A quelle parole di Talia, l'Arconte Meccanico fece un cenno al capitano e questi condusse lui e la principessa in una cella poco distante.
Qui trovarono alcuni soldati e un uomo incappucciato che sceglieva con cura tenaglie, catene e marchi da far riscaldare su una brace ardente.
In un angolo di quella cella vi era poi un uomo incatenato alla parete.
Indossava solo dei calzoni lacerati e sul petto, sulle braccia e sul volto presentava tagli ed ematomi.
Nel vedere arrivare i tre, i quattro uomini nella cella mostrarono profondi inchini.
Prima a Talia, poi all'Arconte.
“Allora...” disse questi “... ha parlato questo cane?”
“Non ancora, signore.” Rispose un soldato.
“Allora vuol dire che siete troppo teneri!”
“Credo che questo dannato” fece il soldato “sia stato stregato dai suoi signori. Ci fissa, senza tradire alcuna emozione mentre lo torturiamo a morte.”
L'Arconte allora si avvicinò al prigioniero e lo fissò.
Era un uomo scarno, dagli occhi scuri e la barba lunga.
“Chi ti manda, lurido porco?” Con gli occhi su di lui l'Arconte. “L'Arciduca? O qualche vescovo? Appartieni ad un ordine religioso? O forse sei un misero soldato capomazdese?” Lo schiaffeggiò, graffiandogli ancor di più il viso. “Parla... parla o ti strapperò io stesso la lingua.”
“Prima di venire in questa città senza Dio” parlando finalmente l'attentatore “ho ricevuto l'Estrema Unzione. I miei peccati sono rimessi. Posso morire in pace. E morirò sereno, poiché so che mi seguirete molto presto. Io ho fallito, ma altri verranno dopo di me. E ne verranno ancora, fino a quando non compiranno la loro missione. Eppure sarete fortunati... si, perchè la silenziosa lama di un coltello o l'aspro veleno di una coppa metteranno fine senza strazi alle vostre vite. Invece sarà molto più triste la fine del popolo che vi ha seguito... quando le armate del mio signore demoliranno le vostre mura, i cavalieri Capomazdesi non avranno pietà di questa gente. E neanche delle vostre mogli e dei vostri figli. Gli uomini saranno sterminati, mentre donne e bambini verranno venduti come schivi.” Fissò poi Talia. “E' vero ciò che si dice di voi... siete bella, molto bella. Ma quando una terra è devastata col fuoco, neanche i fiori più belli riescono a ricrescere.” Tornò a guardare l'Arconte.
Ad un tratto portò una mano alla bocca e con gli anelli delle catene si strappò la lingua, per poi gettarla ai piedi dell'Arconte Meccanico.
Questi allora, dominato dalla rabbia, prese fra le mani la testa del prigioniero e la girò su stessa, spezzandogli l'osso del collo.
“Figlio di centomila vermi...” con ira l'Arconte.
Si voltò poi verso Talia. “Vi avevo detto di non venire qui, maestà. Andiamo, vi riaccompagnerò al palazzo.”
Così, l'Arconte e Talia ritornarono nel palazzo principale.
Ma prima che Talia raggiungesse i suoi appartamenti, un servitore andò loro incontro.
“Altezza, milord...”
“Cosa c'è?” Chiese L'Arconte Meccanico.
“Il Maestro ha lasciato le sue stanze” rispose il servitore “e chiede di poter incontrare sua altezza.”
“Venite, maestà...” rivolgendosi l'Arconte a Talia “... una persona a voi cara, ma che non vedete da tempo, chiede di potervi salutare...”
E presa la sua mano, l'Arconte condusse Talia in un grande salone.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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