Discussione: Il bardo del lago
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Vecchio 13-05-2016, 15.38.31   #3
Taliesin
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Il Giovanissimo Menetrello, raccolse questa storie nella bisaccia dei ricordi presso il conservatorio dove trascorreva gli anni verdi della sua vita e del suo apprendimento e questa storia gli rimase impressa per sempre nella sua sfrenata fantasia, fino a divenire Canzone, "Nascita di un Lago" (1977).

Taliesin, il Bardo

Il Mago ed il dono dei Ciliegi

Da mille anni il mago viveva tutto solo nella sua bianca torre. Non ne usciva quasi mai, e in quelle rare occasioni era solito recarsi in luoghi così remoti e sconosciuti da non incontrare anima vivente.

Non si curava della gente che abitava nel vicino villaggio, né del passare delle stagioni che ogni anno regalavano nuovi colori ai campi ed alle colline coperte di boschi; soltanto di notte, a volte, si affacciava all'alta finestra per osservare le stelle.

Non conosceva e non amava altro che le sue arti magiche, e trascorreva il tempo studiando antichi volumi, divorato dal desiderio di ampliare sempre più la propria sapienza.

Il lento scorrere dei secoli non aveva lasciato traccia su di lui: il suo potere era talmente grande da garantirgli l'immortalità e l'eterna giovinezza.

Eppure il mago non era felice. Passava notti insonni a domandarsi quale fosse la soluzione dell'unico mistero che ancora rimaneva impenetrabile alla sua conoscenza: l'inquietudine che sempre alberga nell'animo umano, la continua ricerca di qualcosa di cui si riesce solo vagamente ad intuire l'esistenza, senza potergli dare un nome.

Un giorno, mentre era immerso nella lettura di un polveroso tomo, trasalì sentendosi sfiorare una mano. Alzando lo sguardo vide una piccola farfalla gialla che si era posata sulle sue dita, e – per la prima volta da anni senza conto – sorrise. Andò alla finestra aperta, lasciando che la farfalla riprendesse il suo leggero vagabondare nell'aria limpida.

Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, inondando di luce il verde della campagna; di colpo lo assalì la nostalgia dei ciliegi in fiore, i loro petali bianchi come una delicata pioggia nella brezza primaverile. Decise di scendere per una passeggiata.

Si aggirò a lungo senza una meta precisa, perdendosi ad osservare il colore di un minuscolo fiorellino o ad ascoltare il ronzio degli insetti perennemente indaffarati.

Fu così che capitò nei pressi della fontana, dove lei sedeva all'ombra dei ciliegi.
Rimase a guardarla in silenzio. I lunghi capelli scuri, ornati di nastri, le scendevano fino alla vita; il colore della sua veste – gialla, proprio come le ali della farfalla – regalava un non so che di esotico al caldo pallore del suo viso.
Petali bianchi erano ai suoi piedi, tra le sue mani e sulle sue spalle. E quando la donna posò su di lui quegli occhi verdi e profondi come il mare, il mago comprese di aver finalmente trovato la risposta che da tanto tempo cercava.

“Vieni con me”, le disse. “Tutto ciò che vorrai io te lo donerò, se acconsentirai ad essere la mia sposa. Potrai vivere per sempre, senza essere toccata dagli anni e dai dolori”.

Lei scrutò a lungo il suo viso, poi scosse il capo: “Nessun regalo al mondo potrebbe comprare il mio amore”.
“Tu non conosci i miei poteri”.
“E voi non conoscete l'amore”, replicò lei, sorridendo.

Il mago impallidì a quelle parole. Il suo orgoglio non gli permetteva di lasciarsi trattare come un ragazzo.

Saprò conquistare il tuo amore, che tu lo voglia o no!”. Agitò la mano nell'aria e un'invisibile barriera si alzò attorno a loro. “Resterai qui fino al giorno in cui accetterai di sposarmi”.


I mesi passavano, e ancora lei sedeva là sotto i ciliegi. Per lei il mago aveva creato un magnifico giardino, ed un lago dalle acque limpide che arrivavano quasi a lambirle i piedi. E sempre, estate o inverno, i ciliegi erano in fiore e il cielo senza nubi.

Lunghi viaggi il mago aveva affrontato, per portarle i fiori più belli e le perle più rare; ma ogni volta lei scuoteva dolcemente il capo, sorridendogli come chi sa di conoscere un segreto incomprensibile per colui che ha di fronte.
Infine anche al di fuori della prigione di cristallo ritornò la primavera. Ancora una volta il mago si presentò a lei per offrirle uno splendido dono: una spilla d'argento e pietre preziose, che raffigurava una farfalla posata su un ramo di glicine.

La donna degnò appena di uno sguardo quel gioiello scintillante; si soffermò invece ad osservare il viso di lui. Pareva stanco – giorno e notte aveva lavorato per incastonare con le sue mani rubini, smeraldi e zaffiri – e la sua espressione aveva perduto ogni traccia di superbia. Ora sembrava più che mai un ragazzo, un ragazzo infelice.

Crollando tristemente il capo la donna gli restituì il gioiello. Il mago sospirò – un sospiro lento, come il leggero indugiare dei petali di ciliegio prima di posarsi a terra – e lasciò cadere la spilla ai suoi piedi.

Si volse di scatto, perché lei non vedesse le lacrime che gli rigavano il volto. Guardando le calme acque del lago, disse sommessamente: “Sei libera di andartene”.

Fu solo allora che lei si alzò e gli si avvicinò. Stendendo una mano a sfiorargli una guancia umida di lacrime, sorrise. “Era questo che stavo aspettando, questo ciò che speravo voi capiste. Ora posso essere la vostra sposa”.
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber)
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