Capitolo III: Il prigioniero ed il pastore
“Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire.
Tutto il giorno ti chiamo, Signore, verso di te protendo le mie mani.”
(Salmo 88, Preghiera dal profondo dell'angoscia)
Il curato Pipino e Tessa lasciarono la casa del religioso ed a bordo del suo carretto si diressero verso la prigione.
“L'uomo che ha chiesto degli annali” disse il curato “è messer Pirros, il responsabile del carcere delle Cinque Vie. Molto probabilmente le autorità vogliono acquistare qualcuno dei terreni che circondano quelle prigioni, forse per allargarle o costruire altre strutture adiacenti. O magari solo per legittimare il possesso di quei territori. E consultare annali così antichi può essere utile per conoscere non solo la storia giuridica ed amministrativa di questi luoghi, ma anche per scoprire la possibile esistenza di atti e donazioni che li riguardano.” Spiegò il curato.
Intanto il carretto procedeva nella brughiera.
Dopo un po', il curato e Tessa giunsero in un irregolare pianoro, dove la luce del pomeriggio era scesa sulle radure di quei luoghi selvaggi di querce e di pini, le cui fronde verdi e i tronchi ammantati di agrifogli sembravano screziarsi tra le ombre che andavano allungandosi e i raggi ormai obliqui del Sole.
E qui apparve loro un'antica ed austera costruzione, a metà tra una torre ed una fortezza, le cui vecchie murature, consumate dal Tempo e dalle intemperie, si ergevano su una formazione di granito scuro, lasciata lì da tempi remoti come i resti di una primordiale battaglia tra titani e dei di un'età dimenticata.
Il carretto vi si avvicinò, rallentando vistosamente fino a quando dalla torre si udì il suono di un corno.
Era il segnale che potevano entrare.
Un'atmosfera di cupa disperazione e rassegnazione dominava quel luogo, gettando nell'animo di Tessa un senso di irrazionale ed opprimente ossessione.
I portoni di quella prigione furono aperti ed il carretto entrò fra le sue mute mura.
Ed appena dentro, alcuni soldati si avvicinarono al carro, facendo scendere il curato e la studiosa.
Poi vennero condotti all'interno di quello che era l'edificio principale di quel complesso, trovando ad attenderli un soldato.
Questi li portò in una piccola stanza.
“Messer Pirros arriverà presto.” Disse, per poi uscire.
Era una cella umida, adibita da poco a vestibolo.
La poca luce presente penetrava da alcune alte feritoie, mentre ceppi e catene arrugginite, destinate a precedenti prigionieri, erano appese ai muri di pietra.
E sul soffitto di quel lugubre locale era disposta una graticola, sopra la quale erano posate di traverso alcune sbarre di ferro corrose dalla ruggine.
E quasi istintivamente, ritrovandosi in quella stanza, il curato Pipino si segnò tre volte, come a voler scacciare l'ombra del male che sembrava annidarsi fra quelle pietre.
Ma nel guardarsi intorno Tessa notò qualcosa.
Come dei segni incisi con qualche oggetto appuntito nella pietra.
E nell'osservare meglio quei segni, la ragazza si accorse che in realtà erano delle lettere.
Lettere di una frase che così diceva:
“Prigioniero 6913, dalla maschera di ferro”