Discussione: Le luci della Villa
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Vecchio 21-07-2010, 22.58.44   #1
Mordred Inlè
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Le luci della Villa

Warning: slash e uhm dub-con (quindi rapporti sessuali in cui il consenso non è così scontato, ma nulla di esplicito) e passato non-con (in cui il consenso non c'è proprio, ed anche qui assolutamente non esplicito, solo accennato).

Ispirato a Dragon's Child (M. K. Hume), nel senso che ho preso in prestito qualche personaggio (Gallia e basta) e l'ambientazione generale, ma Kai è del tutto diverso (Il Kai di quel libri è terribile. Picchia la moglie, uccide la madre per sbaglio, è succube dell'amico Severinus e complice nei rapimenti dell'amico pedofilo perché anche lui fu abusato da piccolo. Ed è un supercodardo, andante verso il gay ma comunque violento e maligno verso le donne ;_; Odierò la scrittrice di quel libro per sempre! Ma terrò alcuni elementi, indovinate quali.).
Il libro non tratta di temi facili e nemmeno questa storia. Yay.

01. Le luci della Villa

"Vorrei parlarvi di Kai. Vorrei sapere che cosa dicono di lui," domandò Artù, sedendosi accanto al proprio maestro Merydd Merlino.
Merlin gli insegnava la scrittura e la lettura, la cultura, la vita e persino l'uso della spada e del cavallo perché dietro a quella corta e brizzolata barba da studioso si celava ancora il guerriero che un tempo era stato.
"E cosa vuoi sapere di lui?"
"Quello che fa in città."
Artù non era mai stato in città.
Era un orfano, era stato portato da Ector all'età di due anni e lì era stato allevato in un limbo, né nobile (come la famosa famiglia di Ector ed il suo arrogante primogenito Kai) né servo. Aveva vissuto i primi anni della sua vita in mezzo al cortile, con la balia ed i figli dei servitori. Aveva giocato con loro ed aveva imparato qualcosa quando Ector improvvisamente si ricordava di lui.
La sua istruzione a singhiozzo però era stata compensata dall'estrema curiosità del ragazzo che, segretamente, si intrufolava nella biblioteca della Villa per leggere ciò che con tanto disprezzo Kai ignorava.
Il tutto finché un giorno non era giunto il vescovo di Glanstonbury, in tutta la sua magnificenza, e con grande mistero aveva proclamato che Artù dovesse essere addestrato alla guerra ed alla cultura.
Artù, che aveva appena dodici anni, aveva fatto spallucce, convinto che nel momento in cui ul vescovo avrebbe lasciato la Villa, Ector l'avrebbe nuovamente ignorato e Kai si sarebbe nuovamente comportato come l'insopportabile bulletto che tutti conoscevano.
Non era accaduto perché il vescovo aveva lasciato al servizio di Ector l'amico Merlino, un ben poco noto druido dell'antica religione.
E se Ector era tornato ad ignorarlo, Merlin non lo aveva mai lasciato solo un minuto. Gli aveva dato un cavallo, gli aveva insegnato ad addestrare un cavallo, a far di conto, a sviluppare quella meravigliosa curiosità che tanto era stata inibita. E l'aveva amato con la severità di un padre con il quale Ector non l'aveva nemmeno mai guardato.
"Voglio sapere quello che fa in città," ripeté Artù.
"La città non è ancora posto per te."
La città non era posto per lui perché, a diciassette anni, Artù, benché uomo, non conosceva ancora il proprio posto nel mondo e si limitava a fare da servitore alla famiglia di Ector ed a seguire la scia di Merlino.
"Dite sempre ancora. Che cosa intendete?"
"Queste vecchie città romane, ragazzo, non sono adatte, ma un giorno le conoscerai tutte."
"Voglio solo sapere che cosa fa Kai?"
"Perché?"
Kai passava molto tempo in città, anche troppo. Ignorava i propri doveri di primogenito della Villa, credendo che l'essere nobile significasse poter fare tutto ciò che voleva.
Ignorava persino la donna che aveva sposato qualche mese prima, una fanciullina delicata dal nome di Julanna. Fortunatamente Gallia, dama di compagnia di Julanna, era sempre con lei e Kai non doveva preoccuparsi più di tanto della propria consorte.
