Discussione: L'inizio della fine
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Vecchio 05-08-2009, 09.37.38   #1
Mordred Inlè
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L'inizio della fine

Una delle mie tante storie.
Avvertentenze: Se avete qualcosa contro relazioni tra persone dello stesso sesso non leggete, grazie.

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(Capitolo 1 di 6)
Morgana e Ginevra

Ginevra aveva solo quattordici anni quando suo padre aveva bussato alla porta della sua stanza, in inverno, le aveva baciato la guancia e le aveva annunciato con gioia: "Diventerai la sposa del Grande Re Artù."
La giovane fanciulla, dall'aspetto più delicato di un fiore ed i capelli più rossi delle rose, era arrossita perché persino parlare di matrimonio la metteva in imbarazzo. Si era sentita felice perché suo padre era felice. Si era sentita orgogliosa perché sua sorella era orgogliosa. Si era sentita superiore agli altri perché è così che l'aveva fatta sentire la madre, dopo aver sentito la buona notizia.
Ginevra aveva fantasticato per giorni sull'aspetto che avrebbe avuto il Grande Re, sulla sua pelle chiara, gli occhi blu e le sue braccia forti. Sul loro amore che non era mai veramente nato se non nelle fantasie di una bambina.
Due mesi dopo l'annuncio, Artù era venuto a prenderla, circondato di cavalieri e dame.
Il padre di Ginevra si era inchinato davanti a lui e, ancora prima di presentargli la figlia, gli aveva presentato la ricca dote in armi, cavalli, oro e gioielli. Ed una tavola rotonda.
Poi era giunta Ginevra, tremante, davanti all'uomo più potente del regno. I capelli rossi erano raccolti e splendenti, lei era sottile come un giunco e tutti i cavalieri la osservarono ammirati ed invidiosi.
Artù le aveva baciato la mano e la fronte e la bambina si era ritrovata davanti alla realtà.
Artù non era un sogno.
Artù era più basso della maggior parte degli uomini, tarchiato quasi, aveva gli occhi scuri, la pelle olivastra del popolo antico e le labbra troppo carnose per un uomo. Con il tempo Ginevra avrebbe imparato ad amare il profilo del marito ma tutto ciò che vedeva in quel momento fu l'orrore della delusione.
Non ebbe modo di riflettervi troppo perché i due si sposarono e la bambina, ormai donna e moglie, venne portata a Camelot.
Artù la trattò con il massimo riguardo e rispetto. Le comprava sete e gioielli, faceva l'amore con lei con gentilezza e delicatezza.
"Vi amo, mia regina."
Ginevra si accorse di essere diventata una donna quando vide negli occhi del marito il desiderio e la devozione e capì di avere il controllo su di lui. Lei aveva il controllo. Lei, che aveva sempre pensato a sé stessa come un oggettino carino da mettere sopra un mobile, aveva il potere dell'amore sul Grande Re. E con il potere anche la coscienza di averlo perché lei non provava amore per Artù.
All'inizio si era costretta a far sussultare di gioia il proprio cuore alla vista dell'uomo che avrebbe dovuto amare. Si era costretta ad insinuare nella propria mente il desiderio di lui.
Ma non si può andare contro il proprio cuore e tutto ciò che Ginevra riusciva a provare per il potente marito era una sorta di affetto fraterno e di orgoglioso senso di dominio,
Ginevra non sapeva nulla dell'amore vero, dell'amore che fa stare male e tremare, che fa stare svegli notti intere, sdraiati sul pavimento per calmare il caldo di una febbre di odio e passione. La regina non ne seppe nulla fino a quel momento, durante la primavera del suo diciottesimo compleanno, in cui due delle sorellastre di Artù giunsero a corte.
La madre di Artù, Igraine, aveva avuto tre figlie dal precedente matrimonio: Morgause, Morgana ed Elaine. La prima era la sposa del re Lot, uno dei più infidi alleati di Artù, l'ultima era monaca in un convento e la seconda era la Strega.
I cavalieri e le dame raccontavano di come Morgana fosse stata allieva del mago Merlino e di come lo avesse ingannato molte volte per rubare i suoi segreti. I popolani bisbigliavano e spettegolavano sulle iniziali pretese di Morgana sul trono, come volevano le antiche tradizioni celtiche ai tempi delle leggende della grande regina Boadicea. Artù l'aveva tenuta lontana dalla corte costringendola a sposare Uriens ma, quando il vecchio re era morto, Morgana aveva deciso che si era assentata da Camelot troppo a lungo e che era il momento di passare a salutare il suo piccolo fratellastro.
Ancora una volta Ginevra aveva lasciato che la propria fantasia facesse il suo corso e si era immaginata la Maga Morgana come una donna severa, austera e terribile, con lunghe dita d'artiglio e denti marciti dall'odio.
Ancora una volta la regina si era sbagliata.
Morgana era bassa, poco più bassa della stessa Ginevra, ed aveva lo stesso colorito quasi olivastro del fratello. Le labbra carnose che stonavano tanto sul volto d'Artù, erano perfette sul viso tondo e femminile di Morgana. Niente dita arcuate e niente aspetto austero, quello che Ginevra trovò fu una donna con una risata cristallina e gli occhi d'ebano più caldi di braci ardenti.
Durante il banchetto serale ed i festeggiamenti, Ginevra ebbe modo di sedere accanto alla sorellastra di suo marito e poté notare da vicino il naso leggermente storto della donna ed i capelli lucenti raccolti in intricate treccioline.
"Mia regina," la salutò Morgana. E sorrise. Ogni sorriso di Morgana sembrava una beffa verso il mondo, ogni suo sorriso pareva urlare So cosa vuoi ma non lo avrai mai. Io invece l'ho già. Ho tutto.
"Sorella," rispose Ginevra, baciandole una guancia. Morgana sorrise ancora e accennò una risata.
Sento il suo respiro sul mio collo, pensò inorridita e turbata la regina, ritraendosi immediatamente.
"I racconti sulla vostra bellezza non vi fanno onore," la lodò Morgana,
"Ed i racconti su di voi mentono," aggiunse Ginevra. "Non siete poi così bassa."
L'altra donna la guardò sorpresa ed inaspettatamente iniziò a ridere, di una risata vera, scevra di tutta la maliziosità dei suoi gesti precedenti. Quando riuscì a riprendere fiato, Morgana prese una delle mani di Ginevra e l'appoggiò sulla propria guancia, con una naturalezza ed una freschezza degni di una bambina.
"Nessuno parla mai della vostra ironia, nei racconti," replicò.
"Perché non la mostro a nessuno."
"Ah," sospirò Morgana, con aria scherzosa, "e così mi considerate nessuno?"
"State iniziando a diventare qualcuno, ve lo assicuro," sorrise Ginevra e nello stesso momento in cui quelle parole uscirono dalla sua bocca si accorse di essere immersa in un gioco. In un gioco di sguardi e sussurri che spesso aveva origliato in discussioni da una delle sue dame ed uno dei cavalieri del marito. In un gioco di seduzione. Non c'erano dubbi.
"Ne sarei onorata, ve lo assicuro," la nota di maliziosa soddisfazione era tornata a far capolino nella voce della sorellastra di Artù.
"Anch'io."

