L'artista allora apparve di nuovo dal sipario e salutò la platea con un vistoso invito.
“La nostra storia comincia così... in tempo fiabesco, ma reale... e con un viaggio...” disse “... in una città misteriosa, di cui tutti parlano, ma che pochi hanno visto davvero... tre uomini... un chierico, un notaio ed un cavaliere... inviati dall'Arciduca di Capomazda per un'importante missione diplomatica...” in nuovo inchino e il tutto cominciò.
Antefatto
I tre uomini raggiunta la favolosa città, nel cuore di un mattino avvolto da un cangiante bagliore multicolore e rapiti dal suo incredibile e quasi ultraterreno splendore, furono poi condotti nel cuore di quel mondo principesco, dove sorgeva la più superba e magnifica di tutte le sue costruzioni, il grandioso Palazzo Reale di Gioia Antiqua.
La sontuosa costruzione era orientata con la facciata principale verso Est, come le antiche chiese Cristiane, dove su una pianta cruciforme, con al suo centro il corpo principale del palazzo, prendevano ad erigersi otto alte e slanciate torri ottagonali, che sembravano fungere da guardiane dell'intero e nobile edificio.
Al centro, collegato col palazzo vero e proprio, sorgeva un monumentale dongione, che superava per dimensioni tutte le altre torri circostanti.
Questi pinnacoli, con al centro il titanico torrione, apparivano, con la loro eleganza e l'armoniosa disposizione che soddisfava tutte le più chiare norme di un'estetizzante perfezione matematica, quasi come una corona atta a racchiudere la parte più aristocratica dell'intero complesso.
Perchè se l'esterno dell'edificio, con la sua ossessiva ricerca di eccellenza geometrica e cabalistica, risultava in qualche modo spoglio di ogni eccessivo fasto e pomposità, fatta eccezione per un rivestimento di mattoni dalle differenti screziature cromatiche, l'interno invece di quella reggia si presentava animato da uno sfarzo dai tratti fiabeschi.
I tre uomini, condotti da servi e valletti abbigliati con abiti ricchissimi, furono introdotti, attraverso un ampio atrio ricco di statue di purissimo marmo prima e un lungo e sontuoso corridoio dalle pareti abbondanti di affreschi poi, in una maestosa sala longitudinale, il cui interno era scandito da due fila di colonne in granito rosso.
E su ciascuna colonna si apriva una finestra a bifora che consentiva alla luce del giorno di inondare quell'ambiente, esaltandone così la preziosa e variopinta decorazione.
Su tutto il soffitto, racchiuso da robusti archi a tutto sesto ricoperti da foglie d'oro, figuravano preziosi mosaici dalle tessere vitree, capaci di generare, a contatto con la luce, intensi e perenni scintillii.
Il pavimento poi non era da meno a tutta quella sontuosità, costituito da grandi lastre rettangolari marmoree in giallo antico, incorniciate da fasce di marmo di un verde ellenistico.
Anche le pareti apparivano rivestite da preziosi e magnifici marmi policromi.
E le incrostazioni marmoree delle pareti, dei pavimenti, unite allo splendore delle colonne, colpite dai potenti e fulgenti fasci di luce che attraversavano le finestre, generava straordinari e magici effetti policromatici, dissolvendo in un superbo sfolgorio di luminosità e colori i confini spaziali di quel luogo, donandogli fattezze quasi ultraterrene.
Rapiti da tutto questo splendore, i tre messi arrivarono in fondo alla sala, ritrovandosi allora di fronte ad una piccola aula separata dal resto di quell'ambiente da tredici colonne in marmo bianco.
Al centro di essa, in una piccola nicchia absidata, un velo celava una figura slanciata ed elegante.
“Parlate, dunque.” Disse una voce di donna dal lieve accento straniero.
