Dentro di me ci fu una sorta di moto trionfante quando, dopo una noiosissima mattina senza parlare, mio zio cedette.
Però io dovevo mantenere la mia posizione, non potevo illudermi che quel passo significava già la mia vittoria, così tenendo un tono duro e distaccato,
<< Allora non abbiamo nulla di cui parlare...>> tagliai corto riprendendo con il lavoro.
Perché era proprio da ieri sera, da quello che era accaduto, dal suo "no", che il mio umore si era guastato.
Però era difficile rimanere imbronciata con l'uomo che consideravo ancora più di un padre, che mi aveva presa con se quando non avevo nessuno e così alla fine sbottai, svuotai il sacco parlando a ruota, lasciando che capisse che cosa avevo per la testa.
<< Non sono più una bambina, sono una donna e vorrei che tu mi considerassi come tale... Sarebbe già un bel passo avanti. Quando alla questione di ieri sera, perché si, si tratta di quello... Mi sembra che tu non ti fidi di me, che mi vedi come una ragazzina sciocca e sognante, come se ci fosse del male a sognare. Io ho delle aspirazioni zio, non voglio restare qui tutta la vita e... Beh ecco, io i ragazzi li guardo, alcuni... ma quelli che ci sono qui non sono molto interessanti... >>
E rimasi così, senza espressione, in attesa della sua reazione, immaginando la sua reazione e presagendo che quel momento, quel mio confessare tutto, quel mio parlare, avrebbe di certo cambiato qualcosa nelle dinamiche di casa.