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Vecchio 05-05-2017, 04.11.52   #1
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Imagesc Il mistero delle Cinque Vie

Tutti i luoghi, le strade e le dimore descritte in questo Gdr sono realmente esistenti e situate nell'antica contrada Afragolignonese delle Cinque Vie, così come esistente è la nobile stirpe degli Altavilla.
Anche i suoi segreti ed i suoi misteri sono realtà.

PROLOGO

La brughiera appariva muta e spettrale come un sepolcro, sovrastata da un manto di infinite nuvole di un bianco cupo, simile ad un immenso sudario pronto dal Cielo a coprire tutta la Terra.
In tutto il feudo pullulavano sensazioni contrastanti e diversissime, quali l'impazienza, la paura, la curiosità, l'eccitazione, l'angoscia e la peggiore di tutte, ossia l'indifferenza.
I pedoni, uguali a pecore belanti al giogo di un pastore invisibile, risalivano le stradine della contrada, attraversando piazze e vicoletti, mentre tutt'intorno fervevano i preparativi, mettendo a posto le sedie, predisponendo dei palchi sorti per l'occasione e parando finestre ancora vuote.
Al rintocco della campana tutto lo spettacolo sarebbe cominciato.
Man mano che ci si avvicinava alla Rotonda dei Migliori la folla si faceva più fitta ed ogni schiamazzo, voce e suono andava perdendosi in quella sterminata Babele che animava l'intera contrada delle Cinque Vie.
Sulle numerose teste dei presenti solo due cose si ergevano: la colonna sormontata dalla Croce e gli alti ceppi del rogo.
Sulla legna ammassata alcuni uomini gettavano erbe profumate ed aromi, tra cui il finocchio, emblema così dei molti rei di sodomia condannati per tale colpa, affinchè l'olezzo delle carni carbonizzate in seguito all'arsura non giungesse ad appastare il centro abitato.
Due individui stavano ai piedi del rogo mangiando pane, salsiccia, formaggio e bevendo vino rosso simile a sangue caldo.
A quella vista il condannato, che era rimasto impassibile fino a quel momento, nonostante gli insulti della folla ed al lancio di pomodori e frutta marcia, sentì un sudore freddo sgorgargli da ogni poro della pelle.
Il reo era stato trasportato lì dal carcere vecchio, dove aveva trascorso la notte assistito da un Domenicano che inutilmente aveva cercato di strappargli una richiesta di perdono per i suoi peccati.
L'intera contrada appariva come un vasto ed affollato anfiteatro, con il suo brulicare di teste, molte delle quali di donne con i loro bambini, tutti ansiosi di poter assistere allo spettacolo.
Rollone d'Altavilla, signore delle Cinque Vie, aveva giurato sin dalla sua nomina a vassallo dei Taddei di schiacciare ogni forma di eresia ed ateismo con tale violenza da spingere i condannati a preferire le pene eterne dell'Inferno, anziché vivere nelle sue terre.
Ma negli occhi dell'eretico, freddi ed inanimati, nessuno aveva visto scorrere qualcosa che anche lontanamente poteva definirsi paura.
Alto e magro, quasi scarno, dal viso emaciato e l'espressione torva, gli occhi piccoli ed i capelli lunghi e grigi, appariva indifferente a tutto.
Lo conoscevano semplicemente con l'epiteto del Rosso e da sempre aveva suscitato nei suoi simili, ammesso che un uomo come lui potesse assomigliare agli altri, inquietudine e biasimo.
Si definiva un alchimista, ma per tutti era un potente stregone che rinnegava il Cielo e la sua Chiesa.
Il calesse su cui, incatenato, l'eretico veniva condotto al rogo si arrestò a pochi passi da quell'austero patibolo.
Un chierico incappucciato gli si avvicinò, quando fu fatto scendere dal carretto, porgendogli un Crocifisso che lui con sdegno rifiutò di baciare.
Allora un nuovo rintocco della campana sancì un cupo silenzio che scendeva sulla piazza.
Così il chierico cominciò a recitare alcune orazioni, invocando infine il Perdono dell'Onnipotente sull'anima del condannato.
Dopo ciò i due uomini che fino a poco prima erano stati impegnati a mangiare ed a bere si impadronirono del reo, portandolo sul rogo e legandolo con forza.
Uno dei due prese una lunga e robusta mazza di ferro con la quale colpì le braccia del condannato, strappandogli un lungo grido di dolore.
I due uomini accesero infine i piedi di quel rogo, che in un attimo fu avvolto da un fumo nero e fiamme sempre più alte e minacciose.
“La vostra è la giustizia degli uomini...” disse urlando il Rosso alla folla, con lo sguardo rivolto verso il Palazzo degli Altavilla “... della follia... dell'ignoranza... della superstizione...” mentre il fuoco ed il fumo avvolgevano il rogo “... ma una giustizia superiore mi darà soddisfazione... quella della natura... io ti dico... popolo di questa contrada maledetta... ti dico che tornerò... è il nome del mio sangue che grida... tornerò e vi vedrò marcire nel vostro di sangue... che maledetto sazierà la terra come gli escrementi degli animali impuri...”
Il fuoco allora lo prese, consumandogli lentamente le carni e seccandogli il sangue, nella più orribile delle morti.


