Dacey e Pepino, sul calesse dell'ometto, partirono verso la brughiera.
Uscirono dalla città ed imboccarono uno stretto sentiero i cui margini erano coperti da sterpi e rovi.
Man mano che si avvicinavano al limite della campagna vedevano sempre più crescere l'inquieto e cupo profilo della brughiera, con i suoi austeri alberi che simili ad enigmatiche figure lanciavano spettrali rami in ogni direzione, cespugli di erbe selvatiche le cui proprietà erano note un tempo ad un antico sapere fatto di magia e mistero, il gorgoglio mesto di un canale dalle acque verdi e melmose, fiori spontanei nei cui petali celavano segreti di perduti veleni e le alte montagne tutt'intorno, dall'apparenza di giganti addormentati da chissà quale primordiale incanto.
Tutto in quel luogo sembrava assopito da una qualche maledizione.
Qualcosa di sinistro ed occulto pareva aleggiare tra i suoi secolari alberi e gli incolti sentieri di cespugli e pietre.
Il calesse avanzava lento e cigolante, senza che Pepino fosse di molta compagnia a Dacey.
E ad un tratto Zeb, la cavalla dell'ometto, cominciò a tradire nervosismo, quasi paura.
“Ehhh... buona...” disse tirando le redini Pepino.
Continuarono il loro cammino, ma di nuovo, quando i muri di Marchesa delle Rose si intravidero dagli alberi, la cavalla sembrò inquietarsi ancora.
Un attimo dopo l'ometto e Dacey sentirono un calpestio tra la vegetazione.
Come se qualcosa si avvicinasse.
Poi, all'improvviso, udirono un basso e lento ringhio.