"Perché Gallia dice-"
"Dice cosa?"
"Nulla, maestro."
Ed invece Gallia parlava e parlava. Diceva che Kai era burbero, che urlava spesso, che ignorava Julanna e che non la toccava mai nemmeno con un dito. Diceva che Kai amava i ragazzi ed il suo amico Severinus più della propria famiglia.
Artù non sapeva nulla di tutto quello. Era stato con delle donne, con delle bellissime donne che lo avevano baciato e coccolato teneramente, ma non aveva provato alcuna sorpresa alle parole di Gallia.
"D'accordo, per oggi basta così," annuì Merlino, sentendo che la mente del proprio discepolo era persa in altri lidi. "Non fare nulla che io non farei," lo ammonì, prima di lasciarlo solo nelle stalle.
Poiché Artù non conosceva abbastanza la mente di Merlino da capire cosa il maestro potesse o non potesse fare, il ragazzo si sentì giustificato quando verso il tramonto prese il proprio cavallo e partì in direzione della città.

Benché non ci fosse mai andato, Artù sapeva perfettamente come arrivare in città. Spesso ne aveva raggiunto i confini da ragazzino, più interessato alle mucche al pascolo sul margine del bosco che alle gioie ed i misteri cittadini che Kai cercava.
Artù non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo non si aspettava una cosa così semplice. La città era aperta a tutti, con poche case e poche persone. Solo una locanda di mattoni al centro sembrava avere un poco della vitalità di cui tutti parlavano, e così le strade attorno ad essa.
Dei soldati stavano cantando seduti nel terriccio fangoso, attorno ad una fanciulla che ballava tra di loro, semi nuda.
"Stai cercando qualcuno?" sussurrò una donna, toccandogli il braccio, quando Artù scese da cavallo e lo legò poco distante dalla locanda illuminata.
"Sì, veramente sì-"
"Bene," sorrise la sconosciuta e con un abile balzo si ritrovò davanti ad Artù, con le braccia attorno al suo collo. Era giovane, con la pelle abbronzata di chi lavora sotto il sole, e le mani screpolate, ma piacevolmente ruvide.
"No- no, scusami, devo avere frainteso," mormorò Artù, sentendosi venir meno la sua famigerata e rispettabile aura. Non credeva veramente di averla, ma qualche volta Merlino lo portava davanti ad uno specchio d'acqua e gli diceva di guardare. Gli mostrava quanto fosse alto, ormai più alto di Ector, e quanto larghe fossero le sue spalle e scuri i suoi capelli. Gli mostrava l'aspetto di un guerriero ed Artù rideva perché sapeva che non avrebbe mai combattuto, nonostante l'addestramento, e sarebbe rimasto sempre un servitore nella casa di Ector.
"Oh, tesoro, non devi essere imbarazzato."
"Non sono imbarazzato," tentò di ricomporsi il ragazzo, "sto cercando Kai e Severinus."
La donna si staccò immediatamente. "Ho capito, dritto di là, oltre la taverna. Entri nella prima porta. Dolcezza, se cambi idea e scopri che preferisci una donna, sai dove trovarmi," sorrise, prima di andarsene.
Se Artù aveva dei dubbi circa i sospetti di Gallia questi ora scomparvero. Non sapeva esattamente cosa fare ora che aveva effettivamente confermato ciò che voleva scoprire.
Non sapeva nemmeno perché fosse lì. Non sapeva molte cose, ma sapeva fin troppo bene che non era rimasto sorpreso quando Gallia gli aveva parlato. Né sorpreso né disgustato, perché tre anni prima, fra gli insulti e l'irritazione con cui Kai lo aveva trattato, Kai stesso lo aveva baciato.
Per Artù era stato il suo primo bacio e lo aveva lasciato confuso ed arrabbiato perché Kai aveva semplicemente smesso di parlargli (che in realtà equivaleva allo smettere di insultarlo e prendersi gioco di lui).
