Discussione: La Freccia Gigliata
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Vecchio 25-01-2016, 22.35.43   #719
Clio
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Clio sarà presto famosoClio sarà presto famoso
Risi a quelle parole di Kostor.
"Ben detto amico mio.." battendogli una sonora pacca sulla spalla "Te vecchio proprio non ti ci vedo.." scuotendo la testa, divertita.
Così, raggiungemmo i nostri alloggi per prepararci alla serata.
"Fatevi belli.." salutai, prima di entrare nella mia stanza.
Non sottovalutavo mai l'immagine che trasmettevamo agli altri, nobili in primis.
Sapevo bene quanto l'abbigliamento fosse importante per quel genere di persone, ed era poco utile agli affari avere un aspetto trasandato.
Già, lo sapevo bene, pensai con un sorriso lontano mentre osservavo il mio esiguo bagaglio decidendo cosa mettere.
Lo sapevo meglio di ogni altro Montanaro, probabilmente.

"Sei in ritardo!" la voce acuta eppure imperiosa della mia prozia mi scosse dai miei pensieri.
Il mio sguardo perplesso incrociò il suo, per poi spalancarsi.
Me n'ero completamente dimenticata.
"Non vorrai venirci conciata così, vero?" osservando i miei panni sporchi e sudati con cui mi ero appena allenata col mio maestro d'arme.
"No, zia, scusa, sarò pronta in un attimo.." con un sorriso di scuse.
"In un attimo?" guardandomi torva lei "Non ci vuole un attimo per prepararsi ad un evento del genere... non vorrai farmi fare brutta figura?".
Nascosi una risatina divertita a quelle parole, osservando per un momento la donna che mi era davanti.
Da giovane era stata una di quelle meraviglie che capitano raramente sulla terra, di una bellezza da fare invidia ad Afrodite in persona.
E anche ora vaghi rimandi si potevano scorgere sul suo viso, seppur segnato da rughe, il portamento era rimasto sinuoso e fiero, la pelle bianchissima e gli occhietti azzurri e vispi come quelli della mia amata nonna.
Era quella l'eredità di cui andavo più fiera, il segno inconfondibile del sangue di Lortena che mi scorreva nelle vene.
Lì dove il buon vino è quasi una religione, lì dove il sorriso di uomini laboriosi è illuminato dalle montagne innevate.
Lì affondavano le radici della famiglia di mia madre, (con cui per altro lei non sembrava avere niente a che fare), pur essendo a Miral da una generazione conservavano ancora quel sangue nelle vene, e quello spirito nel cuore.
"Devo ricordarti il nostro patto?" guardandomi severa.
Io sorrisi, come potevo dimenticarlo? Al di là che la zia lo tirava fuori ogni due per tre, era molto vantaggioso per me.
Ah, se i miei mi avessero permesso un simile scambio, avrei potuto restare casa.
Ma loro non capivano, per loro ero un incomodo, per quello mi avevano mandato a Sygma dalla zia, ormai vedova.
Per loro sarà stata una punizione, ma per me era stata una manna dal Cielo.
"Naturalmente zia, sarò impeccabile, non temere..." con un sorriso.
Lei sorrise "Mi raccomando, tutti sanno chi sei, dopotutto.. non puoi permetterti di fare brutta figura, o ne risentirebbe l'immagine di tuo padre, e del ducato intero..".
Annuii sorridendo.
Oh, ma come amavo quelle responsabilità che gravavano addosso.
Quel nome ingombrante, che mi seguiva ovunque andassi, che mi imponeva di essere sempre impeccabile.
Anche a Sygma, dove molti a malapena conoscevano Miral.
Ma la zia ci teneva, e io avevo promesso, quindi mi diressi docilmente nei miei alloggi, dove mi aspettavano già due ancelle per aiutarmi.
Dopo il doveroso bagno post allenamento, quando i miei capelli tornarono ad essere profumati di lavanda, osservai l'armadio e tutte le meraviglie che conteneva.
Miral era famosa per le sue preziose sete e per il gusto nel vestire, dal nobiluomo al popolano, si diceva.
E se era vero per gli uomini, lo era ancora di più per le donne, già di per sé vanitose.
Io non ero immune al fascino di quei vestiti, dai tessuti impalpabili, le linee sinuose e dai modelli ricercati.
Quella, dopotutto era un'occasione speciale.
Scelsi così un abito di finissima seta viola, con ricami in bianco e nero, un'ampia scollatura quadrata, le maniche leggere ed eteree, una linea scivolata che si allargava leggermente, donandomi un portamento leggiadro.
Una raffinata cintura sottolineava la vita, ed un piccolo diadema con lo stemma di famiglia impreziosiva i miei capelli.
Il lupo e la vipera erano scolpiti magistralmente tanto che solo un intenditore li avrebbe distinti e riconosciuti come simboli araldici dei Lorendal, signori di Miral.
L'ostentazione non era ben vista nella mia bella città, dove si preferiva di gran lunga un'eleganza discreta.
Osservai allo specchio il risultato di quella preparazione con un sorriso compiaciuto.
Era ora di andare. E tutto sommato non mi dispiaceva così tanto.
Al passaggio di un pensiero impertinente nella mia mente, le mie gote si arrossarono appena per un momento.
Un breve istante, poi un respiro disciplinato lo scacciò rapidamente.
Ero pronta ad andare.


L'immagine che mi rimandava lo specchio ora era molto diversa.
Eppure il mio sorriso era diverso, era un sorriso compiaciuto e fiero.
Quello era il mio vero riflesso, quella ero davvero io.
Come quel giorno lontano, restai ad osservare il risultato delle mie scelte allo specchio.
I Montanari si vestivano prevalentemente di nero, e la cosa non mi dispiaceva affatto, dato che era un colore che adoravo, e faceva risaltare la mia pelle che continuavo a mantenere chiarissima.
Forse avrei dovuto lasciare che il sole la scurisse, e magari tingere i capelli in modo che Lila scomparisse.
Ma sarebbe stato come privarmi del sangue che mi scorre nelle vene.
Alla fine non era servito, erano passati cinque anni ormai.
E anche se un tempo tutti conoscevano Lilian de Lorendal, ormai nessuno avrebbe ricordato più il suo nome, tantomeno il suo viso.
Così come nessuno sapeva che fine avesse fatto.
Ormai l'avranno data per morta, e in un certo senso, lo era davvero.
Guardai nello specchio alla ricerca forse di quella ragazza, ma non la vidi.
Un corpetto nero che non aveva niente da invidiare a quello delle dame più eleganti, stretti pantaloni, neri anch'essi, come gli alti stivali.
Una cintura metallica reggeva il fodero della formidabile Damasgrada.
Non mi armai più di tanto, considerando che doveva essere una semplice cena.
Presi una giacca da indossare sopra il corpetto. La indossavo in situazione come quelle perché non era comodissima per combattere.
Sorrisi.
Ecco, quello era il mio riflesso.
Quella ero io, Clio.
E non arrossiva così facilmente, pensai con un sorriso divertito.
Sentii del vociare, e mi voltai per un momento verso la porta: probabilmente erano già pronti.
Raggiunsi gli altri, e ci dirigemmo verso il grande salone.

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