ARDEA DE' TADDEI
"CREONTE: << Buono! Fin la sciagura, ov'ella un esito felice trovi, diverrà fortuna. >>
ÈDIPO: << Che responso è mai questo? Io non m'allegro per tali detti, né timor mi coglie. >>
(Sofocle, Edipo re)
Il vento soffiò impetuoso per tutta la notte, attraversando, come a volerla violentare, l’intera vallata con tutto il suo ardore.
La piccola chiesetta vibrava e scricchiolava sotto i colpi della foga della natura, mentre la legna si consumava lenta sul braciere ed era rimasta ormai l’unica fonte di luce ad illuminare l’austera stanza.
Ardea e Biago vegliarono così tutta la notte, tra dubbi, incertezze e paure.
Il frate dormiva finalmente tranquillo, sebbene di tanto in tanto qualcosa agitava e tormentava il suo sonno.
Farfugliava nervosamente qualcosa, ma le parole uscivano storpie dalla sua bocca, come se nel pronunciarle il chierico si mordesse la lingua.
Giunse così l’attesa alba.
Il vento sembrava aver esaurito la collera con la quale aveva flagellato l’intera vallata per tutta la notte.
Un tiepido Sole si affacciava sul bosco, dissipando la foschia che si alzava lenta e silenziosa dalla nuda terra.
I primi uccelli del mattino, timidi, iniziavano a diffondere il loro melodico canto, come a voler destare quel luogo dalle sue inquietudini e dalle sue paure.
Biago si era leggermente appisolato poco dopo l’albeggiare, adagiandosi accanto alle ultime forze del braciere morente.
Ardea invece non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
La sinistra atmosfera che dominava quel luogo e le folli ed assurde parole del frate avevano reso inquieto il suo animo.
Qualcosa di orrendo e terribile albergava in quei luoghi.
Qualcosa che era riuscito a rendere quasi folle un uomo di Chiesa.
Ma cosa?
Si chiedeva Ardea.
Cosa si celava a Maddola?
E mentre Ardea era tormentato da questi pensieri, il frate si destò dal suo sonno.
Si alzò dal suo giaciglio e restò a fissare il vuoto della stanza per qualche instante.
“Avete fatto un lungo sonno.” Gli disse Ardea guardandolo.
Il frate gli lanciò una rapida occhiata senza aggiungere nulla.
“Spero che il giusto riposo vi abbia reso la tranquillità che avevate perso ieri sera.” Aggiunse il Taddeide. “Tranquillità che avevate smarrito insieme al vostro senno.”
“Siete ancora qui?” Chiese il frate, quasi incurante delle parole di Ardea.
“Sarebbe stato avventato e sciocco, da parte nostra, partire con la tempesta di stanotte.” Rispose il cavaliere. “Ora che il tempo sembra clemente potremo riprendere il nostro viaggio.”
“Tornatevene da voi siete venuti.” Disse il frate.
Poi si alzò e prese una vecchia pentola di argilla lasciata ad inumidirsi accanto al braciere.
Vi versò dentro un intruglio colorato preso da un piccolo timo coperto da uno straccio e la pose accanto a ciò che restava della brace.
Raccolse allora due tronchetti posti sotto un vano del braciere ed alimentò il debole fuoco rimasto dalla sera scorsa.
Avviato il fuoco, attese che l’intruglio iniziasse a bollire.
Quando avvenne, riempì con questo tre ciotole e le servì a tavola.
“E’ una tisana aromatica con i frutti di questa valle.” Disse ai suoi ospiti. “Desterà i nostri spiriti dal sonno che ancora ci ammansisce.”
Biago, svegliatosi, subito raggiunse la tavola e sorseggiò con gusto la sua tisana.
“Voi non bevete, cavaliere?” Chiese il frate ad Ardea.
“Si, vi ringrazio.” Rispose il cavaliere. “E subito poi andrò a sellare i nostri cavalli.”
“Vedo che la notte ha portato giudizio.” Disse il frate.
“Vi avevo detto che ci occorreva solo un riparo per la notte. Ora dobbiamo riprendere il nostro cammino. Maddola è ormai prossima.”
“Siete tanto cocciuto quanto irriverente!” Tuonò il frate.
Ardea sorrise sarcastico.
“Che il diavolo vi porti!” Inveì il frate.
“Un’ultima cosa, frate...” disse Ardea “... prima di ripartire vorrei confessarmi.”
Il frate lo fissò meravigliato.
Poi con un gesto lo invitò ad accovacciarsi su un umile sgabello.
“Io vado a preparare i cavalli.” Mormorò Biago, con il chiaro intento di lasciare soli i due.
“Padre ho peccato, contro il Cielo e contro gli uomini.” Cominciò a dire Ardea.
“Siamo tutti peccatori, figlio mio” rispose il frate “e possiamo solo confidare nella Misericordia di Dio.”
Ardea allora iniziò la sua confessione, raccontando tutta la sua storia.
Ad ogni parola la sua voce diventava più incerta e tentennante.
Il suo fiero tono, la cadenza sicura ed il nobile linguaggio sembravano annullarsi man mano che il cavaliere apriva il suo tormentato animo al chierico.
Un lacerante pianto ben presto cominciò ad accompagnare le sue parole, tradendo l’infinita pena che Ardea ospitava nel suo cuore.
E quando ebbe concluso il suo racconto, si abbandonò a lacrime ancora più amare e miserevoli.
Il frate gli accarezzò il capo con infinità dolcezza.
“Anche San Pietro” disse al cavaliere “rinnegò e deluse Nostro Signore. Ma Egli non cesserà mai di avere fiducia in te, figlio mio.”
Ardea in lacrime non riusciva più a parlare.
Aveva il viso coperto dalle mani che stringevano forte i suoi occhi, divenuti rossi per l’intenso pianto.
“Hai vagato da terra in terra e ciò ti ha purificato dalle tue colpe.” Disse il frate scuotendolo forte. “Tuo padre non avrebbe potuto chiedere al Cielo un figlio più devoto!”
“No, frate...” rispose Ardea tentando a fatica di soffocare le sue lacrime “... non sono degno di considerarmi figlio di mio padre... e riguardo al mio cammino... esso non è ancora concluso... e non lo sarà fino a quando non avrò liberato le altre contrade dal male che le attanaglia... e la prossima sarà proprio Maddola... dovessi versare anche l’ultima goccia del mio sangue per farlo!”
A queste parole uno stridulo sibilo lontano si diffuse sinistro e grottesco nell’aria, ammutolendo i suoni con cui la natura salutava il nuovo giorno.
“Avete udito?” Fece Biago tornato di corsa dentro. “Cosa può essere stato?”
“E’ il grido di morte di quella maledetta!” Rispose il frate, fissando con rabbia l’infinito azzurro del cielo attraverso una piccola finestra che si apriva illuminando la piccola stanza.