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Vecchio 24-08-2009, 20.18.45   #2
Mordred Inlè
Cittadino di Camelot
 
L'avatar di Mordred Inlè
Registrazione: 02-08-2009
Residenza: A casa mia, spesso
Messaggi: 904
Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
Trovò subito il padiglione di Mordred, con i suoi colori viola, gialli e bianchi e la figura del falco a due teste.
Entrò senza chiedere permesso e senza indugiare. Si sentiva come una moglie gelosa pronta a sorprendere il marito in pieno peccato e, fondamentalmente, si sentiva uno stupido.
Un sospiro di sollievo fuggì dalle sue labbra quando vide la nota figura di Mordred sdraiata nel proprio giaciglio. Era solo, immobile, con un braccio a coprire gli occhi forse chiusi.
“Oh, Weetha, vi stavo aspettando, toglietevi le gonne e raggiungetemi qui,” esclamò Mordred con tono esageratamente mieloso.
“Bastardo.”
“Sapevo che eri tu,” rise l’altro. “Ma se vuoi toglierti comunque le gonne e raggiungermi non mi dispiacerebbe.”
“Le gonne?” chiese incredulo Gahalantine, lasciandosi sfuggire una breve risata ma avvicinandosi comunque al compagno di viaggi.
“Stai bene?”
“Sì, certo.”
Sir Gahalantine si sedette accanto a lui, togliendosi gli stivali, i guanti e le parti rimanenti dell’armatura di cui ancora non aveva avuto l’occasione di disfarsi, alla festa.
Mordred era disteso, nella stessa posizione e sir Gahalantine si chiese se anche quello strano cavaliere sempre sarcastico e mai serio fosse in grado di sentirsi nervoso.
“Respiri ancora?” domandò, appoggiando una mano sul suo petto ed il proprio viso a quello dell’altro.
“Ti sto portando all’inferno con me,” replicò inaspettatamente Mordred.
“No. Sto volontariamente venendo all’inferno con te. Perché hai bisogno di me.”
Con trionfo notò di essere riuscito a strappare uno di quei labili sorrisi sinceri che tanto raramente sapeva sfoderare.
Il sorriso non rimase molto perché Gahalantine si chinò a baciarlo e poi si distese accanto a lui, appoggiandosi con la testa al suo petto.
Sentiva battere il cuore. Oh, che sensazione meravigliosa.
Questo è il suo cuore e sta battendo e battendo e lui è vivo e sento il suo respiro nell’aria. E’ tiepido ed il suo cuore continua a battere ed è rumoroso quanto una tempesta.
Si accorse di essersi quasi addormentato quando la voce dell’altro lo riscosse e lo portò alla realtà.
“Voglio vedere se Dio è sicuro di volermi vivo.”
“Cosa?” ma Gahalantine non si alzò per guardare Mordred negli occhi. Non era la mossa giusta.
“Il modo in cui combatto. Do a Dio la possibilità di sbarazzarsi di me e di rammentargli che probabilmente ha fatto un errore. Non sono forse un bravo cristiano?”
Gahalantine resis***** alla tentazione di affondare i denti nella mano che Mordred aveva appoggiato alla sua guancia e di farlo tornare in sé picchiandolo a sangue.
Che razza di stupidaggini erano quelle?
“Non sei un errore, non iniziare anche tu come sir Bors, per favore. Oh, ho giaciuto con una donna, oh sono impuro, oh Dio non mi ama,” continuò in falsetto ma Mordred non rise e Gahalantine si chiese terrorizzato se il cavaliere non iniziasse a provare rimorso per quello che c’era tra loro due. E’ peccato, è peccato soprattutto questo.
“Lot non è mio padre,” rispose invece l’altro uomo. “Sono- ..”
Gahalantine aspettò qualche secondo, e qualche minuto, ma non vi fu alcun tentativo di continuare da parte di Mordred.
“Chi è tuo padre?” domandò quindi, velocemente, prima che il cavaliere decidesse di aver rivelato abbastanza e si chiudesse nella sua acida corazza di falso sarcasmo.
“Artù,” sussurrò il figlio di Morgause, con fare così incredulo e ironico che Gahalantine fu costretto ad alzarsi e guardarlo negli occhi per capire che non stava scherzando.
“Il re? Sei figlio… del re? Sei il principe di Camelot?”
Oddio, si era portato a letto il suo futuro sovrano!
“Nessun principe. Sono un bastardo.”
Sir Gahalantine voleva replicare che, tecnicamente, anche Artù era un bastardo e che se il re non avesse avuto altri figli il trono sarebbe sicuramente spettato a lui.
“E perché questo dovrebbe essere un errore?” chiese, poi, confuso.
Mordred lo osservò per qualche secondo e non riuscì a leggere nulla nei suoi occhi, solo uno spicchio di qualcosa di terribile, di oscuro e di folle. Distolse lo sguardo, spaventato, e si accorse che il compagno non aveva parlato della madre ma solo del padre.
“Morgause è tua madre.”
Mordred annuì.
“Ed è la sorella di Artù.”
L’altro annuì ancora e sorrise acidamente: “Una vera fortuna che io non sia un mostro visto che i figli di incesto sono degli abomini. O forse lo sono ma non mi accorgo di esserlo.”
“Sei uno stupido,” sibilò sir Gahalantine, appoggiandosi sopra di lui e prendendo il suo volto con la mano destra.
Aveva sempre avuto una mandibola sottile ed il suo viso gli era sempre stato in una mano.
“Non dire più niente.”
Non voglio sapere, non voglio sapere nulla. L’incesto è un abominio, Dio…
Ma chi era lui per condannare? Dopo tutto ciò che aveva fatto? La vita di un cavaliere non è mai delle più sante.
La sua mano perse forza e finì per accarezzare la pelle che prima aveva stretto.
“Non eri tu che volevi sapere?” ma Mordred non aspettò risposta ed i suoi occhi si illuminarono, “potresti uccidermi ora. Sarebbe una morte dolce e probabilmente dopo Artù ti farebbe cavaliere della Tavola Rotonda.”
L’interpellato lo osservò con disprezzo.
“Non chiedermi una cosa simile. Ucciditi, se vuoi farlo.”
Oddio no, urlò subito qualcosa nella sua mente, mentre il pensiero di Mordred senza vita gli scavava dolorosamente nel petto.
“E aggiungere un altro peccato alla mia lista?“
“Sei troppo cristiano per-“
“Per essere un figlio d’incesto?” lo interruppe l’altro.
“No, per essere un cavaliere. Non sopporto questa nuova religione, a volte. Così contraddittoria ed ossessiva.”
“Anche tu sei cristiano,” gli rammentò Mordred.
“Non è stata una mia iniziativa, sai.”
“Credi nelle profezie?” chiese il figlio del re, a bruciapelo.
Gahalantine inarcò un sopracciglio, sospettoso ma decise comunque di rispondere sinceramente. Glielo doveva.
“Mia madre era figlia di un druido, dell’antica religione. Lei era una profetessa, prima di battezzarsi. E ti posso assicurare che nemmeno la metà delle profezie che faceva si realizzavano. La gente però ricordava solo l’altra metà, quella che accadeva, e tutti la acclamavano come una grande strega.”
“E’ un no? Cosa significa?”
“Significa…” che non esistono divinità. Non esiste nulla, siamo soli e ci sarà solo buio ma almeno il destino è nostro, “… che non credo in alcuna profezia. Le profezie confondono i cuori degli uomini e le persone ne sono così ossessionate che tentano di farle accadere a qualsiasi prezzo.”
“Sì, forse… sì,” sorrise Mordred, esalando un lungo respiro e lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Gahalantine lo fissò negli occhi scuri. La scintilla di follia vi danzava ancora ma con meno insistenza e vi era del sollievo e tanta stanchezza.
“Perché me lo hai chiesto?”
“Niente di importante, niente che dovrà accadere. Dormiamo, sono stanco.”


