Era il mattino di un giorno d'Agosto e già si presagivano ormai le fattezze ed i colori di una bella e luminosa giornata d'Estate, col Sole cocente, il cielo terso, azzurrissimo e appena velato da alte e fiabesche nuvole arenate lungo l'orizzonte sterminato.
Sull'isolotto di Nisidas tutto era pronto ed anche Clio e Yanos l'avevano compreso.
Il luogo infatti ben si prestava, con il suo antico borgo accovacciato e raccolto ai piedi di un irto colle, reso arido e brullo dal Sole e dallo scirocco, sulla sommità del quale sorgeva ciò che restava di una vecchia torre di avvistamento, al genere di spettacolo che le autorità stavano per mettere in scena.
Il lento rullo dei tamburi sembrava quasi scandire un sinistro conto alla rovescia, dopo il quale da quei cappi sarebbero penzolati i corpi dei tre rei.
La popolazione dell'isola, pochi decine di pescatori ed artigiani, era stata chiamata ad assistere a quell'esecuzione, come sempre accadeva quando la giustizia doveva mostrare il suo corso come monito al popolo.
Sul palco in legno montato per l'occasione furono condotti i tre ritenuti rei: due uomini ed un ragazzino.
Il terzo, poco più di un bambino, fu fatto salire su uno sgabello e poi a tutti e tre fu legata la corda intorno al collo.
Davanti a quel rude e rozzo altare sacrificale prese ad avanzare un ufficiale, la cui elegante divisa bianca e blu, il suo portamento fiero e l'aspetto gradevole sembravano quasi stonare in quello scenario sporco e maleodorante, così intriso di una profonda e rassegnata disperazione.
Il militare guardò i tre condannati con una freddezza che mal si legava ai piacevoli tratti del suo volto.
“Capitano Velv...” avvicinandosi a lui un sottufficiale “... siamo pronti.”
“Bene.” Annuì il militare. “Precediamo.” Ordinò.
Un nuovo rullo di tamburi e un soldato salì sul palco, avvicinandosi ai tre rei.
“Qualcuno vuol confessare la propria colpa” disse “e sperare dell'indulgenza del Cielo?”
Nessuno dei tre rispose.
Il soldato allora fece un passo verso il ragazzino.
“Neanche tu vuoi confessare, figliolo?”
Il piccolo scosse il capo senza alzare da terra gli occhi umidi di lacrime.
Ma un attimo dopo qualcosa attirò la sua attenzione.
A pochi passi da lui, infatti, tra i pali che sorreggevano il palco, vide posarsi una gabbianella blu.
E non era la prima volta che la vedeva.
Il mare era di un intenso blu, screziato solo da spumose onde che andavano ad infrangersi contro gli scogli che racchiudevano l'ingresso al piccolo molo.
Nell'aria vi era un intenso profumo di salsedine ed il ragazzino se ne tornava mesto verso casa senza essere riuscito a pescare nulla.
“Ti è andata male, vero?” All'improvviso una voce.
Il ragazzino si voltò e vide qualcuno steso sul parapetto, con un cappello sul viso per ripararsi dal Sole.
“Pescare” continuò quell'uomo steso “richiede molta pazienza e spesso neanche ripaga l'impegno profuso. Fossi in te mi dedicherei a qualcosa di più produttivo. Hai forse visto qualche nave battente la bandiera dell'ammiragliato, ragazzo?”
“Si, signore.” Annuì il piccolo.
“Rammenti il loro numero?”
“Sei, signore.” Rispose il ragazzo. “Quattro fregate e due vascelli.”
“Mh...” sollevando per un momento il cappello dal viso quell'uomo “... sei un tipo attento, vedo... e qualcuna di quelle navi si è forse fermata qui?”
“Solo due fregate, signore.” Lesto il ragazzo. “Una poi è ripartita dopo un'ora circa, mentre l'altra è rimasta ormeggiata nel porto quasi per tre ore.”
“Sei un buon osservatore, ragazzo.” Fissandolo l'uomo per un istante con i suoi occhi azzurri. “Fai bene a guardarti intorno, si evitano molti guai così.” E gli lanciò un Taddeo.
“Grazie, signore!” Prendendolo al volo il ragazzo. “Ma chi siete voi? Perchè vi interessate di navi militari?”
“Magari sono un soldato.”
“No...” guardandolo il ragazzo “... non avete l'uniforme e neanche l'aria...”
“Allora forse sono solo uno di quei modellisti” tornando a mettersi il cappello sul volto l'uomo “che amano costruire velieri in scala per poi metterli in una bottiglia. Per questo dunque sono così attratto dalle navi.”
“Secondo me invece siete una specie di avventuriero.” Sorridendo il ragazzo. “Forse un contrabbandiere o un marinaio. Io amo i pirati e sogno di arruolarmi in qualche ciurma di corsari, sapete?”
“E se sono davvero ciò che dici” mormorò l'uomo steso sul parapetto “cosa ci faccio ad oziare qui?”
“Beh, forse aspettate la vostra bella...” fece il ragazzino “... magari si trova su una di quelle navi... la state aspettando e sognate di fuggire insieme... chissà, e sposarvi proprio stanotte nella chiesetta di Santa Maria del Faro.”
L'uomo steso sul parapetto rise piano.
“Se davvero sarete impegnato in una fuga d'amore” aggiunse il piccolo “allora mi servirà questo...” togliendosi il ciondolo che portava al collo “... questo è il mio portafortuna... c'è una ragazza, signore... si chiama Carmen ed io le ho chiesto di sposarmi...” rise “... oh, non adesso... quando un giorno diventerò ricco... e la porterò via da qui... e quel giorno, quando le chiesi di sposarmi, io indossavo questo ciondolo... e lei mi disse di si...”
