Capitolo VII: Il magnifico avventuriero senza nome
“Ogni avidità è lontana da me: tuttavia, ardo dal desiderio di vedere il fiore azzurro.”
(Novalis, Enrico di Ofterdingen)
Il Monte di San Michele.
Nessun altro luogo nel ducato di Capomazda è ritenuto più sacro e mistico.
Chi conosce la leggenda di Ardea de'Taddei sa bene che in cima a questa santa montagna, sotto la chiesa dedicata all'Arcangelo, si trova una grotta dalle fattezze divine, conosciuta come La Cappella dell'Apparizione.
Ma il monte segna anche il passo oltre le porte del ducato, in cui si estendono grandi e percorse strade che corrono fin verso i confini più estremi del regno di Afragolignone, dove sorgono città antiche ed importanti, come Sant'Agata di Gotya, Tylesia, Monsarchionne, Faicus e secondo qualcuno anche la leggendaria ed indicibile Gioia Antiqua.
Il carro della maschera di ferro e di Tessa prese il sentiero che dalle pendici portava fino in cima al monte quando ormai era notte e vi giunse solo con l'albeggiare.
“Si, forse non siamo poi tanto diversi...” disse l'ex galeotto alla ragazza “... entrambi cerchiamo qualcosa e sebbene le nostre ricerche mirino a cose differenti, infondo tutti e due ambiamo a ritrovare noi stessi...” sorrise “... vorrei avere il vostro stesso ottimismo circa la possibilità di liberarmi di questa maschera... spero dunque che abbiate ragione voi... ma comunque andrà qui, vi prometto che con o senza maschera io vi aiuterò a scoprire qualcosa sulla vostra famiglia... vi sono debitore e se ora vago libero è grazie a voi.”
Da lassù più si faceva chiaro, più apparivano distinte quelle regioni sconosciute ai due.
E quando arrivarono in cima videro finalmente quel paesaggio, fino a quel momento abbandonato nelle tenebre notturne, illuminarsi improvvisamente al Sole nascente, dissolvendo come fumo le ombre che fino ad allora lo avevano percorso e coperto.
Agli occhi dei due viaggiatori apparve così la chiesa di San Michele.
Era una costruzione non troppo grande, di gusto romanico, con uno cortile che precedeva il porticato e l'ingresso ad arco su colonne circolari.
Un alto campanile affiancava la facciata e all'interno, nell'abside che terminava l'unica navata, candele accese ardevano davanti al Crocifisso sull'altare e sui lati, dove si trovavano la statua della Vergine col Bambino a sinistra e quella dell'Arcangelo Michele a destra.
Il prigioniero entrò e fece cenno a Tessa di seguirlo.
Si segnò con l'Acqua Santa, per poi inginocchiarsi un attimo davanti all'altare.
Accese allora due candele davanti alla statua dell'Arcangelo, una per sé ed un'altra la diede a Tessa affinchè la ponesse tra le altre già accese.
E in quell'istante la ragazza si accorse di qualcosa.
Di un dipinto che lei aveva già visto.
Raffigurava una donna.
E non una donna qualunque.
Era infatti Gaya, principessa di Sygma, moglie di Ardeliano e Granduchessa di Capomazda.
All'improvviso nella navata entrò un sacerdote.
“Perdonatemi...” avvicinandosi a lui la maschera di ferro “... abbiamo udito che su questo monte dimora un anacoreta che in passato fu un maniscalco.”
“Si...” annuì il religioso “... vive nei paraggi credo... non ho mai veduto il suo eremo e le uniche volte che l'ho incontrato è stato quando egli veniva qui in chiesa per pregare...”
Ed uscì.
Il prigioniero allora raggiunse la soglia della chiesa e restò a fissare fuori, quasi attendesse un cenno.
Fu allora che vide qualcosa.
Una gabbianella di colore blu che stava immobile su un Crocifisso in legno conficcato tra i cespugli.
L'uccello restò a fissare l'uomo mascherato e poi si alzò in volo.
Un attimo dopo planò e cominciò a svolazzare in cerchio davanti alla chiesa.
L'ex galeotto, incuriosito, fece un passo verso la gabbianella e quella prese a volare verso degli alberi.
“Che strano...” mormorò il prigioniero “... sembra quasi che tu voglia indicarmi qualcosa...” fissando l'uccello.
Ed in quel momento si accorse che accanto all'albero su cui si era posata la gabbianella vi era un sentiero semicoperto dalle piante.
“Presto, Tessa...” l'uomo alla giovane donna “... venite, presto...”
E con lei imboccò il sentiero sotto lo sguardo della gabbianella blu.
E alla fine del sentiero i due videro una piccola grotta, davanti alla quale, quasi come segno, pendeva un ramo di olive selvatiche carico di foglie che si agitava a causa del forte vento che soffiava ora sul monte.