Disattivato
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Quelle parole di Kostor mi colpirono nel profondo.
Lui era genuino, chiaro, forse anche troppo, ma l'avevo sempre visto come un pregio.
Come potevo rispondergli?
Cosa potevo rispondergli?
Incrociai le braccia davanti a me, e posai la testa sul tavolo, tra di esse, per un lungo istante.
Sconsolata.
Esausta.
Provata.
Rialzai la testa piano piano, per poi prendere il bicchiere e finirlo tutto d'un fiato.
Una cosa che non facevo mai, considerando quanto amavo il sapore del vino.
Una cosa che non facevo da tempo, per dirla tutta.
Ed era strano che fosse proprio Kostor a farmi quelle domande.
Lui che prima di tutti gli altri mi aveva visto.
Lui che aveva visto il mio sguardo.
Spento, ecco com'era.
"Ricordi il giorno in cui le nostre strade sono incrociate?" con voce lontana, e lo sguardo fisso nel vuoto.
Il giorno in cui la mia vita cambiò per sempre.
Quella fredda sera autunnale non era diversa da tante altre.
Sygma si era appena assopita, e ormai la maggior parte della gente aveva preso posto davanti al camino caldo, o alla tavola familiare.
Le immagini che immaginavo nascoste dietro le finestre illuminate avevano un che di serenità.
Io invece no. La serenità l'avevo dimenticata.
Io ero sola, in quella sera uggiosa, con il cappuccio calato sul viso.
Ed era così che mi sentivo: sola.
Sola e triste, la cosa più preziosa che avevo, l'unica luce che illuminava le mie giornate era in realtà un veleno che mi distruggeva dall'interno.
Un veleno entrato talmente tanto in profondità da lasciarmi l'amara consapevolezza che mi avrebbe accompagnato ogni singolo giorno.
Cominciavo a vedere il risultato di quel veleno, dapprima era stato il sorriso a spegnersi, ora era toccato allo sguardo.
Sarebbe mai finita? Non facevo che chiedermi.
Tornerò mai ad assaporare la pace? La spensieratezza, l'allegria?
E poi montava la rabbia, una parte di me non si rassegnava a vedermi in quello stato.
Perché a me? Perché non ho lasciato lì quei maledetti libri?
Perché non ho fatto un'altra strada quel giorno?
Perché... tutte domande senza risposta, e spesso senza senso compiuto.
Mi resi conto di non sapere bene dove stessi andando, ma la cosa non mi dispiaceva.
Non sapevo dove andare, dopotutto.
La zia era stata chiara, dovevo andarmene, presto sarebbero arrivate le guardie di mio padre a cercarmi, e casa sua era il primo nascondiglio plausibile.
Ma dove potevo andare? Avevo molto denaro, certo, datomi da mia zia, ma che potevo fare?
Mi guardavo attorno, attonita, cercando come una risposta nelle fredde e umide pietre della piazza.
Fu allora che la sentii.
Quelle parole saltarono agilmente tutte le difese e giunsero limpide al mio cervello.
Parole volgari, forti, pronunciate ridendo.
Pronunciate in una lingua dura e inconfondibile... quella parlata a Berig.
Berig era una delle tante città libere del ducato.
Casa.. fu la prima reazione.
Come osa questo? La seconda.
Così mi voltai, livida di rabbia e mossi alcuni passi verso un gruppetto di uomini.
Non avevo mai capito come feci a scoprire immediatamente chi era quello che aveva parlato.
Risposi, con un linguaggio non così tanto colorito, ma sicuramente non da dama di corte.
Risposi nella lingua di Miral.
Mi aveva forse preso per una ragazza sygmese che non avrebbe capito una parola?
Non era così.
E la rabbia che avevo in corpo allora esplose, e colpii al volto l'uomo, che mi guardava esterrefatto.
Il colpo arrivò, considerando che l'altro non se lo sarebbe mai aspettato.
