“D'improvviso si sentì chiamare da una voce lontana, e scorse davanti a sé una sorta di vapore che, per quanto fosse aereo e traslucido, impediva al cavallo di passare.”
(I romanzi della Tavola Rotonda, La prigione d'aria)
Vista la caverna, Ardea scese da Arante e tirandolo per le redini si avvicinò all'ingresso di quell'antro, seguito qualche passo più indietro da Biago.
Era un primordiale ed angosciante foro scavato dal tempo e dalle piogge in quell'angolo di montagna.
L'erba pareva non crescere attorno a quell'infausto ingresso, lasciando sulle pietre una patina di giallastra apatia e rassegnazione.
Un'apertura fra quelle rocce usata sin da tempi remoti come la tane di serpi, di ratti e di pipestrelli.
Un ritrovo per bestie immonde e maledette, una soglia che sembrava voler dividere e distinguere la luce dall'oscurità.
E quando furono sulla soglia di quella grotta, qualcosa nel buio che in essa dimorava li colpì.
Due occhi, simili a fessure bianche, si aprirono in quelle tenebre.
“Perchè” disse all'improvviso una voce di donna “giungete in questo luogo tetro e solitario? Io stessa me ne affliggo e vorrei andare altrove.”
“Presto” rispose Ardea “ti cacceremo da qui e potrai tornare nelle cloache infernali che ti hanno vomitato.”
“E con quale potere farete ciò?” Chiese la donna.
“Con l'autorità concessaci dal Duca Taddeo, campione della Chiesa e servo dell'Altissimo.” Fissando i suoi occhi Ardea.
“Perchè allora il duca non è qui” domandò la donna “e manda invece un figlio rinnegato ed un maniscalco a compiere il suo dovere di Campione della Fede?”
Ardea non rispose nulla.
“Forse perchè è morto?” Continuò la donna. “Ucciso dal suo stesso figlio?”
Arante ed il cavallo di Biago, percependo l'alone oscuro di quel luogo, cominciarono a tradire nervosismo.
Iniziarono a nitrire, a scalciare.
Ardea allora affidò le redini del suo destriero a Biago ed avanzò poi verso l'antro.
E quando nel buio apparve una sagoma indefinita, il cavaliere si arrestò di colpo.
“Avvicinati, cavaliere...” mormorò la donna “... sei così credente ed hai paura di una donna? Chi ha Fede non dovrebbe temere nulla, o sbaglio?” Rise appena. “Ma tu forse non hai abbastanza Fede.”
“Poni il tuo arcano.” Riprendendo ad avanzare verso di lei Ardea.
Ma in quel momento la sagoma della Vammana divenne chiara.
Ed uno spaventoso essere bestiale apparve al cavaliere.
Un mostro dal corpo di felino, la coda di lontra e la testa di donna si mostrò all'eroe capostipite di tutti i Taddei.
I suoi occhi erano di fuoco, la bocca bavosa, i capelli lunghi e biondi pieni di pidocchi, pulci e zecche, con la pelle del viso squamosa e folta peluria che usciva dalle orecchie e dal naso.
E quell'orribile spettacolo nauseò il cavaliere, diffondendo nel suo animo un senso di cupa disperazione.
“Ecco il tuo arcano, cavaliere...” con una voce di colpo mutata in rauca e animalesca, quasi echeggiante tra le pietre consumate dai delitti e dai peccati di quell'essere “... ma sappi che se fallirai io avrò te, il tuo scudiero ed i vostri cavalli...” rise in modo grottesco, per poi recitare l'arcano:
“Riposano in pace.”