Discussione: Ardea de'Taddei
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Vecchio 19-10-2009, 02.47.21   #86
Guisgard
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ARDEA DE' TADDEI

XXIII

“Stolti! che osaro violare i sacri
Al Sole Iperion candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.”
(Odissea, I, 11)


Nello scrivere quella lettera, come sempre accadeva, Ardea sentì il viso bagnarsi per le lacrime.
Il ricordo e la nostalgia per suo padre erano sempre vivi in lui e quando gli scriveva questa mancanza diventava quasi insostenibile.
Nella lettera Ardea raccontò ogni cosa, compreso lo stratagemma del cavaliere violaceo, fino alla felice conclusione che sancì la sua investitura a cavaliere.
La lettera poi si concludeva con il desiderio di ritornare a casa al più presto, appena il re gli avesse concesso il permesso.
Ma il re espresse, sentitamente, il desiderio che il nuovo cavaliere si trattenesse ancora ad Afragolignone.
Inizialmente il sovrano volle tenerlo con se almeno fino alle festività del Santo Natale.
Poi fino alla quaresima ed alla Santa Pasqua.
In estate si tennero poi feste tradizionali, che videro giungere a corte molti nobili cavalieri e leggiadre fanciulle e ad Ardea parve scortese partire dalla capitale proprio durante tali cortesi eventi.
Con l’arrivo dell’Autunno poi iniziarono i preparativi per il nuovo torneo di Capo degli Orafi e tutti chiesero ad Ardea, in veste di campione uscente, di difendere il suo titolo.
E così avvenne ed Ardea di nuovo uscì vincitore da quella tradizionale giostra.
Insomma, in un modo o nell’altro, tra feste religiose e tradizionali, tra giostre ed eventi, il momento della partenza slittava costantemente.
La corte era un luogo in cui il corpo e lo spirito si cullano di quel candore che pare rendere la vita un costante sogno, trovando diletto tra la bellezza delle donne e la nobiltà degli uomini.
Gare, giochi e deliziosi incontri non mancavano per inebriare i cuori e far dimenticare preoccupazioni e pensieri.
Ed Ardea, nella sua nuova veste di cavaliere, si trovava a meraviglia in quell’incantato contesto e la sua forzata, diciamo così, permanenza a corte trascorse in modo assai gradevole.
In breve il suo desiderio di ritornare a casa iniziò ad ammansirsi e il rinvio all’indomani divenne una costante del suo modo di pensare.
Quell’effimero domani, che avrebbe segnato la sua partenza dalla corte, divenne sempre più incerto e lontano nel tempo.
Così passarono diversi domani.
E quei domani divennero settimane, poi mesi e poi anni. Tre lunghi anni.
Anni in cui anche le lettere scritte a suo padre, come la voglia di far ritorno a casa, iniziarono a mancare.
Le piacevoli distrazioni della corte, le gare con gli altri cavalieri e la compagnia di deliziose dame, occuparono sempre più i pensieri ed il cuore del nostro cavaliere.
Così quella nostalgia per suo padre e la malinconia per i luoghi dove era cresciuto, iniziarono a dissiparsi come la nebbia ai primi raggi del Sole mattutino.
Così i raggi splendidi e fastosi della corte fecero svanire in breve la voglia ed il desiderio di far ritorno nella sua casa.
E con essi anche il bisogno di scrivere a suo padre.


(Continua...)
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