IL MISTERO DELLE CINQUE VIE

Episodio I: Le ombre della brughiera

“Lo stolto pensa: «Non c'è Dio».”

(Salmo 13)

Prendete qualsiasi sentiero vi piaccia e nove volte su dieci vi condurrà nel verde.
Il verde ha qualcosa di magico, di ancestrale che strappa gli uomini al grigiore delle città e li conduce verso prati fioriti, campi incolti, foreste misteriose e vallate sconfinate.
Il verde è ovunque, ci circonda, ci racchiude, ci racconta.
Il verde è il colore dei nostri sogni, poichè di esso è tinta la speranza e dunque il desiderio stesso.
Il verde è come uno specchio dove ogni uomo può vedere riflesso se stesso ed il proprio Destino.
Il verde tinge la Terra, la sola cosa che si estende tra il cielo ed il mare, delimitandoli ed unendoli allo stesso tempo.
E nulla al mondo è più verde, affascinante, selvaggio e misterioso della brughiera Afragolignonese.
Nel ridente distretto delle Cinque Vie, delimitato proprio dal ducato della felice Capomazda e la capitale, tutto sembrava scorrere staticamente come sempre, come da secoli avviene in questo vecchio angolo dell'Antico Regime.
Il frumento riempiva fecondo i granai, gli ultimi carciofi erano stati raccolti ed i rossi lamponi gremivano le casse delle botteghe.
Le normali attività animavano contadini ed artigiani, con la contrada immersa nel silenzio primordiale della brughiera.
Era un mattino velato di foschia che man mano andava dissipandosi in un leggero alone di vapore appena screziato dai raggi del Sole, che filtravano tra le foglie intrise di rugiada e lo sfolgorio delicato dei fiori di campo.
Tutto dunque procedeva come sempre, nonostante invece quella vaga inquietudine, quell'angoscia soffusa che ormai inevitabilmente era scesa su tutti gli abitanti del posto.
I due cadaveri ritrovati, appartenuti ad una contadinella e ad un bambino, avevano finalmente scosso dal torpore la gente della contrada.
Ma mentre nella bassa borgata la vita scorreva come sempre, nel palazzo degli Altavilla, i signori delle Cinque Vie, alcuni nobili ed alti borghesi si erano radunati per una cena che aveva preso una piega inaspettata.
“Signori...” disse il dotto Ennius ai presenti “... come ben sapete, il maggior ostacolo per svelare l'effettiva veridicità di ciò che comunemente affermiamo essere un mistero sta nel produrre fatti in grado di chiarire la sua natura... tuttavia, quando i fatti sono presenti e dimostrabili anche il più inguaribile degli scettici, per quanto possa accanirsi, dovrà infine accettare ed ammettere la validità di quanto accertato...” spostando gli occhi verso uno di coloro che lo ascoltavano “... siete d'accordo su questo, monsignor Kismy?”
“Per quanto mi riguarda...” rispose il chierico col suo accento straniero “... i fatti possono anche essere convincenti, però è la conclusione che se ne trae che può essere sbagliata.”
“Avanti, monsignore...” divertito Fabbrio, il capocomico del teatro privato del palazzo “... non è uso dire... beati quelli che credono e non vedono?” Sarcastico. “Pensavo che per voi chierici fossero un dettaglio inutile le prove.” Ridendo.
“Io però ho prove...” Ennius “... prove che mi hanno spinto a venire fin qui... per dimostrare come un antico mistero possa essere svelato... svelato con l'aiuto della ragione e della scienza. Infatti voi tutti siete qui, attratti dagli ultimi inquietanti accadimenti, per una sorta di caccia al mostro... io invece, amici miei, sono qui per una caccia al tesoro...” per poi sorseggiare del vino rosso.


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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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