Discussione: Ardea de'Taddei
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Vecchio 30-09-2009, 03.15.04   #59
Guisgard
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ARDEA DE' TADDEI

XIV

“Capomazda, santuario del
divino Arcangelo Michele,
bellicosa dimora di uomini e
cavalli che gioiscono al ferro.”
(Inni Eroici, III, XIII)



Il vento, che era aumentato di intensità, soffiava con vigore nella vasta campagna, spazzando via le foglie e piegando le cime degli alberi, che sotto quei fieri aliti sembravano come inchinarsi davanti alle indomite e selvagge forze della natura.
L’aria, resa asciutta dal forte vento, mostrava con chiarezza il paesaggio circostante.
Alte ed azzurre montagne si ergevano lungo l’orizzonte infinito, a fare da cornice a quell’irrequieto scenario.
Le nuvole, alte e grige, attraversavano veloci il cielo, come l’impetuoso corso di un fiume in piena.
Di tanto in tanto, cercando qualche spiraglio in quel chiuso cielo, i raggi del sole parevano voler squarciare il manto di nuvole, ma l’impetuosa massa grigia chiudeva inesorabile ogni varco.
La compagnia percorreva quell’agitato scenario in un profondo silenzio, rotto di tanto in tanto dal motteggiare di qualcuna delle guardie oppure da uno dei paggi con la musica del proprio strumento.
Del resto a tenere banco vi era il forte ed incessante sibilo del vento, che a tratti sembrava portare con se i lamenti di persone lontane.
Verso il primo pomeriggio, la compagnia avvistò le torri della capitale.
Queste si ergevano alte e maestose verso il grigio cielo, dominando l’intera campagna circostante.
“Ecco” disse Vico ad Ardea “quella è Afragolignone!”
Il ragazzo restò colpito e meravigliato da quella superba visione.
Mai infatti aveva visto una grande città in vita sue ed oggi, non solo questo era avvenuto ma aveva avuto anche il privilegio di vedere la grande capitale del regno, dove aveva sede la corte e dove le più importanti decisioni venivano prese.
Disseminata di torri alte e slanciate, bianche cupole di maestose chiese e un’infinità di case, grandi e piccole, rozze e lussuose, la splendida città gettava ovunque le sue braccia nella verde e lussureggiante campagna che la ospitava.
Man mano che la compagnia si avvicinava alle imprendibili mura che racchiudevano Afragolignone, si udivano sempre più i suoni che da essa si diffondevano.
Ma a coprirli tutti vi erano i rintocchi di diverse campane, che quasi annunciavano una nuova era per la città, mentre ad Ardea questo sembrò una sorta di saluto che Afragolignone gli porgeva.
In breve la compagnia, raggiunta una delle porte della città, la Porta Verde, si trovò all’interno della capitale.
Mai Ardea aveva visto una simile moltitudine di genti.
Queste affollavano ogni strada ed ogni angolo della grande città. Un pullulare incessante e chiassoso diffondeva ovunque la vitalità che emanava quell’immenso agglomerato urbano.
La compagnia seguendo la strada principale, tagliò in due la città e giunse nella sua parte più alta, detta acropoli, dalla quale sorgeva e dominava il palazzo reale.
L’immensa e sfarzosa struttura era circondata da guardie, a piedi ed a cavallo, e da ben tredici torri pentagonali che notte e giorno osservavano e scrutavano tutti coloro che entravano ed uscivano da quell’edificio.
Un ‘infinità di stendardi sventolavano al vento, dalle torri, dal camminamento delle mura, dalle finestre e dalle lunghe aste che sporgevano dal palazzo.
Vico d’Antò si fece riconoscere ed annunciare da uno dei capitani della guardia reale e subito l’intera compagnia fu fatta entrare nel palazzo.
Ed poco dopo, Vico ed Ardea, furono ricevuti nella grande sala del trono.
Qui vi erano i più importanti e nobili baroni del regno e tutti resero omaggio a Vico, in quanto rappresentante del duca Taddeo d’Altavilla.
E ad un certo punto il lieto brusio diffuso nella sala cessò all’istante. Una grande porta si aprì ed un araldo annunciò l’ingresso del re.
Tutti salutarono il grande sovrano, ma questi, avvertito dell’arrivo di una compagnia dalle Cinque Vie, volle subito ricevere gli uomini che la componevano.
Vico rese omaggio al re, portò i saluti del suo padrone e le scuse per la sua assenza, dovuta a circostanze non dipendenti dalla sua volontà.
Mostrò poi alcuni doni che il duca aveva inviato al sovrano ed infine presentò Ardea all’intera corte.
“Costui è il figlio del duca, maestà!” Disse Vico. “Ed è volontà del mio padrone e vostro servitore, che il giovane renda omaggio al suo re ed all’intera corte del reame.”
“Non sapevamo che il duca avesse un figlio.” Rispose il re. “Conducetelo al nostro cospetto.”
Vico fece un cenno ad Ardea e questi si inchinò davanti al trono.
“Tuo padre è il nostro più valente cavaliere. Tu gli somigli, ragazzo?”
“Maestà, si dice che il sangue sia ereditario e trasmetta le virtù da padre a figlio. Ma il nome di mio padre è tanto grande che, in casa sua, anche i servi sono virtuosi. Quanto a me, sarei soddisfatto se un giorno si potesse dire che il mio valore sia stato la metà di quello di mio padre.”
Il re lodò le parole del giovane e tutti restarono meravigliati dalla sua nobiltà d’animo.
Ed una gran gioia sorse in quel momento nel cuore di Ardea.



(Continua...)
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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