Discussione: Le luci della Villa
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Vecchio 23-07-2010, 15.17.49   #5
Mordred Inlè
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
In cui appare sir Griflet (random!), Severinus ha un piccolo pov e viene indirettamente introdotto voi-sapete-chi.
Se tutto va bene questa storia avrà altri due o tre capitoli. E se le cose continuano ad andare bene il testimone verrà passato ad un'altro personaggio e poi ad un altro ancora. Mi piacerebbe raccontare tutta la storia arturiana con una serie di tre storie a capitoli. Prima Artù (yay slash Artù/Kai), poi Mordred (yay slash- err, non lo so ancora) e poi si vedrà, sono aperta a suggerimenti!

Le luci di Londinium

"Più potente di me?" domandò Severinus, all'affermazione di quello che aveva sempre creduto un servo.
Non fece in tempo ad aggiungere altro che un altro uomo entrò nella stanza. Non era molto alto, ma abbastanza robusto da dare l'idea di un guerriero. Indossava una ruvida cotta di cuoio e la mano sinistra era appoggiata all'elsa di una daga, appesa al fianco.
"Principe," sorrise lo sconosciuto, voltandosi verso Artù.
Severinus fu costretto a lasciarsi sfuggire un gemito sorpreso.
Kai non gli aveva mai detto che Artù era un principe. L'aveva sempre chiamato servo, o ragazzino, ma nei suoi occhi c'era stato un luccichio sognante e nostalgico. Parlava spesso di Artù, per insultarlo, per denigrarlo, ma immancabilmente finiva per parlare di lui.
"Che cosa ci fate qui, sir Dinadan?" chiese Artù (il principe?!) al soldato. Sembrava preoccupato, ma Dinadan, se così si chiamava, decise di ignorare la domanda.
Fu quello il momento in cui Kai si alzò. Kai non aveva mai retto particolarmente bene l'alcol ed ondeggiò pericolosamente.
"Stai seduto," si lasciò sfuggire Severinus, ma non aggiunse altro quando Dinadan estrasse la prima parte della lama.
"D'accordo, andiamocene," decise Artù, avanzando su Kai e prendendolo per un braccio, prima di trascinarlo fuori.
Severinus arrossì. Era sempre stato geloso dei suoi amanti. Quando Kai era arrivato da lui era un acerbo ragazzino arrogante, un cucciolo che scodinzolava a qualsiasi tocco. Severinus l'aveva fatto diventare ciò che era, era tutto merito suo. Se ora Artù si godeva la bocca di Kai era solo perché Severinus aveva faticato per farlo diventare così.
"Il mio consiglio è di tenere la testa bassa ed iniziare ad uggiolare," sorrise sir Dinadan, distogliendo Severinus dai propri pensieri, prima di uscire seguendo Artù e Kai.

"Perché siete entrato?" esclamò Artù, una volta fuori dalla casa.
Dinadan gli lanciò uno sguardo annoiato. "Ho l'ordine di proteggervi. Ci stavate mettendo troppo."
Stringendo Kai a sé, il principe si fermò, poco distante dai due cavalli e si volse verso il cavaliere.
"Dovete credervi quando vi assicuro che posso difendermi da solo. Non sono ingenuo come pensate e se diverrò re non ho intenzione di farmi scortare ovunque, sperando che i miei uomini facciano il mio lavoro."
L'altro uomo aprì la bocca per rispondere qualcosa, ma infine si limitò ad annuire.
"Non volevo-" iniziò Artù, ma Dinadan si raschiò la gola per interromperlo.
"Non dovete giustificarmi con me," sorrise il cavaliere, senza alcuna traccia di rancore ed il principe gliene fu grato. "Salite a cavallo, posso portare io il vostro amico."
"No," esclamò Artù, un po' troppo velocemente. "Aiutateci solo a salire."
E così fece Dinadan, scherzando sul peso di Kai e sperando di coinvolgerlo in una conversazione. Non ottenne altra risposta che un'occhiata irritata ed un insulto a mezza bocca ed Artù si scusò per lui, di tutto cuore.