“Beh...” prendendo il ciondolo l'uomo “... se davvero questo è un portafortuna d'amore allora vale molto più di un Taddeo... ti sono dunque debitore...” sorridendo “... vorrà dire che quando avrai bisogno di toglierò dai guai.”
“E come farete a saperlo?” Chiese il ragazzino.
L'uomo indicò una gabbianella blu che svolazzava sul molo.
“Quando vedrai quella gabbianella” svelò “allora saprai che io non sarò troppo lontano da te...”
Vedendo la gabbianella e rammentando quell'episodio, il ragazzino sentì una stretta al cuore ed una cieca disperazione.
“Lasciatelo in pace, vigliacchi...” mormorò uno degli altri due condannati “... ha solo tredici anni...”
“Allora forse” fissando la scena il capitano Velv “vuoi essere tu a volerci dire qualcosa prima di morire?”
“Certo...” sbottò il condannato “... voglio solo dire che dopo aver vissuto sotto il regno di un tiranno qual'è il vostro duca, è un onore fare la conoscenza di messer boia, l'unica persona perbene rimasta a Capomazda... per questo io sempre grido viva il legittimo signore di Capomazda, lord Taddeo l'Austero e morte al tiranno Dominus!”
Uno dei soldati allora per zittirlo cominciò a frustarlo.
“Commovente...” mormorò Velv “... commovente davvero, quando un pirata e un traditore grida la sua fedeltà... peccato però che l'abbia fatto verso il duca sbagliato... procedete!” Comandò ai suoi uomini.
Di nuovo quel tetro rullo di tamburo.
Un prete allora, lo stesso che i lettori hanno incontrato dal barbiere, salì sul palco per benedire i tre condannati.
“Coraggio...” disse piano ai tre.
“Non abbiamo paura di morire, padre...” guardandolo il terzo di quei rei.
“Certo...” sottovoce il prete “... ma val pur sempre la pena vivere...” e fece un enigmatico cenno ai tre.
E nei loro occhi si accese di colpo una strana curiosità.
In quel momento, sul torrione diroccato che sovrastava la piazzetta dove c'era il palco, una misteriosa figura avvolta in un mantello e col capo coperto da un cappuccio apparve a tutti loro.
Sembrava in balia del vento e giunta da un lontano e remoto Oltretomba.
Tutti subito cominciarono ad additarla e mormorare.
Da una delle case circostanti, allora, approfittando di quel momento di distrazione, qualcuno sparò verso uno dei barili di pece che ardevano attorno al palco, causando una piccola esplosione, dalla quale poi subito si sviluppò un incendio.
Il caos scoppiò tra i presenti.
Il palco cominciò a spezzarsi e tutti coloro che vi erano sopra, condannati inclusi e ormai liberi dai cappi, si ritrovarono a terra.
Un altro colpo di fucile ed un secondo barile di pece esplose, incrementando l'incendio ormai esteso per buona parte della piazza.
Il disordine aumentò ed i pochi soldati presenti, sufficienti per assistere ad un'esecuzione ma non abbastanza numerosi per poter controllare una simile confusione, finirono subito in balia della baraonda generale.
Velv tornò a guardare così sul torrione, dove quella misteriosa figura assisteva a tutto ciò.
“Fate fuoco!” Ai suoi Velv. “Uccidetelo!”
Ma prima che i colpi potessero raggiungerla, quella figura aprì le braccia e lasciò che il vento gonfiasse il suo mantello.
Un attimo dopo si lasciò cadere all'indietro, gettandosi giù dal torrione, nel vuoto sottostante.
“Si è ucciso!” Gridò uno dei soldati.
“Voglio allora il suo corpo!” Urlò Velv. “Portatemelo!”
Ma proprio in quel momento qualcosa di incredibile si mostrò ai presenti.
Dalle spalle del torrione, dove la misteriosa figura si era buttata, cominciò ad emergere, come da un irreale abisso, un lungo albero maestro.
Prima la cima, poi i pennoni e le vele spiegate.
Emersero allora altri alberi, tutti con le vele sciolte, ampie e gonfie.
E poi la prua, il ponte e la poppa.
Infine lo scafo e la chiglia.
Era un gigantesco veliero le cui vele incredibilmente erano in grado di alzarlo in volo.
Un'altra vela, poi, simile ad un grande triangolo rettangolo, come un pinna si alzò tra il ponte principale e il castello di poppa.
In un attimo quel fantastico vascello era già diversi metri sull'alto torrione, sovrastando la piazza e tutti coloro che ancora si trovavano in essa.
E sull'albero maestro di quella meraviglia volante apparve di nuovo la misteriosa figura avvolta nel suo mantello, che con un inchino salutava Velv ed i suoi soldati.
E attorno alla prua svolazzava quella gabbianella blu.
“Fuoco! Fuoco!” Dopo un attimo di smarrimento Velv.
Ma i soldati erano tutti scossi da quella visione.
“Fuoco, dannazione!” Di nuovo Velv.
I soldati allora aprirono il fuoco su quel vascello volante, senza però riuscire a raggiungerlo.
E con la sua chiglia corazzata, dalla quale spuntavano degli speroni d'acciaio, il fiabesco veliero colpì la parte alta del torrione, frantumandola e facendo crollare la muratura sui soldati sottostanti.
Pochi istanti dopo quella eccezionale nave svanì tra le alte nubi di un cielo sterminato, lasciando a bocca aperta tutti coloro che avevano assistito a quell'incredibile apparizione.