Artù raggiunse la porta indicata dalla prostituta. Un ragazzo, che non doveva avere molto più dei ventidue anni di Kai, se ne stava seduto accanto ad essa, addormentato. L'odore di alcool non ci mise molto a raggiungere l'olfatto di Artù, ma non lo fermò quando questi aprì la porta per entrare nella casa che nulla aveva della regalità della Villa.
Era semplicemente una capanna di legno e con apprensione Artù notò alcune torce sostenute da dei pali. Il sole era ormai tramontato.
"Tu chi saresti?" domandò un uomo, camminando verso di lui. Non aveva un'aria molto minacciosa, sembrava più una domanda di cortesia che una velata minaccia.
"Artù."
"Artù?" rise l'uomo, "il servo di- non ci posso credere! Chi l'avrebbe mai detto. E cosa ci fai qui?"
"Sto cercando Kai."
"Oh, Kai ne sarà felice. Non fa altro che parlare di te," annuì lo sconosciuto, battendogli una mano sulla spalla ed iniziando a trascinarlo verso un pesante drappo rosso sbiadito che occupava lo spazio di una porta mancante.
Artù non sapeva cosa si sarebbe trovato dall'altra parte. Si immaginava Kai e Severinus che parlavano e bevevano. Addirittura Kai e Severinus in atteggiamenti un po' più intimi (ma in quel caso lo sconosciuto non lo avrebbe trascinato così in mezzo a loro, vero?) perché dentro di sé aveva sempre pensato che Severinus fosse qualcosa di più per Kai di un amico di bevute.
Kai era appoggiato ad un uomo che Artù non aveva mai visto. Lo sconosciuto stava aprendo la tunica bianca di Kai con una mano mentre con l'altra stava dando del vino per Kai che, tra una sorsata e l'altra, lasciava che l'uomo versasse il tutto sul suo volto.
Le cose accaddero così velocemente. Artù vide la tunica aperta, gli occhi chiusi, lo sconosciuto con il vino ed infine Severinus su di lui. Severinus stava leccando il vino che Kai non riusciva a bere, seduto sulle gambe dell'amico e con i polsi dell'altro nelle sue mani, tra di loro.
"Kai!"
L'urlo di Artù sembrò congelare la scena. Severinus si voltò sorpreso verso di lui, mentre lo sconosciuto mise da parte la brocca di vino. Il modo in cui Kai sembrò arcuarsi su se stesso e tossire per dell'aria sembrò portare un velo di rabbia rossa sugli occhi di Artù.
"Togliti," ringhiò a Severinus, "lascialo andare."
"E tu chi saresti?" domandò il nobile. Severinus era il figlio di una delle nobili famiglie che ancora si attaccavano con foga alle loro origini romane.
Ma non era nulla in confronto ad Artù e questi se ne rese conto.
Si rese conto di essere alto, come Merlino gli aveva detto, di avere delle spalle larghe, come il maestro gli aveva mostrato, e di saper usare una spada, un'asta o qualsiasi altra cosa potesse essere un'arma. Persino le proprie mani. Merlino e Targo, uno dei servi della scuderia, avevano speso ore ed ore della loro vita a fare di Artù un guerriero.
Quando Artù era un bambino aveva avuto paura di Severinus, dei suoi occhi pallidissmi e del suo sorriso sempre esageratamente gentile. Ora si meravigliò lui stesso nel non provare nulla di simile.
Severinus dovette percepire che qualcosa era cambiato perché fece come chiesto e si alzò, anche lo sconosciuto si staccò leggermente da Kai il quale si mise a sedere da solo, continuando a tossire.
"Chi sei?"
"Artù."
"Artù? Il servo di Kai?" rise lo sconosciuto, alzandosi.
"Perché sei venuto qui?" chiese ancora Severinus, ma senza osare avanzare di un passo.
"Per Kai," rispose Artù, sentendo la proprio furia cieca diramarsi prepotentemente.
"Perché Kai dovrebbe venire? Sei tu il suo servo, non certo il contrario."
Artù non disse nulla (perché Severinus aveva ragione, dopotutto), ma quando avanzò verso Kai nessuno degli altri due fece niente per fermarlo.
"Kai? State bene?" domandò, inginocchiandosi accanto a lui. Kai sapeva di vino, come se ci avesse nuotato dentro.