Ma non mi bastò, continuai a colpirlo.
Senza più riuscirci, naturalmente.
Ma quella sensazione mitigò il dolore che mi portò dentro, accese i miei occhi di una luce oscura che era sempre meglio del buio.
Lui sembrava divertito (e poi mi confessò di esserlo davvero) e continuava a combattere, in silenzio, senza usare tutta la sua forza, ma senza risparmiarsi.
Sentivo arrivare i suoi colpi, erano forti, molto più di quelli del maestro, eppure non mi importava, eppure continuavo in quella danza meravigliosa.
Perché quello era, in perfetta sincronia. Gli stessi colpi, le stesse guardie, le stesse tecniche.
Senza quasi che me ne accorgessi.
Io, ma qualcun altro se ne accorse eccome.
"Dove hai imparato a combattere così?" la voce imperiosa di Axel irruppe nella mia mentre, sovrastando ogni emozione conosciuta.
Kostor si fermò e mi squadrò divertito.
Io, incredula di quanto avevo fatto, mi voltai, un po' sanguinante verso il nuovo arrivato.
"Il mio maestro è Vortex..." dissi, con una punta d'orgoglio e lo sguardo fiero.
Il sorriso del mercenario si illuminò al pensiero dell'amico che aveva cambiato vita, ma che nel cuore sarebbe sempre rimasto un Montanaro.
Mi tese la mano.
"Ci sai fare, ragazza..." con gli occhi penentranti fissi nei miei "Perché non vieni a bere con noi?" sorridendo.
Io lo osservai titubante, ma poi la pacca sulla spalla e il sorriso colmo di rispetto di Kostor vinsero ogni timore.
Erano stati proprio i Montanari a curare il mio sguardo, e il mio cuore, ridando luce al primo e aiutandomi a proteggere il secondo.
Con loro avevo seppellito quel sentimento che mi divorava l'anima in una cella oscura e nascosta, da dove non potesse più fare male.
Non potevo ucciderlo, per quanto avrei voluto, imprigionarlo era l'unica soluzione.
Eppure ora da quelle buie segrete provenivano urla capaci di spaventare le sentinelle, da far suonare l'allarme in tutto il castello.
E mi sembrava di essere la principessa rinchiusa nella torre. O la duchessa, nel mio caso.
Ma non lo ero più da molto tempo, ormai. Ero solo un mercenario.
Nè cavaliere, né madrina, solo una macchina per uccidere.
E ora non funzionavo nemmeno più tanto bene.
"Qual'è la prima regola di un mercenario?" alzando gli occhi sul mio fratello "Non combattere mai battaglie personali..." sospirai "Ma questa per me lo è...".
Mi versai ancora da bere per evitare di ascoltare quella lacrima che mi solleticava l'occhio e se avesse osato rigarmi la guancia l'avrei infilzata a costo di tagliarmi.
Esitai, per evitare di parlare con voce tremante.
"Conosco Guisgard, ho un conto in sospeso con lui..." dissi, cercando di essere più calma possibile.
"Voglio trovarlo, voglio essere io a trovarlo..." sottolineai "Voglio la mia vendetta, in un modo o nell'altro.." a bassa voce.
"E questo ha offuscato il mio giudizio, credevo fosse lui il misterioso cavaliere, desideravo fosse lui..." a bassa voce "Ho letto gli indizi in funzione di lui, senza essere imparziale... credevo di essermi avvicinata.." scossi la testa e bevvi un sorso di vino "Ma pensando in maniera più razionale potrebbe non essere lui, magari è l'Arciduca in persona.. e la cosa mi fa imbestialire, abbiamo seguito le tracce per niente..." sospirai "Dovrei lasciare il comando ad Elas.." dissi piano "Non sono lucida e non voglio che le mie debolezze mettano a rischio l'intera missione.." distogliendo lo sguardo da Kostor perché non vedesse gli occhi lucidi.
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