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Vecchio 05-02-2013, 02.43.10   #21
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Cavaliere della tavola rotonda
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Residenza: Dalla terra più nobile che sorge sotto il cielo
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Care dame, qualcuno ha scritto che non esistono storie inventate o inverosimili.
Questo perchè l'uomo è capace di descrivere solo ciò che può davvero realizzare.
I romanzi più avvincenti, le poesie più soavi e tutte le opere più belle non nascono mai dall'impossibile, ma giungono da ciò che ci circonda e da ciò che sappiamo comprendere e far nostro.
E' ciò che il nostro cuore e la nostra anima sanno percepire, sanno vivere.
E a tutto questo poi basta solo dare un nome ed aspettare che si animi da sé.
Ecco perchè non vi è finzione, né immaginazione.
Questa storia, a Dio piacendo, sarà reale e viva.
Proprio come lo siamo noi adesso.

Mio zio era una persona austera, a tratti dura, dallo sguardo enigmatico e l'espressione perennemente contrariata.
Era un uomo di vecchio stampo, nato, a suo dire, nel secolo sbagliato.
Già e questa sua affermazione ha sempre suscitato in me una viva curiosità.
Lo conobbi tempo fa, in un'Estate per niente afosa come invece lo sono quelle di oggi.
Giunto nel suo grande palazzo venni subito rapito dallo stile decadente e antiquato di quella dimora.
Quella casa esercitava una misteriosa soggezione su di me.
Mi era stato detto di non fare mai domande allo zio, di non contrariarlo e di non chiedergli nulla di nulla.
Lui avrebbe pensato da sè ad ogni mio bisogno.
E così, in quel tardo e soleggiato pomeriggio estivo, giunsi nel grande salone dove facevano bella mostra i suoi trofei di caccia.
E ve ne erano tantissimi.
Mio zio, ricordo, era seduto in un ammuffito seggio di velluto e noce, rivolto verso la finestra a fumare uno dei suoi sigari.
Mi lanciò solo uno sguardo, indifferente, per poi tornare a fissare la verdeggiante campagna.
“Sei stato bocciato...” disse senza voltarsi “... vero?”
“No...” risposi io.
“Allora perchè ti hanno mandato qui?”
“Perchè mi piacciono i libri” fissandolo io “e mi piace scrivere.”
“Bugiardo.” Con tono fermo lui. “Sei stato bocciato a scuola.”
“No, non sono mai stato bocciato.” Con orgoglio io.
“E non fai storie per dover passare le tue vacanze qui?”
“No.” Scuotendo il capo io. “Devo starci solo qualche giorno.”
“Perchè ti hanno mandato qui?”
“Perchè avete molti libri.”
“E tu dopo un anno di scuola” mormorò quasi infastidito “hai ancora voglia di prendere in mano un libro?”
Io annuì.
“Sei uno di quei secchioni, allora.” Con distacco lui. “Di quelli che devono guadagnarsi le simpatie dei loro maestri e quelle dei loro familiari. O forse, peggio ancora, sei un ruffiano?”
Io restai in silenzio.
Mi sentivo a disagio ed ero già pentito di essere andato lì.
“Rispondi.”
“Mi piacciono la storia, la letteratura...” dissi io “... per me sono come dei giochi... detesto invece la matematica, la geometria e tutte quelle materie che mi dicono a quale risultato devo arrivare.”
“Sei un presuntuoso allora.” Voltandosi finalmente verso di me. “Uno di quelli che credono alla propria individualità, alla libertà e alle proprie capacità.” Si alzò dal seggio e si avvicinò alla finestra. “Di quelli che pensano che un uomo faccia da sé la propria fortuna.”
Il suo tono non ammetteva repliche ed io non risposi niente.
In verità cercavo di capire che uomo fosse.
“Comunque non mi interessa come sei.” Continuò lui. “In questi giorni che resterai qui, ti comporterai secondo le mie regole. Intesi? Oggi è Venerdì... Domenica mattina verrai a messa con me. Non mi riguarda se i tuoi ti hanno insegnato ad andarci o meno. Non mi interessa neanche se sei credente oppure no. Fin quando starai qui farai ciò che ti dirò di fare.” Mi fissò per un momento. “Credi che sia intollerante? Bene. L'intolleranza non è sempre un male. E' come un'arma e come tale dipende dall'uso che se ne fa. Può tanto uscirci del bene, come del male. Se in Europa fossero stati meno liberali e più intolleranti verso i nazisti e le loro pazzie, a quest'ora ci sarebbero al mondo i discendenti di sei milioni di ebrei in più. La libertà di pensiero e di parola sono quanto di peggio possa esserci al mondo.” Si avvicinò poi ad un tavolino e si versò da bere. “La biblioteca si trova nell'altra stanza.” Riprese a dire. “Lì potrai vedere tutti i libri che vuoi. Ma non voglio che me ne parli. Io non ho mai letto nessuno di quei libri. Per me sono simili a soprammobili.”