"Non dovete temere, principe, ci vuole più di questo per offendermi."
Uscendo dalla città, la prostituta che aveva tentato di abbordarli salutò Dinadan con un occhiolino felice e questi si affrettò ad aggiungere un "Non è come pensate. Abbiamo chiacchierato di abiti."
Il tragitto verso la villa fu più silenzioso dell'andata e molto più teso.
Artù si aspettava che Dinadan iniziasse a fargli domande da un momento all'altro. Temeva che avesse parlato con quella donna di Kai e che quindi avesse scoperto di Kai e Severinus.
E- se la prostituta aveva parlato di Kai e Severinus come amanti di sicuro Dinadan avrebbe letto nel comportamento di Artù più di ciò che c'era (o addirittura le sue vere ragioni).
Artù non aveva la più pallida idea di come venissero visti simili rapporti. Alla villa Ector non ne parlava, considerandoli null'altro che una vergogna greca che aveva infettato le fondamenta di Roma ed il principe aveva sempre e solo ascoltato le sue opinioni in merito.
Merlino gli aveva spiegato che nella religione celta non era così infrequente una relazione fra due donne o fra due uomini, ma il ragazzo l'aveva ignorato, sperando di non dover così pensare al suo primo bacio.
Giunti alla Villa, Dinadan lo aiutò a scendere e si premurò di portare i cavalli nella stalla, prima di salutare il proprio principe con un veloce inchino.
"Spero presto di combattere al vostro fianco, fratello," sorrise il cavaliere, prima di andarsene ed Artù sentì una tiepida rassicurazione salirgli fino al petto.
Non si era comportato da idiota. Non abbastanza da sfigurare davanti ad un uomo più esperto di lui, ma costretto ad eseguire i suoi ordini.
Meditando su Dinadan e Bedivere, Artù si accorse a mala pena che Kai aveva iniziato a camminare con più sicurezza e si era allontanato da lui di un passo, limitandosi a seguirlo più che a farsi trascinare.
Giunti nella stanza di Kai, Artù si voltò verso l'uomo che gli aveva donato il primo bacio, verso il suo idolo da ragazzino ed il giovane che tante volte aveva odiato per il modo in cui si comportava.
"Dovresti riposarti," gli lasciò sfuggire, imbarazzato ed incerto.
"Non puoi darmi ordini. Non mi interessa che tu sia il principe. Ti conosco da una vita e so che patetico ragazzino tu sia." La voce di Kai sembrava inaspettatamente sobria.
"Però lasci che un uomo come Severinus, un relitto nostalgico come lui, ti dica cosa fare e come comportarti."
Kai rise. "Vuoi essere come Severinus? Vuoi potermi dire cosa fare?"
"No, voglio solo capire perché continui a tornare là."
"Improvvisamente sei interessato ai miei amici. Esserti riscoperto re non è abbastanza emozionante?"
"E' per qualcosa che ha detto Gallia," si sentì in dovere di spiegare Artù.
Gallia aveva sicuramente parlato anche con Kai, non era una donna che teneva le cose per sé. Era una cara amica di Julanna, ma a differenza di lei non temeva le urla e non aveva paura di urlare. Diceva ciò che pensava, indipendentemente da cosa fosse.
"Capisco." Kai lo fissò sospettoso, per qualche secondo e poi rise, con quella risata ubriaca che Artù conosceva fin troppo bene. "Hai paura che le tue truppe scoprano che vivi con un catamita?"
Artù sobbalzò. Aveva studiato la storia romana ed aveva ascoltato le interminabili diatribe di Ector sui romani. Sapeva che un catamita altro non era che un amante, no, più spregiativo, un giovane oggetto.
"Tu non sei il catamita di nessuno."
"Sono un romano ed un romano che-"
"Basta," sibilò Artù, arrossendo, "sei romano solo per metà. Tuo padre è celta nonostante il suo disperato volere di sembrare di Roma. Ed il mio titolo o il mio esercito non c'entrano nulla. Si tratta di te."
