Altea quasi subito chiuse gli occhi e si addormentò.
La notte trascorse tutto sommato tranquilla.
Pochi e confusi sogni attraversarono il riposo della pupilla del duca, senza però riuscire ad intaccare l'umore al suo risveglio.
Qualche ora dopo l'alba Altea si svegliò e già la vivace mattinata al palazzo investì la sua camera, con voci, risate, suoni e rumori vari provenienti dal grande cortile.
Ma la serena notte trascorsa da lei non fu un dono concesso a tutti.
Dominus infatti, svegliato da un enigmatico sogno nel cuore della notte, incapace poi di calmarsi, prese una lampada e lasciò la Domus Ardeina.
Attraversò i lunghi corridoi, ora dimora di una vaga penombra e scanditi dai ritratti dei suoi antenati, fino a giungere in un piccolo androne.
Da esso si poteva poi raggiungere l'altra parte del palazzo, quella dedicata alle udienze e agli incontri ufficiali che l'Arciduca concedeva.
Come un'ombra, o forse più simile ad uno spettro, Dominus scivolò tra quegli ambienti senza essere visto da nessuno.
Neanche dalle guardie di palazzo.
Come se un oscuro incanto lo proteggesse.
Fino a quando scese nei piani bassi del palazzo, tra le cantine e le segrete.
Percorse così un piccolo corridoio umido, trovandosi infine a scendere ancora più giù.
Infatti una consumata rampa di scalini condusse il Taddeide verso un piccolo passaggio che sbucò davanti ad una vecchia e consumata porta di legno.
Dominus la spinse ed entrò nella fetida stanza.
Qui trovò la vecchia megera intenta a sfogliare un vecchio libro di magia.
“Ho fatto un sogno...” disse il duca alla vecchia “... un sogno inquieto ed indecifrabile per me...”
“Lo so...” annuì la megera, per poi fare cenno al duca di sedersi accanto a lei.