“Altezza...” col capo chino il notaio “... veniamo a nome di Sua Signoria Cattolica l'Arciduca Dominus, signore di Capomazda e vassallo della Chiesa Romana... egli domanda la vostra mano, mia regina, portandovi in dono le sue terre e la sua nobile persona.”
“Ho udito” fece la regina col suo caratteristico accento “che il vostro signore però non è il legittimo duca di Capomazda.”
“Altezza, egli è nobile e nelle sue vene scorre il medesimo sangue dei suoi grandi avi, come il leggendario Taddeo I, suo figlio Ardea de' Taddei e Ardeliano il Grande.” Rivelò il notaio.
“Eppure” replicò la sovrana da dietro quel velo “non era destinato a lui il Trono Gigliato, come voi chiamate il seggio dei vostri Arciduchi, ma a suo nipote che invece ha spodestato.”
“Non è così, Altezza...” alzando timidamente lo sguardo il notaio “... suo nipote fu rapito tempo fa, quando era ancora un bambino, durante il soggiorno di suo zio, Taddeo l'Austero, a Sygma... e dunque l'elezione ad Arciduca del nostro signore è legittima e riconosciuta anche da Sua Grazia il Vescovo.”
“Un servitore” fece la regina “si lega al suo padrone per mille motivi... la paura, l'ignoranza, l'interesse...”
“Mi è concesso parlare, Altezza?” Chiese il chierico.
“Parlate.” Rispose la regina.
“La mia presenza qui” spiegò il chierico “è testimonianza del riconoscimento e dell'appoggio che Sua Grazia il Vescovo ha concesso all'Arciduca Dominus... dunque la sua elezione è legittima e riconosciuta sia dal Diritto Reale, sia dal Diritto Ecclesiastico.”
“Perchè vuole sposare una donna che non conosce?” Domandò la regina. “Per le mie ricchezze, immagino. Non certo per Amore.”
“Altezza...” intervenne il notaio “... l'Amore che muove il mondo è un'invenzione dei poeti e dei bardi... quello passionale e travolgente che fa scoppiare guerre o distrugge regni alberga solo fra i versi delle poesie e fra le pagine dei romanzi... esso non è altro che l'idillica e romantica rappresentazione dell'infatuazione giovanile, che arde presto con vigore, ma che poi si dissolve in breve tempo. L'Amore invece, quello vero, è il naturale compresso tra due animi affini che con affetto decidono di trascorrere insieme la propria vita. A far girare il mondo vi sono ben altre cose e molto più importanti. E su queste cose Sua Signoria fa leva per convincervi ad accettare la sua richiesta di nozze, Altezza.”
“Mi hanno parlato” mormorò la regina “di un'antica maledizione che flagella i Taddei... un oscuro incantamento che ha causato la terribile morte di coloro fra essi che scelsero invece di innamorarsi liberamente. Egli dunque non teme ciò?”
“Sono solo leggende e antiche superstizioni, Altezza.” Disse il notaio. “Antiche dicerie frutto d'ignoranza e sorte in tempi remoti. Capita spesso che attorno a nobili e potenti signori il folclore popolare ricami storie inverosimili che poi col tempo maturano in veri e propri miti o leggende.”
“Il vostro signore da adito alla Ragione dunque e non al cuore.” Sentenziò la regina.
“Sicuramente, Maestà.” Annuì il notaio.
“E sia...” mormorò la sovrana “... se è allora disposto a portarmi in dono il suo ducato, non avrà dunque difficoltà a soddisfare la mia richiesta... chiedo un pegno per la mia mano.”
“Un pegno?” Ripetè il notaio, per poi voltarsi verso il chierico ed il cavaliere.
“Si.” Annuì la regina.
Un'ancella si avvicinò ai tre con in mano un bellissimo e prezioso vaso d'oro.
“Direte al vostro padrone” continuò la sovrana “che la regina di Gioia Antiqua accetta la sua richiesta di nozze, purché riempia con un pegno questo vaso d'oro.”
