Quell'orribile donna strafatta, che continuava a parlare nella sua incomprensibile lingua, mi sputò in faccia spalmandomi la sua fetida e viscida saliva sul viso. Lo schifo di quella situazione, unito al terrore, fu troppo per me e così, non potendomi muovere perché legata, mi sfogai nell'unico modo che potevo: piansi, piansi e ancora piansi, fino a che le lacrime mi bruciarono gli occhi.
Dopo poco, fui portata verso la gigantesca palizzata davanti alla quale poche ore prima mi ero fatta fotografare sorridente. In quella stessa palizzata, decine di selvaggi aprirono un'enorme porta tirandola con lunghe e forti corde. E oltre quella porta mi condussero gli indigeni, sempre legata, salvo poi andarsene e richiudersela alle spalle, lasciandomi sola in quell'angolo dimenticato da Dio e dagli uomini. In preda alla disperazione, cominciai a gridare sperando che qualcuno potesse sentirmi.
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"Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana [...] Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato."
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