Gahalantine si voltò per osservarlo meglio. Solo ora notava lo stesso profilo spigoloso di Artù, lo stesso naso un po’ storto e gli angoli della bocca leggermente all’insù.
Con timore si rese nuovamente conto di avere tra le braccia il principe di Camelot e si chiese quali grandi cose quell’insopportabile e sarcastico cavaliere avrebbe fatto in futuro.

Sir Gahalantine, sir Mordred e sir Mador de la Porte viaggiarono insieme ancora per un anno fino a che sir Gahalantine non fu fatto cavaliere della Tavola Rotonda e dovette tornare in Bretagna, a combattere una guerra per suo zio. Sir Mordred fu invece chiamato a corte, dal suo re e padre e successivamente lasciò di nuovo Camelot, in cerca di avventure, con i suoi fratellastri. Sir Mador venne fatto cavaliere della Tavola Rotonda solo pochi mesi dopo.
Sir Gahalantine fece ritorno a Camelot solo dopo molti anni, per aiutare il cugino Lancillotto nella guerra contro Artù in cambio del titolo di Duca di Auvergne.
Solo dopo che tutto fu accaduto. Dopo che l’inferno aveva aperto ogni sua porta.
Non rivide più sir Mordred, se non sul campo di battaglia, a Camlann, a terra, trafitto dalla lancia di Artù, suo padre.
E pianse.
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