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Vecchio 22-11-2011, 13.54.53   #1
Guisgard
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Il Passato, tra Storia, Archeologia ed etica

La nostra Camelot si prefissa un sogno tanto affascinante, quanto ambizioso: far rivivere il passato.
Un passato intriso di atmosfere regali, aristocratiche, cavalleresche, eroiche.
Il passato racchiude dunque mondi meravigliosi, che si sono susseguiti nel tempo e nello spazio, lasciandoci poi in eredità tesori, atmosfere e valori che fanno ormai parte del nostro presente.
Noi cerchiamo di far rivivere quel passato, grazie alla nostra passione, attraverso discipline come la letteratura, la storia, l’archeologia e la filologia.
Ma da sempre queste discipline hanno posto l’uomo di fronte ad alcune domande: cosa rappresenta per noi quel passato?
E soprattutto, a chi appartiene?
Queste questioni ci portano così ad affrontare temi e argomenti tutt’altro che semplici.
Basti pensare ad opere come il Colosseo di Roma, l’Acropoli di Atene, i Codici Tardoantichi, i Rotoli del Mar Morto; queste opere hanno un valore ed un significato solo per le civiltà che le hanno prodotte?
Non hanno forse un significato anche per tutto il resto dell’umanità?
Se così fosse, allora, la loro protezione non dovrebbe riguardare l’interesse di tutti?

Cosa rappresenta per noi il passato?
La Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli rappresenterà qualcosa di diverso, a seconda se a guardarla sarà un Cristiano, o un Mussulmano.
Un Indù, guardando i grandi monumenti del Regno Moghul può vedere cose differenti da un turista occidentale.
Culture e società differenti hanno, ovviamente, concezioni molte diverse sul passato.
Il passato è il luogo da dove veniamo e in esso, irrimediabilmente, riconosciamo la nostra storia e i nostri valori.
Ai nostri occhi, dunque, il passato diviene “monumento”, “memoria” e “ricordo” ed è per questo che deve essere conservato e tramandato.
Un problema serio l’archeologia moderna lo ha incontrato quando si è dovuta confrontare con i monumenti e gli emblemi di nazioni che presentano una storia molto più recente della nostra.
Basti pensare all’Australia, all’Egitto, alla Grecia, al Messico, al Perù, tanto per fare qualche esempio.
In questi stati di recente formazione il passato antico è utilizzato in qualche maniera anche per legittimare il presente, per rafforzare un senso di grandezza e identità nazionale.
Un po’ come avveniva nell’antichità, quando imperi e regni delineavano proprie origine storiche, spesso fantasiose (come l’arrivo di Enea a Roma ed il legame con gli eroi della guerra di Troia) appunto per definire una continuità con un passato mitico e leggendario.

Fino a pochi anni fa gli archeologi mostravano poca attenzione al problema dell’appartenenza culturale di un popolo con il sito studiato.
La maggior parte degli archeologi proveniva dai paesi occidentali, la cui forza politica ed economica concedeva loro il diritto di potersi impadronire praticamente di qualsiasi contesto, monumento o manufatto storico.
Dopo però la fine della Seconda Guerra Mondiale, quelle che erano colonie sono poi diventate nazioni indipendenti, desiderose di scoprire il proprio passato e appropriarsene di nuovo.
Sono così emerse situazioni molto difficili.
Le antichità acquisite dai musei occidentali durante il periodo coloniale devono essere restituite ai loro paesi d’origine?
E ancora: gli archeologi oggi sono liberi di scavare contesti e sepolture di culture i cui moderni discendenti potrebbero sollevare obiezioni per motivi religiosi o di altra natura?
La situazione è molto complessa.
Le grandi opere del nostro passato, frutto dunque dell’ingegno e della fatica dell’uomo, non vanno oltre i confini geografici e politici del mondo?
Il diritto di godere di questo passato non spetta a tutti?
Ci sono poi questioni che riguardano la sopravvivenza dei monumenti stessi.
Ha senso che i preziosi manufatti provenienti da Olduvai o da Olorgesailie nell’Africa orientale e risalenti al Paleolitico, debbano rimanere relegati nei confini nazionali in cui sono stati trovati?
Non dovremmo averne tutti la possibilità di beneficiarne?
Permettendo così anche a popoli lontani di conoscere queste affascinanti fasi dell’esperienza umana, che poi sono alla base dell’intero cammino dell’uomo?
E stesso discorso di potrebbe fare sugli straordinari resti della Civiltà Minoica di Creta, o su quelle protostoriche del Sud-Est asiatico.
Vi è poi un’altra questione, anch’essa tutt’altro che semplice.
Molte opere particolarmente fragili sopravvivono solo perché sono state conservate nei musei occidentali, come nel caso dei famosi “Marmi Elgin” di Atene, che gli inglesi, acquistandoli dal Sultano Ottomano (durante il periodo in cui la Grecia era sotto il dominio Turco), portarono in patria.
Oggi i marmi conservati al British Museum si trovano in condizioni migliori di altre parti del fregio del Partendone lasciati al loro posto.
Tuttavia, le autorità greche hanno chiesto la loro restituzione e per questo stanno progettando la costruzione di uno speciale museo per la salvaguardia di queste opere.
Un problema molto sentito è quello che riguarda le sepolture.
Per le sepolture preistoriche il problema non è poi così grande, visto che non possediamo alcuna conoscenza diretta di quali fossero le credenza religiose della cultura a cui appartenevano.
La cosa è invece molto diversa per quanto riguarda le sepolture di epoche storiche.
Sappiamo, ad esempio, che gli antichi Egizi, i Cinesi, I greci, gli Etruschi, i Romani ed anche i primi Cristiani temevano di disturbare i morti.
Tuttavia, come ben sappiamo, i ladri di tombe esistevano ben prima della nascita dell’archeologia (i faraoni egiziani, già nel XII secolo Avanti Cristo, dovettero nominare una speciale commissione di funzionari per indagare sul saccheggio sistematico delle tombe a Tebe).
Come devono porsi quindi la storia e l’Archeologia di fronte alla profanazione delle tombe antiche.
In Egitto, ad esempio, le mummie dei faraoni sono state rimosse dalla vista pubblica in accordo al rispetto islamico per i morti; tuttavia, necessità economiche e culturali hanno portato alla loro riesposizione in una stanza speciale alla quale si può accedere pagando un apposito biglietto.

