Discussione: Ardea de'Taddei
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Vecchio 02-07-2010, 02.28.00   #187
Guisgard
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ARDEA DE' TADDEI

“Era sul punto di slanciarsi all’assalto:
la terra gli bloccò i piedi e rimase masso
immobile con l’apetto di un uomo armato.”
(Ovidio, Metamorfosi, V)


Biago lo fissò stupito e turbato.
“Credi dunque” chiese “che ci sia qualcuno dietro quella belva ed alle stragi che ha causato?”
“Mi sembra ovvio.” Rispose Ardea. “Un conto è se quella bestia fosse giunta davvero dall’Inferno... tutt’altra cosa invece è se, come sembra, essa appartenga al nostro mondo.”
Restò un attimo in silenzio e poi aggiunse:
“Recati nelle scuderie e senza farti scoprire da alcuno prepara i nostri cavalli.”
“Cosa vuoi fare a quest’ora della notte?” Chiese turbato Biago.
“Andare a caccia di quella belva!” Rispose Ardea.
E infatti, poco dopo, i due uscirono in gran segreto dal palazzo e si recarono nella brughiera.
L’assoluta ed angosciante oscurità della notte era squarciata dalla luminosità della Luna, quando l’argenteo astro notturno riusciva a liberarsi dal giogo che le sottili e spettrali nuvole gli avvolgevano intorno.
Sinistri versi di sconosciuti animali si udivano di tanto in tanto echeggiare in quel desolato ambiente, come se la brughiera volesse dar segni di se ai due cacciatori.
“Dobbiamo cercare le tracce di quel molosso.” Disse Ardea.
“Che tracce?” Chiese Biago.
“Il sangue causatogli dalla ferita.”
“Ma è notte!” Ribatté Biago. “Non riusciremo mai a vederle!”
“Dobbiamo riuscirci, invece!” Esclamò Ardea. “All’alba potremmo non trovarle più!”
Così i due, ripercorrendo la via a ritroso fatta nel pomeriggio, si misero in cerca delle possibili tracce lasciate dal misterioso molosso.
E proprio quando questo compito sembrava impossibile, riuscirono a riconoscere del sangue su un tronco di albero.
“Sono sicuro” disse Ardea “che questo sangue appartiene al molosso.”
“Come fai ad esserne certo?” Chiese Biago.
“Guarda qui…” rispose Ardea mostrandogli qualcosa.
Erano dei peli luminosissimi.
“Sono di quella belva, guarda.” Disse Ardea.
“E sembra siano stati tinti…” mormorò Biago.
“Tinti?” Ripeté Ardea.
“Si, tinti.” Rispose Biago. “E sembra una qualche tintura fosforescente.”
“Tutto ciò è sempre più misterioso.” Disse Ardea. “Seguiamo questa traccia di sangue…”
E, seguita la misteriosa traccia, i due giunsero, poco dopo, nei pressi di una grotta apparentemente abbandonata.
“C’è altro sangue qui!” Indicò Ardea. “Proprio su queste rocce!”
I due si fissarono per un attimo.
Biago aveva un’espressione di timore impressa sul suo volto.
“Sembra che le tracce” disse Ardea “conducano proprio nella caverna…”
L’ingresso di quel luogo, avvolto nell’oscurità della notte e dall’umida nebbia, sembrava assumere l’immagine e la forma della porta dell’Inferno.
Tutto attorno era immobile e silenzioso.
La brughiera pareva essersi zittita, forse per la paura che dominava tutt’intorno.
Ardea fissò Biago e con un cenno lo invitò a seguirlo.
I due così, illuminati solo dalla fioca luce della Luna semiavvolta da alte ed eteree nuvole, entrarono in quell’inquietante luogo.
Man mano che penetravano nella caverna l’oscurità avvolgeva ogni cosa, compresi loro stessi.
La strada, in seno a quel luogo, si faceva sempre più angusta e le pareti si restringevano come un imbuto.
I due non emisero fiato e continuarono a calarsi in quell’oscura discesa negli inferi.
Ad un tratto, quando erano ormai nel buio più totale, videro un leggero alone in lontananza.
Proseguirono allora, avendo come meta quel tenue chiarore.
E più si avvicinavano, più il chiarore aumentava, fino a quando riuscirono a riconoscere una piccola apertura nella parete della caverna.
E proprio da li proveniva quella luce.
Accostati allora ai bordi di quella apertura, gettarono lo sguardo al suo interno.
Vi era un’ampia rientranza nella roccia, tanto larga da assomigliare ad una grande sala.
Alle pareti erano accese alcune torce che ben illuminavano l’intero ambiente.
Ovunque erano appese o inchiodate armi di ogni specie; alcune tradizionali e conosciutissime dai due, altre esotiche e dalle forme pittoresche e grottesche.
Inoltre larghe e sfarzose pelli di sconosciuti animali, dai varipionti e rari colori, copriavano larghe fasce di quelle pareti.
In fondo, nell’estremità opposta all’entrata, vi era una grossa gabbia di ferro.
Ed al suo interno vi era un’enorme belva addormentata.
E gli unici suoni che dominavano in quel sinistro ambiente erano quelli provenienti dalle torce, che si consumavano al fuoco e quello provocato dal pesante respiro della belva addormentata, che sembrava l’unico e solo segno di vita in quel luogo che sapeva di morte.


(Continua...)
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Ultima modifica di Guisgard : 02-07-2010 alle ore 02.50.50.
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