E così era stato. Artù, così innamorato della moglie da non sospettare nulla, era rimasto piacevolmente sorpreso dal modo gentile ed amichevole con cui Morgana la trattava ed aveva chiesto alla sorellastra di rimanere come dama della regina.
Nessuna dama era così amata, riverita e riempita di attenzioni come Morgana. Ginevra aveva occhi solo per lei.
Accoglieva irritata le altre dame di corte ed aveva cacciato Lynette per un commento malevolo fatto sulla donna che tanto adorava.
Morgana era l'unica che sapeva farla ridere e che le parlava da amica e non da adorante suddita. Era anche la sola che sapeva far crescere dentro di lei la più profonda delle paure e dei terrori e la più pura delle gioie.
Ginevra tentò, provò, ad accantonare quei sentimenti e si dedicò con più passione che mai a suo marito Artù, ai tentativi di avere un figlio, allo studio ed al ricamo.
Ma dopo ogni notte passata con Artù, Ginevra sentiva il vuoto della solitudine e la nausea di un errore. Ogni ricamo sembrava non portare da nessuna parte ed ogni studio diveniva noioso se non vi era Morgana a farle compagnia.
"Morgana, vi devo chiedere-"
La sua dama di compagnia alzò lo sguardo dal tomo che stava consultando. Un qualche libro sulle spade e le armi leggendarie del passato.
"Vi devo chiedere," provò ancora Ginevra, "di- voi vi volete sposare?"
"Un marito come Uriens ti basta e avanza per tutta la vita," sorrise la Strega.
"Sì, ma- non volete andare via da Camelot?"
"Non ne provo alcun desiderio. Tutto ciò che ho e voglio avere è qui."
"Io-"
Morgana chiuse il libro e lo appoggiò sull'enorme tavolo di mogano della biblioteca. "Chiedete, regina, non vi negherei nulla. Nemmeno me stessa."
Ginevra finalmente si costrinse a guardare l'altra donna negli occhi, sentendosi le gote in fiamme e le pupille dilatate dall'agitazione. "Temo di amarvi troppo."
"Non si ama mai troppo."
"Temi di- volere voi. Non andatevene."
"Non me ne andrò," le promise Morgana prima di raggiungere la propria regina ed inginocchiarsi davanti a lei.
"E' questo che temete?" le chiese e le prese le mani, le baciò. Poi si alzò e baciò il naso di Ginevra, la sua fronte, le sue ciglia e le sue labbra. Più delicatamente di quanto Artù avesse mai fatto.
"Morgana."
"Non me ne andrò," ripeté la Strega, in una promessa che sarebbe stata costretta ad infrangere.