"Artù? Sei venuto anche tu?" rispose Kai, trascinando le parole in maniera esagerata e passando un braccio attorno al collo di Artù, per avvicinarlo a sé.
"Sì, ma per portarvi via."
"Non vuole andare via, ci stavamo divertendo prima che arrivassi tu," sibilò Severinus, ma la sua opinione venne ignorata.
"Ce la fate a stare in piedi?"
Kai fece spallucce, ma non si oppose quando Artù lo fece alzare. Si limitò ad ondeggiare un pochino ed appoggiare la testa sulla spalla del suo strano servitore.
"Se vi vedo un'altra volta qui con lui giuro che dirò tutto a sir Ector," esclamò Artù, dirigendosi barcollante con il proprio fardello verso la porta.
"Artù, giusto?" intervenne lo sconosciuto, "ascolta, non mi sembra il caso di farne una tragedia. Ci stavamo divertendo. Dei del cielo, non è come se l'avessimo costretto a fare nulla."
"Se vuoi rimanere con noi, invece che comportarti come un idiota puoi farlo. Potremmo chiudere un occhio."
Ancora una volta Artù ignorò Severinus e fece finta di non aver sentito l'invito, preferendo concentrarsi sulla fatica di portare un ben poco coerente Kai fuori da quel posto.

Riportare a casa Kai fu faticoso.
Artù non aveva la più pallida idea di dove fosse il cavallo dell'altro e per il momento l'unica cosa che voleva era tornare alla Villa e dimenticare il tutto.
Sapeva bene che Kai era lì perché quella era la sua volontà. Kai era sempre assieme a Severinus ed i suoi amici. E sapeva anche di non aver alcun diritto di decidere cosa Kai potesse o volesse fare (casomai era il contrario), ma non aveva potuto farne a meno.
L'immagine di Kai che tossiva e del vino sulla sua faccia erano state troppo.
Artù non riusciva a credere che una cosa simile potesse essere piacevole, né che Kai fosse stato abbastanza lucido da decidere cosa fosse piacevole e cosa no.
E poi- Artù era stato geloso.
Kai era sempre stato quello più grande, il nobile, il figlio di Ector e quando Artù era ancora troppo piccolo per capire che in realtà Kai era solo uno sciocco bulletto non aveva voluto altro che diventare come lui, abbastanza forte perché Kai potesse voler giocare con lui.
E poi sì, era cresciuto, ed era arrivato Merlino, pronto a farlo diventare qualcosa che Kai non sarebbe stato nemmeno lontanamente. E Kai l'aveva baciato e per un attimo Artù si era sentito nuovamente come quel bambino che non voleva altro che piacere a Kai.
Artù era confuso, ma non era uno sciocco né un ingenuo. Era stato con delle donne, aveva provato piacere con delle donne, ma mai quella scarica di emozione possessiva e timida e allo stesso tempo irruente che sentiva ogni volta che Kai lo guardava e gli parlava.
Sì, riportare Kai a casa fu fatico. Non solo per la pragmatica fatica del sostenere un peso davanti a sé sul proprio cavallo, ma anche perché l'altro sembrava completamente immerso nella nebbia in cui Artù lo aveva trovato ed insisteva a girarsi verso di lui, allungare il collo per toccare Artù, baciarlo, parlargli (anche se non riusciva a mettere insieme grandi frasi).
Ci misero il doppio del tempo per tornare alla Villa ed era ancora buio.
Ed Artù non si aspettava certo di trovare Merlino davanti alla spalla, con le braccia incrociate sul petto ad attenderlo.
La prima cosa che Merlin gli disse appena Artù riuscì a scendere assieme a Kai da cavallo fu: "Ti stavo cercando."
La seconda invece fu un deluso: "Ti avevo detto di non andare in città."
Artù non rispose nulla, non chiedendosi perché Merlino lo volesse né specificando che il maestro non gli aveva proibito espressamente di andare in città.
"Non so cosa fare, maestro, che cosa devo fare?" domandò invece il giovane, indicando Kai, ormai senza sensi.
"Portalo nella mia stanza."
