La foresta tropicale, imponente e sterminata, primordiale e pulsante di infinite forme di vita volanti, striscianti o celate negli abissi più profondi del suo ventre sconosciuto e selvaggio era ora attraversata e scossa da un frastuono orribile di grida, di gemiti, canti, fischi e versi incomprensibili, capaci di far gelare il sangue.
Alberi secolari dai rami avvolgenti carichi di foglie ed animali, insetti e frutti dal veleno immediato e mortale, correvano come colonne naturali ed invalicabili, tra l'imponente massa di acque divise in una moltitudine di fiumiciattoli e canali che frastagliavano in tutte le direzioni possibili l'immensa estensione di terre.
E poi sterminate piantagioni di bambù spinosi, stretti gli uni contro gli altri, le cui alte cime stavano immobili per l'assenza totale del vento, come se quel luogo fosse incantato da chissà quale maleficio.
Tutt'intorno l'aria era appestata dalle esalazioni insopportabili di centinaia di corpi umani che imputridivano nelle torbide ed afose acque dei canali.
Gaynor riprese conoscenza in quella Babele di suoni ed odori, tra decine e decine di selvaggi che danzavano ed urlavano con i loro corpi tatuati e martoriati da spilli ed ossi dall'alto e sconosciuto valore rituale.
La bellissima diva stava legata su una letto di rami e foglie strette fra loro, come quegli indigeni volessero offrirla in sacrificio al blasfemo mistero di quel luogo.
Quattro robusti selvaggi presero la primitiva branda su cui era immobilizzata e la issarono sulle loro spalle muscolose e curve, portandola poi in una sorta di processione, fino a giungere davanti ad una donna nera che inalava i fumi allucinogeni di qualche erba sconosciuta.