Come sempre, prima di una tempesta, vi è un breve momento in cui il sole sembra più splendente del solito ed in cui il cielo è così chiaro e leggero che ci si sente angeli.
Ginevra si sentiva un angelo tutte le notti, tra le braccia di Morgana. Ginevra si sentiva leggera e splendente mentre osservava i propri capelli rossi mescolarsi alla chioma nera dell'altra e sentiva il corpo soffice dell'amata contro il suo.
Per mesi le due avevano ignorato il mondo che le circondava e quando Artù partì in guerra in aiuto di re Ban, Ginevra e Morgana si isolarono nel loro piccolo nido d'amore, incuranti di ciò che la gente nemmeno sospettava.
Ginevra provò il primo amore. Provò la passione ed il desiderio e Morgana, per la prima volta nella sua vita, trovò qualcuno a cui dare senza sentire la necessità di chiedere qualcosa in cambio.
Ma purtroppo, come ogni idillio che si rispetti, anche questo finì.
Gli amanti fanno in fretta a scoprirsi a vicenda ed a scoprire che, spesso, l'amore che li tiene uniti non è abbastanza per affrontare tutto il resto.
Ginevra amava come se potesse morire da un momento all'altro, amava con tutta se stessa, continuando a dare e dare e chiedendo in cambio altrettanto amore ed altrettanta dedizione. Egoista nella sua incomprensione verso altri tipi di amore.
Morgana però non poteva darle nulla perché lei amava Ginevra ma amava anche molte cose. Amava il potere, amava l'idea di tornare in un mondo in cui poter essere alla pari di un uomo, amava il trono.
Fu solo un anno dopo che tutto cominciò a crollare.
Morgana incontrò Accolon e tentò di uccidere Artù. Si servì del giovane cavaliere, rendendolo suo amante perché quello era l'unico modo che conosceva per usare gli uomini.
Rubò Excalibur perché nulla le bastava più. Lei aveva bisogno. Lei voleva. Vedeva il trono che sarebbe dovuto essere suo, vedeva i sudditi e vedeva se stessa come una regina più giusta ed intelligente di quanto Artù non lo sarebbe mai stato.
Ma non vide quanto fosse totale l'amore che Ginevra provava per lei e non vide il fallimento di Accolon e la morte del giovane.

