giunsero come una condanna nel cuore di Mordred. Sagramore era come un fratello per lui. Era il suo migliore amico ed il ragazzo da ammirare ed imitare.
"No, non è vero. Come fai a dirlo? Cosa- cosa c'entra?"
"Sagramore morirà perché Artù lo manderà in una di quelle battaglie assetate di potere, contro i Sassoni, a Londinium. Il prossimo inverno."
E Mordred non riuscì a mettere in dubbio le parole della donna perché lei sapeva. Lei era Viviane e sapeva, sembrava sapere o sapeva davvero.
"Che cosa vuoi da me?"
"Da te, niente? Eri tu che cercavi qualcosa da me ed ora l'hai avuto."
E dopo quel momento la donna non parlò più. Si limito a qualche sospiro sul tempo e ringraziamenti sulla sua rete. Insistette perché il ragazzo accettasse un meraviglioso cavallo bianco che lei aveva legato poco lontano e le vesti che si trovavano sull'animale.
"Sapevate che sarei passato?"
"Passa sempre molta gente."
Fu con queste parole che Viviane salutò Mordred, sapendo di averlo indirizzato a Camelot ed a Camlann.

Mordred, in effetti, aveva proprio intenzione di raggiungere Camelot. Il suo piano iniziale era quello di parlare con Sagramore e farlo tornare a casa, impedirgli di partire per la battaglia. Ma più si avvicinava alla famosa cittadina, più sentiva nascere dentro di sé il desiderio di incontrare Artù.
Mio padre.
Artù era suo padre. Ed al solo pensiero una rabbia cieca cresceva nelle sue vene e sembrava soffocarlo. Più volte fu costretto a fermarsi e vomitare, tremando, nel tentativo di non rigettare anche l'anima.
Ciò che voleva fare era umiliarlo. Sputargli addosso la sua colpa, l'incesto, e mostrarsi quanto più nobile e superiore potesse essere rispetto a quell'assassino di bambini. Voleva mostrargli che suo figlio, Mordred, era un uomo migliore di lui. Voleva che Artù fosse orgoglioso dell'uomo che quel bambino era diventato.
E nel momento in cui l'orgoglio per il figlio e l'amore per lui sarebbero nati negli occhi di Artù, Mordred lo avrebbe rifiutato e disprezzato. Lo avrebbe abbandonato a se stesso ed avrebbe lasciato la Britannia per sempre.
Mordred arrivò a Camelot con il cavallo e gli abiti che Viviane gli aveva donato. Il mantello gli permetteva di coprirsi dalla pioggia grigia e lo stemma della famiglia di Sagramore gli permise di entrare senza sospetti o domande.
Vedere Artù fu più semplice di ciò che si aspettava.
Chiese prima di Sagramore ma gli risposero che sarebbe tornato entro la settimana successiva. Gli offrirono un riparo, scambiandolo per un messaggero della madre di Sagramore e lui non fece nulla per far cambiare loro idea.
"Avete un messaggio per Sagramore?" gli chiesero.
E Mordred decise di approfittare.
"Ho un messaggio per il re."
Le guardie lo scortarono nella sala del trono e lo fecero sedere, rimanendo però subito dietro di lui.
Mordred sentiva il proprio cuore e solo quello. Lo sentiva battere e battere e la sua testa iniziava a girare. La luce era troppo forte ma se solo il suo cuore avesse rallentato un pochino le cose sarebbero andate meglio.
La porta che si aprì davanti a lui lo fece sobbalzare violentemente.
Ed entrò Artù.
Mio padre. Il mio assassino.
Artù non era molto alto. Aveva una carnagione olivastra gemella a quella del figlio. I capelli erano scuri e ricciuti. Gli occhi scuri e qualche piccola ruga attorno a loro. Era adornato di gioielli e drappi, un lungo mantello, più scuro del resto degli abiti, volava dietro di lui rendendolo assolutamente magnifico.
Per un momento, Mordred pensò che sarebbe dovuto fuggire perché Artù poteva essere un essere umano ma nei suoi occhi leggeva lo spirito di un dragone. E quel drago aveva tentato di versare il suo sangue già una volta.
"Buongiorno messaggero," lo salutò il re, sedendosi sul suo trono.
Mordred non riuscì a rispondere. Se ne stette immobile e chiuse gli occhi perché sentì di aver bisogno di fuggire, di nascondere quella vita. Mordred li riaprì, Artù si era alzato in piedi e si era avvicinato a lui.
"Siete un messaggero?" le parole del re uscirono minacciose e sospettose.
"No," rantolò Mordred, sentendo venire meno tutto ciò che si era programmato di sputare addosso a suo padre.
Artù fece per estrarre la spada ma Mordred cadde a terra, davanti a lui e si aggrappò alla sua veste, appoggiando il viso sul fianco del re.
"Non lo fate, vi prego, non di nuovo, vi prego, non vi ho fatto nulla," iniziò a sussurrare Mordred e presto si accorse di avere delle lacrime sul volto e di aver bagnato il vestito regale. Si maledisse per la propria debolezza. Si maledisse per il proprio bisogno.
Il re estrasse finalmente la spada e costrinse il ragazzo a staccarsi da lui, puntandogli la lama alla gola. Mordred sentì che le due guardie, poco distanti, avevano anch'esse estratto le loro armi.