Kai si lasciò cadere sul proprio letto, appoggiandosi al muro a cui questo era accostato.
"Perché-tu mi hai baciato," aggiunse il principe.
"Sì, mi ricordo." Artù si lasciò quasi sfuggire un sospiro di sollievo.
"Perché l'hai fatto?"
"Perché volevo baciare qualcuno e tu eri lì."
Fingere che non bruciasse era inutile ed il principe si portò le braccia davanti al petto, in un gesto inconsciamente protettivo.
"C'era anche Severinus a quel tempo, se non ricordo male."
Artù effettivamente non ricordava male. Kai aveva iniziato ad incontrarsi con Severinus ed i suoi amici quasi due anni prima del bacio.
"Le cose non cambiano. Come ho detto, sei geloso e tu vuoi essere come Severinus."
"No! Non come lui. Lui- non mi piace, non ti tratta bene."
"Non mi tratta bene?" rise Kai, alzandosi a sedere ed appoggiando i gomiti sulle proprie ginocchia. "E tu cosa ne sai?"
"Io ti tratterei meglio," riuscì solamente a sussurrare il principe, sentendosi la voce tremolare ed il volto in fiamme. La discussione non stava andando proprio come si era immaginato.
Aveva sognato di salvare Kai dal terribile Severinus e di poterlo riverire come un piccolo gioiello, scoprendolo in realtà una persona dolce sotto quella scorza di arroganza.
Kai non era dolce e non lo era mai stato. Dandosi dello stupido per la propria ingenuità, Artù si accorse che non gli importava. Non gli importava se Kai lo detestava o lo ignorava, non voleva che stesse attorno a Severinus.
"Lascia stare questa parte," mormorò Artù, "io probabilmente non starò molto alla Villa," continuò senza guardare l'altro (non voleva vedere la gioia o l'indifferenza sul volto di Kai).
"Ho sentito. Partirai per Londinium."
"Sì. Come figlio di Uther. E potrei tornare fra mesi o mai. Potrei morire come un principe o vivere con un re e per quanto io sia inadatto per quei due ruoli non sono comunque uomo da supplicare e pregare."
"Dove vuoi arrivare?"
"Voglio chiederti, voglio pregarti, voglio supplicarti di lasciar stare Severinus."
"Ancora non mi hai dato una spiegazione."
"Ti rende rabbioso, ti rende crudele! Ti tratta come-" Artù si bloccò. Benché la parola fosse nuova per lui non aveva alcuna intenzione di usarla.
"Partirai con Uther. Potrei dirti che accolgo la tua preghiera e poi fare comunque ciò che desidero."
"Sì, lo so."
Kai annuì e fece un brusco cenno ad Artù di avvicinarsi. Il principe fu quasi felice di vedere che l'arroganza di Kai non si piegava nemmeno davanti al suo sangue reale.
"Vieni," lo chiamò Kai e quando l'altro ubbidì, il rosso allacciò le sue mani dietro il collo del futuro re e lo tirò verso di sé per baciarlo.
Il terzo bacio con Kai di tutta la sua vita, pensò Artù e mentre pensava non riusciva a chiudere gli occhi perché il volto di Kai era così vicino e poteva vedere tutte le lentiggini sulla sua pelle. Le ciglia corte, la fronte alta.
E tutto pieno di lentiggini così chiare che era impossibile scorgerle se non da quella distanza.
Artù si chiese se Kai lo trovasse bello. Sapeva che le donne con cui era stato avevano amato le sue spalle e la sua schiena, avevano amato tutto di lui, ma forse per un uomo era diverso.
Quando Kai aprì la bocca per lui, Artù si lasciò sfuggire un breve mugolio e gli si sedette accanto, sul letto, spingendo l'altro a trascinarlo su di sé.
"Artù."
La voce di Merlino fu come una secchiata d'acqua fredda ed il principe si alzò velocemente, scostandosi frettolosamente di qualche passo e respirando affannosamente. Le gambe lo ressero a malapena.
Merlino lo osservò con una nota di disapprovazione divertita. "Uther vuole vederti, ragazzo."