Con l'aiuto di Merlino fu molto più facile manovrare il peso morto del figlio di Ector e lasciarlo cadere sul pagliericcio che il maestro usava come letto.
"Guarda che non si soffochi nel suo stesso vomito e dagli dell'acqua. Io vado a prendere dell'uovo."
"Uovo?" domandò Artù, ma Merlino era già uscito.
Ubbidendo agli ordini del proprio maestro, Artù riempì un bicchiere d'acqua ed aiutò Kai a berlo senza soffocarsi. Prese poi il catino di acqua fresca che Merlino si era preparato per la mattina seguente e decise di usarlo per tentare di togliere dall'altro l'odore di vino e l'aspetto appiccicoso dei suoi capelli rossi.
Quando Merlino tornò, appoggiò un bicchiere con un tuorlo d'uovo per terra e se notò l'uso della sua acqua, non disse nulla al riguardo.
"Ti stavo cercando, Artù," ripeté invece.
"Perché?" domandò il ragazzo, distrattamente, passando un pezzo di stoffa bagnata sulle labbra di Kai e chiedendosi se Kai avesse baciato Severinus come un tempo aveva baciato Artù.
"Perché domani giungerà il vescovo ed avrà delle notizie per te."
"Che notizie?"
"Vedo che non mi sta ascoltando, ragazzino, ma questa è una faccenda troppo grande per non venir detta, quindi apri le orecchie: Uther non è più in forma come una volta."
Artù aveva, ovviamente, sentito parlare di Uther. Sapeva che era il condottiero con la bandiera del Drago, Uther Pendragon, e che aveva sconfitto i sassoni innumerevoli volte, unendo sotto il suo comando anche regnanti britanni di origine diversa.
"Ha bisogno di nominare un erede."
"Kai?" domandò Artù, osservando il maestro incuriosito. Kai era di famiglia nobile, la madre era stata una signora della casa Poppinia di Roma, ed Ector si era saputo far valere in tutte le battaglie a cui aveva partecipato.
"Non essere sciocco," sbuffò Merlino," sto parlando di te."
"Di me?"
"Artù, per ora non è il caso di dirti di più-"
"No! Aspetta, perché io?" chiese il ragazzo, finalmente interessato alla cosa.
"Artù, ascoltami con attenzione. Hai mai sentito parlare della storia di Uther ed Igraine?"
Artù annuì. Ne aveva sentito parlare. Uther si era innamorato della bellissima moglie del Duca Gorlois, Igraine, e spinto dalla passione ne aveva ucciso il marito in battaglia e l'aveva sposata. Igraine era vissuta solo il tempo per partorire un figlio, morto anch'esso.
"Il figlio di Igraine non è morto. Sei tu."
Se Merlino gli avesse detto che un giorno l'uomo sarebbe stato in grado di volare probabilmente Artù avrebbe riso, ma poi avrebbe annuito, fiducioso del suo maestro. Ma ciò che l'uomo aveva appena pronunciato non aveva alcun senso.
Lui era il servo che non era servo, allevato come un abbandonato nella casa di Ector.
"Non ti sei mai chiesto perché il vescovo ha voluto che tu fossi cresciuto come un guerriero ed un uomo colto?"
Artù se lo era chiesto, ma non aveva mai trovato la risposta.
"No, non può essere vero. Io non posso essere il figlio di Uther. Se- se io fossi suo figlio sarei con lui ora, non qui, non qui."
"Non poteva tenerti con sé. Aveva una battaglia da condurre e tu eri in pericolo. C'era chi avrebbe voluto vederti morto."
"Chi?"
Merlino scosse la testa e cambiò argomento. "L'unica cosa da fare era proteggerti. Ti ha mandato qui perché la Villa di Ector è lontana e poco conosciuta. Nessuno avrebbe mai sospettato nulla, nemmeno Ector."
"Lui non lo sapeva?"
"No, pensava che tu fossi il figlio di qualche amico del vescovo. Ed in un certo senso è così."
"Ma perché-"
"Il vescovo non hai mai pensato di doverti dare un'istruzione adeguata fino ai tuoi dieci anni. Certo, è un amico di Uther, ma non avrebbe mai immaginato che Uther sarebbe diventato così potente da dover aver bisogno di un erede."
