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Vecchio 01-02-2017, 02.36.17   #3
Lady Gwen
Cittadino di Camelot
 
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Lady Gwen ha un'aura spettacolareLady Gwen ha un'aura spettacolare
Percorrevo il marciapiede, invaso da donne in pelliccia ed eleganti uomini d'affari in giacca e cravatta, diretta all'università, dopo che la macchina del nostro autista mi aveva lasciata poco distante da lì.
L'aria di Gennaio era pregna di profumo costoso, aroma di sigari e fumo delle grandi industrie che da alcuni anni andavano sempre più nascendo, come funghi dopo la pioggia; tutto ciò creava quell' ''odore di città'', così tipico e frizzante, caotico e corroborante, contornato com'era da quel continuo via vai di gente di ogni tipo, dagli chaffeur agli strilloni, dalle signore, accompagnate da piccoli cagnolini, ai giovani liceali rampanti, stretti nelle loro divise scolastiche impeccabili.
Tutto questo, in una sola città. Era semplicemente meraviglioso.
Quando ci eravamo trasferiti qui per il lavoro di papà, proprietario un'industria produttrice di automobili, io avevo nove anni e mia sorella, Betty, la viziatissima e petulante Betty, dodici.
Io ero stata subito entusiasta, attorno a me era tutto così grande, luminoso e stimolante, impreziosito dalle mille luci scintillanti della città, che brillavano come diamanti; per lei, invece, era stata un'enorme tragedia e lo era soprattutto adesso.
Non certo perchè preferisse la mediocrità della periferia al lusso e lo sfarzo della città, ma proprio perchè eravamo in città non riusciva a tollerare l'idea di non essersi ancora accaparrata un marito.
Diceva che, ormai, a ventitre anni, sarebbe rimasta sola e triste, senza un marito e si sarebbe chiusa in casa per il resto della sua vita, troppo sommersa dalla vergogna per farsi vedere per strada, mente tutte le altre giovani donne della città mostravano orgogliose l'anulare sinistro che riluceva di quell'oro tanto agognato, più della coccarda del primo posto per i giocatori di polo della domenica.
A me non importava un accidente di trovare un marito, sposarmi e riempire la mia bella casa con un nugolo di bambini nel giro di cinque anni, nossignore!
Mi ritenevo un spirito libero, troppo libero per essere costretto e invischiato nelle convenzioni di una società che doveva cambiare, evolversi.
Lo dimostravano le moderne e lussuose macchine che sfilavano ogni giorno nelle vie principali, totalmente in contrasto con gli abiti eduardiani e demodè di quelle donne avanti con l'età che facevano della loro arretratezza quasi un motivo di vanto, tutte impettite nei loro corsetti, quasi come se quelle rigide stecche di balena servissero ad aumentare il loro integralismo in una società troppo avanti per loro.
Ma torniamo all'università, che distava solo pochi metri, ormai.
I miei genitori avevano accolto contro voglia la mia richiesta di proseguire gli studi, ritenevano che anch'io, come Betty, una volta terminato il liceo, dovessi dedicarmi alla caccia al marito, ma si erano rassegnati e avevano capitolato, a patto che mi iscrivessi ad una facoltà ''per signorine'', come la definivano loro.
Avrei dovuto studiare poesia, letteratura... O almeno, era ciò che pensavano loro.
La verità era che i romanzi e le poesie potevo benissimo leggermeli nel calduccio della mia stanza, senza scomodarmi ad uscire.
Non erano in molti, nessuno in realtà, tranne la mia cameriera personale Ranya, a sapere che, da un anno a questa parte, il mio obiettivo era stato un altro.
Mi ero infatti iscritta in gran segreto alla facoltà di Medicina.
Era da sempre stato il mio sogno, non solo per il desiderio di aiutare gli altri e di rendermi utile, ma anche per prendere parte a quell'universo di cambiamenti, di emancipazione che trasudava dalle parole di quelle ragazze, anch'esse di buona famiglia, che la società aveva rinominato ''flappers'', ma che mia madre deliziosamente ribattezzava semplicemente ''donnacce'' e che facevano bella mostra di sè ogni giorno in quelle aule, piene di giovani dottori ed affermati primari.
Non erano stati solo i loro vestiti a frange, le loro collane di perle o i bocchini per sigarette in legno laccato e madreperla che sembravano quasi galleggiare fra le mani pallide e abbellite dallo smalto rosso vivo ad affascinarmi, ma era stata soprattutto la speranza del progresso e la rivendicazione dei nostri diritti di donne a far sorgere in me il sentimento della ribellione e la viva fiammella della rinascita.
Ne erano un esempio le mie adorate colleghe e amiche, Lizzy e Lucy.
Tutte e tre eravamo legate ed animate da questi principi, oltre che da un sano e sadico divertimento nel vedere le altre ragazze impallidire e svenire alla vista di budella e organi molli di non ben identificata natura, mentre noi trovavamo tutto quello terribilmente affascinante.
Il mio primo giorno di università, mi sembrava di aver ricevuto la manna dal cielo.
Mi ero presentata davanti alla facoltà e mi ero illuminata vedendo la facoltà di Lettere completamente attaccata a quella di Medicina.
Era stata come una benedizione, un segno del destino.
Come se qualcuno avesse voluto indicarmi una strada che era già a me ben nota ed io avevo colto la palla al balzo.
Di sicuro, fingere sarebbe stato molto più semplice così.
Non che ai miei sarebbe importato, occupati com'erano con le paturnie esistenziali di Betty, la cocca di famiglia.
Ormai la mia presenza in casa era totalmente superflua; mia madre diceva di aver perso le speranze con me, soprattutto perchè col carattere da ''ragazzaccia'' che mi ritrovavo mi sarebbe stato impossibile trovare qualcuno disposto a sposarmi e per me era molto meglio così.
Non ero nemmeno sicura di volermi sposare, quindi tanto meglio.
Certo era che a loro sarebbe preso comunque un colpo sapendo che cosa studiavo, sapendo quali fossero le mie idee politiche e soprattutto religiose.
Per quelle mi avrebbero rinchiusa e buttato la chiave e mio padre sarebbe diventato paonazzo in volto, rischiando quasi di strozzarsi con uno dei suoi immancabili Havana.
Per fortuna per tutto quello c'erano Lizzie e Lucy, le uniche in grado di comprendermi.
A proposito delle due, mi fermai nel cortile interno della facoltà per attenderle, mentre accendevo una sigaretta e portavo ritmicamente il bocchino alle labbra, mentre gli sbuffi di fumo si confondevano con le vaporose nuvolette della fresca aria invernale ed io mi stringevo nel cappotto di Cashmere.



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