“Ho facoltà di parlare, Altezza?” Chiese il cavaliere.
“Parlate.” Acconsentì la donna.
“Qual'è il pegno con cui riempire questo vaso, mia regina?” Domandò il cavaliere.
“Il Fiore Azzurro.” Rivelò la regina. “Dite al vostro signore che solo se riuscirà a riempire questo vaso con il Fiore Azzurro avrà diritto alla mia mano.”
I tre uomini si scambiavano sguardi perplessi.
“E' tutto.” Concluse la sovrana, per poi svanire oltre quel velo che l'aveva nascosta per tutto il tempo.
E i tre messi dell'Arciduca, portando con loro il vaso d'oro, lasciarono il palazzo e poi la città, per ritornare a Capomazda.
La Donna di Fiori
Capitolo I: Il mostro di Capomazda
“Un basso suono di terremoto si fece udire, un rombo sotterraneo; e poi tutti trattennero il fiato, mentre impacciata di cavi pendenti, di ramponi e di lance, una grande forma balzava per il lungo, ma obliquamente sul mare.”
(Herman Melville, Moby Dick)
La città di Amoros, racchiusa tra i fiumi Calars e Volotronus, con la sua caratteristica forma a Croce, era animata quella mattina da una vivace agitazione.
Nelle locande, per le strade, tra i banchi del mercato, davanti alle botteghe, in ogni piazza e persino nello spiazzale della chiesa principale, quella dedicata all'Arcangelo Michele, circolavano voci riguardo a strani fatti accaduti attorno alla capitale Capomazda.
“Vi ho detto” disse un uomo agli altri seduti con lui nella locanda “che hanno cercato di abbatterlo, ma i colpi di mortaio non arrivavano a colpirlo.”
“E come può essere?” Chiese uno di quelli seduti.
“Perchè è schizzato in volo in un momento!” Rispose l'uomo.
“Questa poi...” un altro dei presenti “... come può volare? Che assurdità...”
Altri risero.
“Non ho mica inventato io questa storia!” Risentito l'uomo. “Tutti ormai ne parlano ad Amoros! E la notizia è giunta da alcuni mercanti che si son fermati qui di ritorno da Solpacus!”
“Ma allora di cosa si tratta?” Domandò un altro.
“Io mi sono fatto la mia idea...” mormorò l'uomo.
“Avanti, dilla anche a noi.” Un altro di quelli che ascoltavano.
“Beh, deve trattarsi di un drago.” Sentenziò l'uomo.
“Un drago?”
“Ah, hai il concime nella testa!”
“E noi qui che lo stiamo anche ad ascoltare!”
“Che il diavolo mi porti se mi sono inventato io questa cosa!” Sbottò l'uomo. “A Capomazda lo credono in tanti ormai! Diversi testimoni infatti affermano di aver visto quella cosa adagiarsi sulla campagna, scorrere lieve sulle acque di un fiume e schizzare poi in volo appena vistasi attaccata! Secondo voi cos'altro può essere se non mostro volante?”
“I draghi sputano fuoco si dice...” mormorò un altro di quelli.
“E infatti anche questo misterioso mostro volante sembra in grado di farlo!” Annuì l'uomo. “Figuratevi, ha vomitato fuoco su una torre piena zeppa di arcieri intenti a bersagliarlo con i dardi! Ve lo dico io... è un drago! Di quelli che si leggono nelle antiche leggende!”
“E cosa fanno ora a Capomazda?” Domandò un altro ancora.
“Ho udito che hanno messo una taglia su quel mostro!” Rivelò l'uomo. “Chiunque riuscirà ad abbatterlo o a fornire qualche testimonianza utile ai soldati del duca riceverà una profumata ricompensa.”
Tutti, a quelle parole, restarono colpiti.
“Credetemi...” l'uomo a tutti loro “... in tutto il ducato non si fa che parlare di questo misterioso e terribile mostro...”
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