Il fatto che Uther, alla sua nascita, non avesse bisogno di lui come un erede e lo avesse comunque nascosto per proteggerlo sembrò portare un'ondata di calore incerto nel petto di Artù. Aveva così tante domande.
Perché ora? Perché mio padre non è venuto a prendermi? Perché devo diventare l'erede? Com'è mio padre? Com'era mia madre? E così tante proteste. Non voleva diventare re, non si sentiva assolutamente pronto. E non voleva incontrare Uther (ma allo stesso tempo non desiderava altro).
"Domani giungerà qui il vescovo."
"Ed Uther?"
"Se sarà abbastanza in forze giungerà anche lui, con i suoi cavalieri."
Artù aprì e chiuse la bocca, nello sforzo di poter aggiungere qualcosa, ma la sua gola era arida ed il freddo della notte iniziava a farsi sentire tramite piccoli tremori imbarazzanti.
"Dormi un po'," sussurrò Merlino, toccandogli la fronte.
L'ultima cosa che Artù si ricordò prima di addormentarsi fu di aver pensato che il suo maestro fosse un mago.

La prima cosa che Artù sentì al suo risveglio fu odore di vino ed il calore di un corpo steso accanto al proprio. Aprì gli occhi e non fu del tutto sorpreso nel vedere Kai.
Anche Kai era sveglio, con gli occhi chiusi in una smorfia di dolore, il dorso della mano destra sulla bocca ed il sole del mattino che gli illuminava il pallore del volto ed i riflessi dorati dei suoi capelli rossi.
"Kai?"
Kai sobbalzò ed Artù si premurò di abbassare ancora il tono della propria voce. "State bene?"
"Sì," rispose l'altro, con voce leggermente roca.
Una fanciulla, una serva che Artù riconobbe come la figlia della cuoca, entrò timidamente nella stanza portando con sé degli abiti ed una nuova bacinella d'acqua. "Merlino ha chiesto che vi vestiate e lo raggiungiate all'entrata della Villa entro un'ora."
"Sta parlando con te?" domandò Kai, voltandosi verso Artù ed aprendo gli occhi per la prima volta.
Erano mesi, o forse anche anni, che Kai non parlava con Artù o non lo guardava negli occhi. Solitamente si limitava a rivolgergli qualche aspra parola o a lanciargli una veloce occhiata durante le cene o gli incontri casuali ed Artù aveva del tutto dimenticato quanto verdi fossero gli occhi di Kai.
"Sì, sta parlando con me. Ma penso che Merlino voglia anche voi."
"Ho sete."
Velocemente, Artù si alzò per riempire un bicchiere d'acqua a Kai e glielo porse.
"Per ieri sera-" iniziò Artù.
"Sì, mi aspetto le tue scuse."
"Le mie scuse?"
"Per avermi praticamente rapito."
"Volevo aiutarvi. Vi stavano affogando con del vino."
Kai si alzò a sedere a fatica ed il poco colorito che aveva recuperato sparì completamente. "Sei melodrammatico come una donna."
"Mi dispiace se non era ciò che volevate, ma non me lo sarei mai perdonato se vi avessi lasciato là. Non eravate nemmeno in voi."
"Prima di tutto non hai il permesso di rubare un cavallo e lasciare la Villa," ribatté Kai.
La rabbia della sera prima, per il modo in cui Kai si era lasciato trattare, per ciò che Merlino gli aveva detto, per tutti i segreti della sua vita, ritornò prepotentemente ed Artù avrebbe voluto poter urlare. Poter dire che lui non doveva rendere conto a nessuno, che ora era il futuro re e che Kai avrebbe dovuto ubbidire a lui per una volta.
Ma non se lo sarebbe mai perdonato.
"Faccio molte cose che non dovrei fare," rispose invece e quando l'altro inarcò un sopracciglio dubbioso Artù si limitò a baciarlo con la stessa delicatezza da primo bacio che Kai aveva usato per lui quando aveva quattordici anni.
Non fu sorpreso quando Kai non provò nemmeno a sbarazzarsi di lui.
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[English Arthurian fandom]

❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends
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