Quando Accolon morì, Ginevra venne a conoscenza della relazione tra la sorellastra di Artù ed il giovane. Artù, furioso per l'attentato, non notò quanto la cosa sembrò aver colpito Ginevra o, se lo vide, lo interpretò come un segno della preoccupazione della regina nei confronti del marito. Senza pensarci troppo, il re decise di cacciare Morgana dalla corte ed i cavalieri attorno a lui gli ricordarono di quante altre volte la Strega si era mostrata ostile nei suoi confronti.
Artù bandì la sorellastra ma, nella sua magnanimità, le lasciò prima raccogliere i suoi averi e le donò una piccola scorta per il viaggio verso il palazzo delle Orcadi, castello in cui aveva deciso di rinchiuderla.
Fu nella sua stanza, mentre raccoglieva le proprie vesti ed i propri gioielli, che Morgana si accorse di aver ucciso Ginevra.
Gli occhi della donna non sorridevano più. La ragazza che era stata si era trasformata in una Ginevra arrabbiata, pallida, tremante e spezzata.
Avevano litigato altre volte ma mai Morgana aveva visto un viso così tradito e iroso.
"Ginevra, cara, che cosa accade?"
"Tu vuoi tutto. Vuoi me, vuoi Artù, vuoi il regno, vuoi Accolon!" urlò la regina e sentì l'improvviso impulso di rompere qualcosa. Desiderò essere un uomo, in quel momento, per poter avere in mano una spada ed uccidere la sua amante.
La Strega la osservò confusa e sconvolta perché nemmeno lei capiva il modo totalizzante ed assoluto in cui Ginevra l'aveva amata.
"Ti amo, Ginevra, perdonami," le sussurrò Morgana, inginocchiandosi davanti alla propria regina.
"Accolon? Perché? Quanti altri?"
"Ginevra! Accolon non è nulla. Mi sono servita di lui per avere ciò che mi spettava! Ciò che il destino doveva dare a me," sibilò la Strega, incapace di capire come facesse Ginevra a non comprenderla.
"Il destino di ha dato me! Non ti bastavo? Non ti bastavo?"
"Ginevra, amo te, ti amo, ma vedere Artù sul trono quando potrei esserci io- tu non capisci. Mi distrugge. Mia madre avrebbe voluto me a regnare e non quel debole."
"Vattene, non voglio vederti mai più. Mi hai tradita."
"Ginevra-"
"Vattene."
"Ti amo."
Ginevra inclinò leggermente la testa ed i suoi capelli rossi le caddero da un lato. C'era un caminetto dietro di lei e per un terribile momento sembrò che la chioma della regina stesse bruciando.
"Mi ami?"
"Sì, più di qualsiasi altra cosa, ho fatto un errore, sono stata avida."
"Hai fatto un errore," concordò Ginevra ed i suoi occhi sembrarono crudeli. Di una crudeltà tradita e vendicativa che Morgana aveva visto molte volte nei propri occhi, guardandosi allo specchio.
"Ti distruggerò come tu hai distrutto me, ingannandomi. Ed ora vattene, non voglio più vederti."
La sorellastra del re provò ancora una volta ad abbracciare la giovane regina, a farle capire, a baciarla almeno per l'ultima volta, per dirle addio.
Ma Ginevra urlò. Urlò come non aveva mai fatto, a lungo e dolorosamente. Un urlo che gelò il sangue alle ancelle e che svegliò i cavalieri nei loro letti.
Morgana fuggì quella notte dal castello, sentendo di aver perso tutto. Sapendo di non aver più ragione di sorridere perché lei stessa aveva ucciso l'unica cosa che la rendesse ancora umana.
Non seppe cosa intendesse dire Ginevra durante il loro ultimo incontro fino a quando Morgause non le parlò della relazione segreta tra Lancillotto e la regina.
E quella volta fu Morgana ad urlare, mentre il suo cuore andava in mille pezzi.
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[English Arthurian fandom]

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