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Vecchio 15-03-2016, 00.42.30   #44
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Anche io, vagando tra i vecchi e preziosi libri conservati su una mensola di quel negozio ho trovato qualcosa.
Come una sorta di diario privato, un piccolo e consumato taccuino dalla copertina di cuoio e dalle interminabili annotazioni fin sui margini di ogni sua pagina...

"Nell'apprestarmi a narrare le vicissitudini che hanno portato al mio allontanamento dal monastero e alla mia cacciata dal Clero, mi rendo conto che proprio questi fatti gettano ombre e dubbi sulla mia moralità e sulla mia salute mentale.
Il mio nome un tempo era Giorgio e fin dalla mia infanzia sono stato un sognatore, un visionario.
Colto al punto da non dovermi più preoccupare di frequentare con i miei compagni la scuola ed inadatto per temperamento ed intelletto ad un normale mestiere di bottega agli ordini di mastri o maestri, ho sempre vissuto in terre che non appartengono a questo mondo.
Ho trascorso l'adolescenza e la giovinezza tra le ammuffite pagine di codici dimenticati da tempo e da libri ignoti ai più, fra i boschi che circondavano il villaggio dove sono nato cresciuto.
Dubito che ciò che ho letto in quelle pagine, o visto in quei boschi certe notti dopo lunghi e tetri crepuscoli sia ciò che leggono o vedono molti dei miei simili.
Ma di questo è saggio tacere per non confermare ciò che molti dei miei ex confratelli vanno in giro a mormorare sulla mia salute mentale e sulla mia integrità morale.
Ho raccontato di essere evaso da questo mondo, ma mai ho detto di esserci riuscito da solo.
Nessun essere umano può farlo, poichè non siamo nati per essere soli.
E a chi manca la compagnia dei vivi, cercherà quella di chi non lo è più.
Poco fuori dal mio villaggio, dove il bosco si riveste di muschio e si racchiude tra alberi dai tronchi grotteschi ed i rami contorti, ho concepito le mie prime fantasticherie.
Molte cose ho veduto laggiù e tante altre ho udito, ma non dirò nulla se non dell'antica fossa sconsacrata delle megere di Taurin.
Folli e dimenticate donne rinchiuse decenni prima in questa sorta di cripta sotterranea, simile ad una pagana e sacrilega fossa scavata nella terra e ricoperta di sterpi e rovi.
L'idea di entrare in quella tomba non mi abbandonava mai.
Intere giornate ed interminabili notti mi vedevano fremere, ansimare, gemere per quell'ossessivo bisogno, come se qualcosa mi attirasse in quel luogo, quasi ci fosse un antico e maledetto legame fra me e quelle sfortunate vestali di tempi perduti.
Così, vinto dall'irrefrenabile e illogica volontà di attraversare quel passaggio tra il giorno e la notte, tra la terra e l'Oltretomba, una sera, dopo l'ultimo rintocco di campana, quando i Vespri furono conclusi e tutti gli altri monaci rinchiusi nelle loro celle a pregare per sfuggire alle tentazioni più miserevole della condizione umana, lasciai il convento e mi addentrai nel bosco.
Tutto era sinistro, cupo, maledetto intorno a me e forse io stesso ne facevo ormai parte.
E quando finalmente entrai in quella tomba mi sentii preso da una sorta di incantesimo.
Umidità ed oscurità regnavano in quell'Ade di ombre e silenzio.
Non vi erano lapidi, nè nomi incisi sul terreno.
Solo loculi ora divenuti tane di ratti e di serpi.
E dopo un attimo di irrazionale euforia provai l'intenso impulso di chinarmi e giacere in uno di quei loculi.
Uscì da quella tomba solo alla grigia ed impalpabile luce dell'alba.
Tornato al convento, i miei mattinieri e penitenti confratelli mi gettavano strane occhiate, stupiti e forse indignati di scorgere i segni delle gozzoviglie notturne su uno che conoscevano sobrio, solitario e taciturno.
Da quel momento frequentai la tomba ogni Sabato notte, diventando testimone di cose che non potevo svelare.
La mia dizione fu il primo aspetto di me che mutò.
Tutti i miei confratelli notarono subito la parlata arcaica e complessa che avevo acquisito.
La mia lingua, prima incerta, sconcia e silenziosa ora motteggiava con l'arguzia di un Petronio, la sicurezza di un Demostene ed il sarcasmo cinico di un Erasmo.
Mostravo un'erudizione straordinaria e del tutto aliena alle conoscenze scolastiche dei chierici del tempo.
E fu all'incirca allo stesso tempo che maturo' in me, quasi inatteso ed inspiegabile, l'attuale disprezzo e l'istintiva insofferenza verso ogni forma di religione, soprattutto il Cattolicesimo"

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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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