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Vecchio 20-06-2016, 11.04.57   #3
Clio
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Clio sarà presto famosoClio sarà presto famoso
Così sì che andava meglio, pensai uscendo dalla bottega della sarta, con un bell'abito addosso e un paio in una borsa, anch'essa nuova.
Fortunatamente quella donna era l'unica ad avermi visto in quelle condizioni, e aveva creduto alle mie bugie, che così naturalmente mi erano uscite di bocca per coprire la verità.
Già, la verità, pensai sospirando.
Ecco, quello era il mio vero problema in quel momento.

Il tramonto sul mare era particolarmente bello, una tavolozza di colori caldi che si scontrava con quelli freddi delle onde, creando un bellissimo contrasto, che però andava ad amalgamarsi.
Fu quella la prima immagine che vidi non appena aprii gli occhi.
Un meraviglioso tramonto.
I miei occhi vagavano all'orizzonte, dapprima affascinati, poi inquieti, poi quasi spaventati.
Era come se mi mancasse qualcosa.
Mi alzai a fatica, rendendomi conto di avere i muscoli indolenziti.
Cominciai allora a guardarmi intorno, spaesata.
Dove diavolo ero finita?
Che posto era quello?
C'era una spada a pochi passi da me, mi alzai, e la raccolsi, con naturalezza, continuando a guardarmi attorno.
La rigiravo tra le mani, mentre il tramonto si faceva sempre più scura.
"Ehi bellezza non ci giocare con quella..." una voce rozza alle mie spalle.
"Potresti farti male..." un'altra voce.
Poi risate, e passi che si avvicinavano, potevo percepirli nonostante le onde del mare e il terreno leggero.
Si avvicinavano.
Continuavano a parlare, con fare lascivo, ma io smisi di ascoltare le loro parole.
Erano vicini, sempre più vicini.
Poi, un tonfo.
Un altro.
Li guardai cadere a terra e annegare nel loro sangue.
La spada insanguinata nella mia mano.
Mi resi conto di essere un semplice spettatore delle mie azioni.
Erano bastate due mosse per infilare la spada nelle loro gole.
Era stato facile, tremendamente facile.
Con una tranquillità che mi spaventò mi inginocchiai tra i due corpi senza vita, e iniziai a spogliarli.
I pantaloni di uno, la giacca dell'altro.
Non che fossero ben vestiti, ma se fossi andata in giro con quello che restava di un vestito, strappato e sconveniente avrei fatto altri incontri del genere.
Eppure la cosa mi inquietava, quella naturalezza con cui mi muovevo, come se il mio corpo sapesse esattamente cosa fare.
Già, ero io che non sapevo, non sapevo nulla.
L'unica cosa che mi era ormai chiara, era che quella spada mi apparteneva.
In pochi istanti ero pronta, vestita da uomo, con un bel gruzzolo di taddei sonanti trovati nelle loro bisacce.
Mi sarebbero serviti, eccome se mi sarebbero serviti.
Avevo mille domande, ma ora sapevo di dover andar via da lì, cercare una città, un paese, qualunque agglomerato abitato di uomini, trovare riparo, cibo, vestiti.
Poi, soltanto poi avrei affrontato la questione più importante.


E così avevo fatto.
Avevo camminato per tutta la notte, stupendomi di non essere spaventata dal fatto di essere sola di notte, e di non essere affatto contrita per quello che avevo fatto.
Avevo ucciso due uomini come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Meglio loro che te..
Una voce emerse dal profondo del mio animo.
Allora era rimasto qualcosa, avrei voluto fermarla e farle mille domande.
Ma dopo quella breve, sprezzante considerazione era tornata nell'oscurità.
Così mi sentivo, avvolta di oscurità.
Alle prime luci dell'alba, ecco spuntare una città.
Bellissima e austera, l'avevo osservata svegliarsi, stando attenta a non dare nell'occhio, con i capelli nascosti, lo sguardo basso che sembrava noncurante mentre invece osservava tutto.
Finchè non avevo trovato quella bottega con dei bellissimi abiti in vetrina.
Un problema risolto, ora me ne restavano mille altri, pensai, guardandomi attorno mentre cominciavo a camminare per la città.
Dove diavolo ero?
No, non era questo il problema più grave, bastava chiedere a un passante.
Che ci facevo lì? Come ci ero arrivata?
No, nemmeno questi erano quesiti fondamentali, paradossalmente, potevano aspettare.
Sospirai, quasi temendo quell'interrogativo, quello che avevo cercato di ignorare fino a quel momento.
Chi diavolo ero?
Ecco, pensai con un altro sospiro, questo era il dramma.
C'era un vuoto immenso dentro di me, come se la mia anima fosse una bambina capricciosa che si era chiusa in camera e non aveva nessuna intenzione di uscire.
Mi sentivo spaesata, incerta, titubante.
Possibile che sapessi riconoscere facilmente un tessuto pregiato, ma non ricordassi il mio nome?
Il mio nome.
Mi resi conto di non saperlo, così come non sapevo niente di me.
Ma quello fu ciò che più mi sconvolse.
Era come se non esistessi, ero un fantasma, un fantasma senza nome in una città sconosciuta.
Una cosa alla volta, pensai, guardandomi attorno.
Cominciamo a capire dove diavolo sei finita, dove puoi mangiare, dove puoi dormire.
Cose pratiche, semplici, che potevo affrontare tranquillamente.
Così, iniziai a camminare per le vie cittadine, mentre la città ormai si era svegliata, viva e rumorosa più che mai.
Un ragazzo annunciava il titolo del giornale, e mi sembrò un ottimo punto di partenza, così lo comprai e mi diressi verso una caffetteria lì vicino, con i tavolini intarsiati e delle bellissime vetrate che davano sulla piazza.
Non sapevo come spiegarlo, ma sapevo di avere un disperato bisogno di caffè, e di qualcosa di dolce.
Così ordinai, e iniziai a leggere il giornale.

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