Artù non aveva mai pensato molto ai Sassoni da bambino.
La villa era nella parte più ovest della Britannia, vicina al confine nord della Cornovaglia ed Artù aveva sempre saputo che i Sassoni sbarcavano da est. Li immaginava come dei terribili lupi, sporchi, biondi ed enormi.
Crescendo aveva conosciuto Sallo, lo schiavo sassone di Marius, uno degli amici di Ector, e si era stupito nel notare che l'uomo aveva dei corti capelli biondo scuro molto ordinati, delle gambe un po' arcuate ed era addirittura più basso di Artù.
Era anche una brava persona. Sallo aveva un accento bizzarro, ma sapeva farsi capire e Marius gli voleva bene come ad un fratello.
Più tardi, Merlino gli spiegò che tutte le persone sono, bhè, sono persone. E che tutto era politica.
"I sassoni sono diversi da noi, ma non perché siano Lupi Selvaggi, come in molti li chiamano. Vengono da ovest e sono sempre in cerca di terre, ma sono diversi perché sono sempre vissuti in un luogo inospitale e per loro è difficile apprezzare la terra per ciò che è. Sono stati traditi dalla loro terra e sono sempre vissuti razziando e rubando. Vortingern ha permesso loro di stanziarsi sulle coste est, incurante del fatto che sempre più Sassoni sarebbero giunti, orde, per ottenere sempre più terra," aveva spiegato Merlino, un giorno.
Artù aveva chiesto. Aveva domandato. I sassoni sono cattivi? No, certo che no. Ma noi riusciamo sempre a sconfiggerli, sono stupidi? Sei uno sciocco se lo credi. I sassoni sono divisi in tribù, per questo sono più deboli di noi, per ora. Uther ha permesso ai re di Britannia di unirsi sotto un'unica bandiera e rimanere uniti è tutto ciò che possiamo fare contro le tribù sassoni.
Per questo Artù non riuscì a sopprimere un brivido di antico ed infantile terrore quando Uther gli disse che i sassoni avevano trovato un capo.
Il capo si chiamava Cerdic e c'era chi diceva che fosse il giovanissimo figlio bastardo di Vortingern e della sua moglie sassone. Cerdic era cresciuto tra i Britanni per qualche anno, prima di fuggire, e questo lo rendeva più pericoloso di qualsiasi altro sassone.
"Conosce noi e conosce loro," spiegò Uther. "Artù- so che è improvviso tutto questo, ma io non sono più l'uomo di una volta. Non vivrò ancora a lungo."
"Padre, vi prego-"
"Ascoltami. Non mi conosci abbastanza da poter essere sinceramente addolorato per me, ma sono sempre tuo padre e ti chiedo di ubbidirmi."
"Sempre," annuì Artù, che era davvero addolorato per lui e che aveva imparato l'ubbidienza tutta la sua vita.
Quello che Uther voleva non era facile.
Uther voleva un futuro per la Britannia.
"Ho lottato per avere il mio posto come re. Non bastava la mia discendenza. E non basterà nemmeno la tua, si tratta di fortuna e si tratta di valore. Quando morirò sarà il caos, ma non ci possiamo permettere nulla di simile ora che Cerdic comanda. Ti chiedo di tenere l'esercito, conquistare l'esercito. Per questo domani partirai con me."
Artù avrebbe voluto protestare... Kai, Ector, la sua vita- e lui non aveva mai comandato nulla né veramente combattuto. Ma nulla uscì dalla sua bocca, l'unica cosa che Artù poteva vedere era la ragnatela di rughe sul volto del padre ed i suoi occhi supplicanti così simili ai propri.

Se Artù fosse stato una persona migliore, più forte, probabilmente si sarebbe opposto, avrebbe combattuto per la vita che voleva invece di lasciarsi trascinare.
Se fosse stato più coraggioso avrebbe salutato ogni singola persona con un abbraccio ed un bacio, invece di assistere impassibile all'annuncio collettivo di Uther sulla loro imminente partenza.
