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Vecchio 08-07-2014, 16.40.28   #409
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Cavaliere della tavola rotonda
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Capitolo IV: La fiera dei Fiori


“Non dire che la mia arte è inganno:
tutti vivono di finzione.
La usa il mendicante chiedendo l'elemosina, e l'allegro cortigiano, con la finzione, ottiene terre, titoli, rango e potere.”

(Antica commedia)



Il paesaggio appariva dorato, con i riflessi del caldo Sole pomeridiano ad irradiare la verde campagna e le vicine montagne.
Alte nuvole, bianchissime e luminose, parevano scivolare verso Levante, attraversando il terso e azzurro cielo di Luglio.
Il carretto cigolava piano, con un incedere pigro, seguendo con cieca fiducia la via tracciata dai secolari solchi su quello che più di una strada sembrava essere un sentiero.
Con apatica indifferenza il contadino teneva le redini dei cavalli, come se a guidare il carretto fossero loro e non lui, mentre la sua giovane e vivace figlioletta di tanto in tanto gettava uno sguardo incuriosito verso quel giovane a cui avevano dato un passaggio e che ora era steso sul fieno che trasportavano.
“Pien...” disse il contadino all'improvviso “... perchè continui a votarti indietro? La strada è davanti a noi, non alle tue spalle.”
“Si, scusate, padre...” arrossendo lei, senza però riuscire a resistere, qualche istante dopo, alla tentazione di voltarsi ancora dietro di lei.
L'altro se ne stava steso, come detto, sul fieno del carretto, con la sua giacca di lamé blu, la camicia di pizzo come quelle utilizzate dai signorotti di campagna così vivacemente impegnati a voler sembrare prossimi al patriziato, pantaloni di pelle che finivano stretti in alti stivali di cuoio scuro.
Bruno di capelli, di carnagione chiara e con profondi occhi azzurri che non smettevano di fissare quelle lettere e quelle pagine del diario tirati fuori dalla borsa.
“E' inutile...” sbuffando e lasciando cadere sul fieno quei fogli e quel taccuino “... è inutile... ovunque fuggirò mi ritroverò sempre alle costole quei dannati cavalieri...” mormorò piano “... ho dovuto lasciare il porto e la regione perchè ormai in ogni locanda si vede affisso il cartello con sopra la taglia per la mia testa... farò la fine del povero Imone...” sospirò.
“Ma padre...” rivolgendosi Pien a suo padre “... ma parla da solo?”
“Sarà un poeta che immagina versi o un attore che ripete la sua parte” fece il contadino “o magari, chissà, un innamorato che sospira per la sua bella. Quel tipo di individui, qualsiasi sia la loro occupazione, usano parlare da soli, finendo poi fatalmente per ammattire.”
Pien si voltò a fissare di nuovo quel ragazzo.
“Già, Imone...” chiudendo gli occhi Guisgard ed incrociando le mani dietro la nuca “... forse per salvarmi dovrei essere un fantasma come lo sei tu adesso...” aprì gli occhi di colpo “... un momento...” alzandosi “... nelle lettere e nel diario lui racconta proprio di non rammentare molto dei suoi cari a Lortena...” prendendo di nuovo gli scritti di Imone “... e ancor più nessuno ormai dei suoi familiari ha veduto il suo volto da anni...” il suo entusiasmo si frenò di colpo “... ma cosa dico... è ovvio che i suoi zii, ora conti di Lortena, ricordino com'era fatto il loro nipote...” scuotendo il capo.
Il carretto di fermò di colpo.
“Eccoci, giovanotto.” Voltandosi dietro il contadino. “Siamo nel territorio di Lortena. Laggiù vi è la capitale con i suoi castelli.”
“Bene.” Saltando con agilità dal carretto Guisgard. “Vi ringrazio del passaggio.”
“Cosa farete ora a Lortena?” Chiese il contadino.
“Devo consegnare delle cose importanti.” Rispose Guisgard.
“Beh, siate prudente.”
“Perchè mai?”
“Non lo sapete?” Fissandolo il contadino. “A Lortena c'è la guerra civile. I ribelli pare abbiano preso il castello dei conti.”
“E cosa fanno questi?”
“I conti ormai sono morti da tempo.” Mormorò il contadino. “Il potere ora è nelle mani di lord Froster che lo legittimerà prendendo in sposa lady Clio, l'ultima dei Marsin.”
“I conti sono morti?” Ripetè Guisgard.
“Già.” Annuì il contadino.
“Allora io potrei davvero...” sgranando gli occhi il giovane.
“Cosa dite?”
“Oh, nulla...” sorridendo il fuggitivo “... nulla... e sia... vi ringrazio nuovamente... ah...” prendendo dalla tasca l'ultima moneta rimastagli “... è un Taddeo d'oro... voglio il vostro cavallo.”
Il contadino senza farselo ripetere scese dal carretto e liberò uno dei due cavalli che lo spingevano.
Guisgard allora montò in sella al palafreno e galoppò via, sotto gli occhi soddisfatti, per il buon affare, del contadino e quelli sognanti della giovane Pien che lo guardava mentre scompariva nella campagna.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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