"Chi sei?"
Sono tuo figlio.
"Mordred," riuscì a singhiozzare. Le lacrime sembravano non volersi fermare. Improvvisamente si chiese come apparisse agli altri il colore della tunica del padre e del suo mantello.
"Non conosco nessun Mordred."
"Figlio di Morgause."
Artù sembrò sul punto di ribattere ma appena la sua bocca si aprì per farlo, i suoi occhi si spalancarono ed il re osservò il figlio inorridito. Notò l'aspetto del ragazzo. Notò la somiglianza.
Notò il suo terrore, la sua solitudine, i suoi tremiti.
"Sei vivo," riuscì a sussurrare il re e con un gesto ordinò alle guardie di uscire. Rimise la spada nel fodero.
"Perdonatemi, perdonatemi," aveva iniziato a rantolare il ragazzo.
"Mordred," assaporò Artù, spaventato.
Quello era il bambino che aveva ordinato e chiesto di far uccidere. Quello era il suo unico figlio.
Con un movimento fluido ed elegante, Artù si sedette a fianco di Mordred e gli toccò il volto, sperimentando la pelle del figlio, asciugando le sue lacrime. Quando le sue mani arrivarono al collo, Mordred pensò che sarebbe morto se solo Artù avesse deciso di strangolarlo in quel momento.
Ma il re si limitò a trascinare il figlio nel suo abbraccio.
"Mordred. Significa salvato dalle acque. Mordred."
Ma mai una volta disse mio figlio.
Mordred non ci mise molto ad entrare nelle grazie del re. Artù tentava di favorirlo il più possibile, di dargli abiti e denaro, di concedergli tutto. Ed il ragazzo accettava con rabbia riconoscendo quelle concessioni come nate da un senso di colpa più che dall'amore per un figlio.
Erano due mesi ormai che Mordred si era stabilito a Camelot. Aveva una casa tutta sua, donatagli dal re, poco distante dal palazzo. La gente lo chiamava già 'il figlio bastardo di Artù' ma nessuno osava farlo davanti a lui o davanti al re. Solo Sagramore si rifiutava di accettare il soprannome dato a quello che aveva sempre considerato un fratello minore e solo lui lo trattò come aveva sempre fatto, con un'arroganza mista ad un affetto protettivo.
Ginevra ignorava la sua presenza, ritenendolo un rifiuto ma non offendendosi più di tanto, perché troppo occupata a passare le sue giornate con Morgana, giunta da poco a palazzo.
Mordred osservò con meraviglia l'arrivo della donna che tutti chiamavano Strega, ascoltando le dicerie che riusciva a racimolare, e beveva dall'immagine di Morgana così simile ad Artù, così simile a lui stesso. Morgana, doppiamente sua zia.
Ben presto, Mordred si accorse che la zia non aveva nulla della strega. Più che dedicarsi ad incantesimi e magie, preferiva affiancare Ginevra in lunghe cavalcate o passeggiate, o parlare con i cavalieri sulla guerra, sulle armi e sulle battaglie. Non ebbe comunque molto tempo per lei perché Artù non lo riconobbe mai ufficialmente come figlio e Morgana lo ignorò, seguendo l'esempio di Ginevra.
Nonostante tutto, Mordred si svegliava la notte, solo, freddo. Sognava, immaginava, il modo in cui suo padre aveva tentato di ucciderlo o il modo in cui sua madre, che non aveva ancora avuto il coraggio di incontrare, aveva provato ad annegarlo. Immaginava i loro volti indifferenti alle sofferenze di lui, solo un bimbo.
Non chiese mai nulla al re del suo concepimento, né mai lo chiamò padre eccetto una volta. Una volta sola si umiliò, supplicando un favore e tentando di estorcerlo con il dovere del padre verso il figlio.
"Non mandate Sagramore a combattere. Non mandate nessuno."
Artù guardò Mordred sorpreso. Il ragazzo non si era mai interessato ai problemi politici di Camelot fino ad ora. "Perché? Non posso lasciare che i sassoni devastino Londinium. Se dovesse accadere avanzerebbero ancora e saremmo in pericolo."
"Se mandate Sagramore, lui morirà." E' mio fratello. avrebbe voluto aggiungere. E' l'unico che fa veramente parte della mia famiglia.
"Sagramore è un ottimo cavaliere, se la caverà."
"No," insistette Mordred, "una dama ad Avalon mi ha predetto-"
Inaspettatamente, Artù si alzò dal trono, sbattendo un pugno contro lo scranno e facendo sobbalzare il figlio. "Non credo alle predizioni! Non credo alle profezie!"
"Sagramore morirà! urlò Mordred, riprendendosi dallo spavento.
"No. Non discutere con me, Mordred."
"Perché? Perché sei mio padre? Proprio perché sei mio padre me lo devi. Non togliermi Sagramore, è mio fratello."
Artù impallidì e non disse nulla. Si limitò a chiamare le sue guardie ed a ordinare che il ragazzo venisse portato via dal suo cospetto.
Mordred non capì che, per Artù, credere alla profezia su Sagramore avrebbe significato anche credere alla profezia su Mordred e doverlo uccidere per salvarsi.
Così, Sagramore partì per Londinium e poche settimane dopo la sua partenza, giunse la notizia della sua morte.
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❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends
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