Artù tentò di incontrare lo sguardo di Kai, prima di partire, ma questi stava ridendo e chiacchierando con Gallia, ignorandolo completamente.
Tentò di parlare con lui, ma quando giunse alle sue stanze, con indosso una cotta di maglia nuova e strana che non aveva mai indossato prima, non vi era traccia di Kai, ma Julanna lo stava aspettando.
Julanna si era sposata con Kai non molti mesi prima, su richiesta delle due famiglie, entrambe attaccate disperatamente alle loro radici romane. Julanna aveva appena quindici anni ed era una donna piccola, magra e timida, abituata a scomparire più che a farsi notare.
"Principe Artù," sussurrò quando lo vide.
"Lady Julanna."
"Volevo dirvi che è un onore avervi ospitato nella Villa ed avervi conosciuto per questi mesi." Un'altra cosa su Julanna era che quando parlava sembrava completamente affascinata dai propri lunghi capelli biondi. E che a differenza dell'amica Gallia non era mai stata in grado di dire direttamente ciò che voleva.
"Anche per me, milady."
"Volevo augurarvi buona fortuna per i prossimi mesi, che possiate cavalcare indenne e tornare prima di- prima di divenire re- tornare qui alla Villa."
"Lady Julanna, ho una cosa da chiedervi. So che non provate simpatia per Kai-"
"E' mio marito!" lo interruppe la donna, scandalizzata dall'idea di provare un sentimento inferiore alla devozione per il marito scelto dalla sua famiglia.
"Lo so, perdonatemi, non volevo offendervi. Volevo solo chiedervi di tentare di tenerlo qui alla Villa, sapete, lontano dalla città e di dargli questo," concluse Artù prendendo il proprio pugnale dalla cintura.
Era sempre stato affezionato a quell'arma. Era stata un dono di Ector molti anni prima ed era vecchia e l'elsa a forma di drago aveva perso alcune scaglie, ma Artù era cresciuta con essa.
"Lo farò" promise Julanna e per un attimo il principe fu sicuro che lei avesse capito più del dovuto.

Uther promise che la campagna sarebbe durata un mese, al massimo due.
Non durò né un mese né due.
Passarono cinque mesi e qualche settimana prima che Artù riuscisse a tornare alla villa ed in quei cinque mesi accaddero così tante cose che il principe quasi si chiese se la sua infanzia con Kai fosse stata reale o solo un sogno.
Merlino fu sempre con loro e così sir Bedivere e si Dinadan.
Nelle lunghe notti estive verso Londinium, Artù imparò anche a conoscere tutti gli altri soldati.
Ignaro di quanto Uther pensava fosse sconveniente, il principe passava il suo tempo in modo eguale con il più alto dei capitani cavalieri e l'ultimo arrivato dei soldati appiedati.
Imparò a conoscerli per nome ed a imparare tutto ciò che c'era da sapere sulle loro moglie e le loro figlie e le loro speranze.
Combatté con loro, giorno dopo giorno in allenamento, e fu con gioia che notò sul viso di Uther la soddisfazione quando Merlino giunse a dirgli che solo Bedivere e re Ban in tutto il campo erano riusciti a sconfiggere Artù.
Artù combatteva bene sia a piedi che a cavallo e Bedivere gli spiegò che la cavalleria era ciò che probabilmente avrebbe spaventato di più i sassoni, abituati solamente a stare con i piedi per terra.
Quando giunsero a Londinium i sassoni erano già lì.
Non ci sono parole per spiegare il terrore di Artù. Aveva paura. Aveva sempre avuto paura dei sassoni.
Ed ora iniziò ad avere paura di se stesso.
Combatté nello squadrone di Uther, al suo fianco poiché il re voleva che tutto scorgessero suo figlio su campo. Combatté con la sua bandiera a drago ed i suoi colori.
Uccise il suo primo uomo e poi il secondo e poi semplicemente perse il conto. Non fu come se lo era immaginato. Fu veloce e semplice perché i movimenti erano così fluidi nelle sue braccia da risultare meccanici.