Queste parole mi colpirono.
Mi sembrava una persona enigmatica, impenetrabile, sfuggente, ma di certo non una di poche conoscenze.
“Tieni a mente” continuò “che non mi interessano in alcun modo le tue convinzioni e le tue idee. Né tanto meno le tue considerazioni su qualsiasi argomento. In casa mia non voglio sentire parole come ateismo, democrazia, anarchia, uguaglianza e così via. Qui non troverai nessun giornale. Sono faziosi e schierati. Per leggerne uno dovrai scendere in paese. Ma non pensare neanche di portare uno di quei giornali a casa mia. E' tutto. Ora va e lasciami in pace.”
Trascorse così quel tardo pomeriggio e poi la sera.
Cenai con mio zio in un vasto salone, pieno di armature e cimeli antichi.
Passavo quasi tutto il tempo nella biblioteca, dove erano raccolti davvero tantissimi libri.
Alcuni molti antichi.
E c'erano anche dei manoscritti.
Verso Mezzanotte, stanco e assonnato, lasciai la biblioteca per raggiungere la mia stanza.
E nel corridoio vidi quel ritratto.
Era una giovane donna, dai lunghi capelli chiari e gli occhi azzurri.
La pelle sembrava di porcellana e l'abito pareva di un'altra epoca.
Restai non so quanto tempo a fissarla.
La misteriosa donna aveva un libro in mano.
E l'unica cosa che si vedeva era un fiore impresso sulla copertina, sotto il quale c'era scritta la parola “Gioia”.
La donna era immersa in uno scenario non comune.
Almeno non nelle terre dove abitavamo.
Si vedevano infatti colline e cipressi, con qualche torre rinascimentale qua e là.
Chi era quella donna?
La curiosità, ossessiva e morbosa, cominciò a tormentarmi.
Quella notte dormii pochissimo a causa di quel pensiero.
Il mattino seguente, subito aver fatto colazione, tornai a vedere quel ritratto.
Ora però era coperto.
Coperto con un telo bianco.
Perchè?
Questo mi chiedevo.
Non potevo però fare nulla per saperlo e decisi così di tornare in biblioteca.
La sera, prima di andare a letto, tornai a vedere il quadro.
E come la sera precedente era di nuovo scoperto, senza più quel telo a coprirlo.
Trascorse un'altra notte di inquietudine e domande per me.
La mattina andai a messa con mio zio e dopo pranzo ritornai in biblioteca.
Giungendovi avevo attraversato il corridoio e ancora una volta il quadro era coperto da quel telo.
Per non pensare più a quel misterioso ritratto, decisi di leggere.
Cominciai a cercare un libro che potesse in qualche modo distrarmi, quando all'improvviso mi colpì qualcosa.
Era un libro.
Un libro particolare.
Era in tutto e per tutto simile a quello che la donna aveva nel ritratto.
Era chiuso con una sorta di lucchetto, la cui serratura era a forma di fiore e sulla copertina vi era scritto “Gioia”.
“Cosa ti aspetti di trovare in quel libro?” All'improvviso una voce alle mie spalle.
Era mio zio.
“Ecco io...” chinando il capo io.
“Allora?”
“Ecco... la Gioia!” Esclamai poi di colpo.
“La Gioia da solo dolore.” Fissandomi lui e lasciandomi senza parole.
Si avvicinò allora alla porta.
“Un giorno, se Dio vorrà, sarai duca...” voltandosi di nuovo verso di me “... e quando avverrà, cerca di essere un duca migliore di me...” ed uscì.
Poco dopo arrivarono i miei genitori a prendermi e con loro lasciai il palazzo di mio zio.
E ricordo quella strana ed indecifrabile sensazione che avevo, mentre dalla macchina fissavo il palazzo che svaniva nella campagna...










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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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