L'eccitazione gli scorreva fra le vene e lo rendeva più abile, più attento. Chi lo vide combattere quel giorno lo credette un drago lui stesso.
Se Uther era stato un orso di potenza e forza, Artù era un drago perché nulla sopravviveva alla sua spada.
Quando la prima battaglia finì ed Artù si ritrovò confuso, a piedi e coperto di sangue, il principe si chinò e vomitò tutto ciò che aveva mangiato. Vomitò anche quando il suo stomaco ormai non conteneva più nulla e continuò a tossire fino a che Merlino non giunse ad aiutarlo.
Ma nemmeno una goccia del sangue che aveva addosso era suo ed alcuni soldati iniziarono a guardarlo come se fosse un miracolato o un dio.
Le battaglie successive furono più semplici, ma allo stesso tempo più difficile perché cancellarono per sempre i sogni della Villa sostituendoli con incubi di sassoni sgozzati e celti decapitati.
Passò un altro mese e fu quasi monotono nel suo procedere di pause e scaramucce.
"Stanno aspettando che giungano le truppe di Cerdic, stanno solo giocando con noi."
Uther aveva fatto chiamare altri soldati da Camelot, ma dopo i primi drappelli i re di Britannia avevano smesso di dare aiuto.
"Credono che io stia ormai morto e vogliono difendere le loro stupide torri. Credono che sia tutto finito!" aveva urlato Uther quando giunse la notizia del tradimento.
Ma ciò che gli altri re di Britanni ed i duchi non sapevano era che le cose erano appena iniziate.

"Cerdic è a soli otto giorni da qui," annunciò Merlino un pomeriggio, con accanto un giovane messaggero dall'aria affamata, sicuramente un sassone. "Manda a chiedere la nostra resa. Avremo salva la vita se consegneremo voi, sire."
Artù ed Uther si trovavano nella tenda del re e Bedivere, accanto a loro, stava elencando i cavalli rimasti e le provviste ancora disponibili.
Uther scoppiò a ridere ed anche il capitano si lasciò sfuggire un sorriso.
"Certo, rimanda la stessa proposta, Merlino, e finalmente fra una settimana tutto sarà finito."
Uther era diventato sempre più debole in quei mesi, ma nulla era cambiato nel modo duro e brusco con cui trattava se stesso ed i suoi uomini.
Artù dovette ammettere che non era il padre che si era aspettato. Non parlava mai di sua madre. Mai delle sue sorellastre e mai di loro. Discuteva di guerra e doveri e futuro ed a volte Artù avrebbe voluto urlargli di smetterla, perché Uther stava morendo ed il principe avrebbe solo voluto avere un padre, non un comandante.
Ma Uther non glielo avrebbe mai perdonato.
"Siamo pronti per il gran finale?" domandò Uther, sorridendo a Bedivere.
No, non erano pronti, ma il capitano annuì comunque.
La settimana successiva fu un via vai di soldati, merci e donne.
Se c'era una cosa che Artù non aveva mai immaginato della vita di un soldato erano le donne.
Quando l'esercito passava per una cittadina o un villaggio, capitava che alcune prostitute seguissero i soldati e si accampassero con loro. Dormivano con i soldati, cucinavano a volte, e si prendevano cura di loro.
In cambiano chiedevano e ricevevano soldi e rispetto.
Artù scoprì anche che tra soldati celti non vi era nulla del disprezzo che Ector aveva portato per i modi romani dell'amore fra due uomini. Glielo spiegò sir Griflet, cugino di Bedivere, quando Artù lo trovò con un soldato di nome Dagonet.
I due erano semplicemente amanti occasionali e qualche notte dopo, sir Griflet era stato ben felice di mostrare ad Artù come due uomini potessero avvicinarsi in intimità fra di loro.
Griflet rideva sempre quando era con Artù, ma non vi era traccia dell'imbarazzo e dell'emozione che il principe aveva provato attorno a Kai.
"Ho una moglie, a casa," aveva spiegato Griflet, una notte, baciando la spalla del principe,"ed è la donna più bella che gli dei abbiano mai fatto. Dovreste vederla, principe."
"La amate?"
"Darei la vita per lei."
Griflet non chiese se anche Artù fosse innamorato e questi gliene fu grato perché non avrebbe saputo cosa rispondere.
Pensava spesso a Kai. Anche quando era con Griflet (anche se era difficile immaginare che questi fosse Kai perché il cugino di Bedivere era biondissimo e decisamente basso), ed ogni volta che Merlino giungeva dalle città limitrofe assieme a vari messaggeri, attendeva con ansia una risposta alle sue lettere.
Non aveva scritto delle lettere a Kai personalmente. Aveva scritto all'intera famiglia, chiedendo della loro salute, ma le uniche lettere che riceveva erano le laconiche risposte meccaniche di Ector.
La settimana prima della battaglia con Cerdic, Artù scrisse una lettera a Kai. Espressamente a lui.
Non gli disse nulla di particolare e fu una missiva piuttosto generica, ma il pensiero di poter morire sapendo di aver dato a lui le sue ultime parole gli lasciò un debole fiore di tiepida soddisfazione nel petto.
Sapeva che la battaglia con Cerdic sarebbe stata diversa dalle altre. Cerdic sapeva comandare. Cerdic non mandava i propri uomini ubriachi in un combattimento.
Era a questo che stava pensando Artù, seduto nella propria tenda, con la lettera per Kai fra le mani, la notte prima del combattimento.
Avrebbe dovuto dormire, ma era troppo nervoso.
Sobbalzò quando una mano sottile alzò il velo della tenda ed una sconosciuta fece timidamente capolino.
La donna non sembrava una prostituta, notò Artù. Aveva le mani delicate, la pelle molto pulita ed i capelli rossi acconciati.
Il colore dei capelli, di un rosso bruno ricco e fiero, gli ricordarono subito Kai.
"Principe," sorrise la sconosciuta, e due piccole fossette si formarono ai lati della bocca.
"Milady, cosa posso fare per voi?"
La donna indossava dei gioielli. Un bracciale dorato a forma di drago e delle gemme fra i capelli. Gli occhi erano chiarissimi, quasi grigi.
Sicuramente non era una prostituta. Capitava che viaggiatori e mercanti passassero da Londinium con le loro mogli, desiderosi però di fuggire subito dopo aver venduto brevemente ciò che dovevano.
"Immaginavo che voleste un po' di compagnia questa notte."
L'idea di poter distrarsi, di non dover pensare solo al giorno dopo consolò un poco il cuore di Artù.
"Chi siete?"
"Sono di passaggio," rispose la donna, avvicinandosi, "chiamatemi Anna."
Artù le fece cenno di avvicinarsi ed arrossì quando Anna, raggiungendolo, si chinò a baciargli il collo.
"Mi dicono che dentro di voi scorre il sangue di un orso e di un drago," sussurrò Anna, passandogli le braccia attorno al collo come Kai aveva fatto molti mesi prima.
"Sono solo un uomo."
"Certo," replicò la donna ed Artù aggrottò la fronte perché quella piccola parola sembrò quasi essere avvelenata dall'odio. L'attimo passò quando Anna si premurò di slacciarsi l'abito e lo lasciò cadere ai propri piedi.

Il giorno dopo Artù si svegliò riposato con il profumo di Anna fra le labbra. Si rivestì in fretta e raggiunse Bedivere che stava ordinando ad alcuni soldati di preparare i cavalli.
Non vi era traccia di Anna da nessuna parte.
"Siete pronto?" domandò Bedivere, con il sorriso calmo e tranquillo così adatto a stendersi sul suo volto.
"Uhn, no?"
"Allora è normale," lo rassicurò il capitano, stringendogli la spalla.
"Di chi è quello stendardo?" domandò Artù, improvvisamente, notando un drappello di soldati che non conosceva ed una bandiera a sfondo viola con un falco nero stampato sopra.
"Soldati delle Orcadi. Re Lot è giunto a darci una mano."
"Non ne sembrate felice."
"E non dovreste esserlo nemmeno voi," replicò Bedivere, con sguardo serio.
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