Oggi il problema delle sepolture è diventato di cruciale importanza.
In Australia, ad esempio, dove si assiste alla costante crescita ed affermazione del potere politico degli Aborigeni, si è cominciato a criticare i misfatti compiuti durante il periodo coloniale, quando archeologi, storici ed antropologi mostravano ben poco rispetto delle credenze e dei diritti della popolazione indigena.
Molti luoghi storici furono indagati, numerosi siti di sepoltura dissacrati ed il materiale raccolto esumato per essere studiato e poi esposto in musei.
Oggi, il punto di vista degli Aborigeni è che tutti i resti scheletrici umani (ma anche materiale culturale) debbano essere restituiti a loro, dopo di che se ne potrà decidere il destino.
Oggi, il governo Australiano sembra intenzionato a restituire quei resti che sono recenti o che appartengono “ad individui noti di cui si possano riconoscere i discendenti”, per dar loro nuova sepoltura.
Molti di questi casi sono ritrovamenti del tutto eccezionali, che risalgono a migliaia di anni fa (ci sono infatti scheletri che risalgono fino a 3000.000 anni fa) e col rischio, molto concreto, che una volta restituito gli Aborigeni, come vuole la loro tradizione, questo inestimabile materiale possa finire in fondo ad un lago.

E lo stesso problema sussiste per i Maori, gli indigeni della Nuova Zelanda.
Gli indiani del Nord America hanno vigorosamente espresso in anni recenti il loro dissenso e sono riusciti a far valere i loro propositi.
Gli indiani Chumash, ad esempio, rifiutano di concedere agli studiosi il permesso di rimuovere quelli che potrebbero essere i più antichi resti umani della California, nonostante le assicurazioni ricevute riguardo alla restituzione di queste ossa dopo un anno di studi.
Le ossa si suppone risalgano a circa 9.000 anni fa.
Ancora oggi vi è una battaglia in corso che riguarda le ossa dell’Uomo di Kennewick, ritrovato qualche anno fa nello stato di Washington e datato col Radiocarbonio a 9.300 anni fa.
Lo scontro è fra alcuni antropologi e l’Army Corps, sotto la cui giurisdizione ricade il sito, che sembra decisa a rifiutare le richieste di studio per restituire il prezioso ritrovamento alla tribù indiana Umatilla.

Questo genere di questioni sono molto frequenti, come possiamo vedere, ed oggi gli studiosi hanno ben compreso che solo con compromessi ed accordi è possibile trovare una soluzione.
Come si sta facendo in Australia, dove giovani Aborigeni, grazie a corsi e programmi di formazione, vengono inseriti nelle università e nelle varie associazioni di ricerche, per permettere loro di poter studiare direttamente la loro straordinaria civiltà.
Il passato è dunque, non solo fonte di fascino e mistero, ma anche di tradizioni, credenze e sentimenti che sopravvivono oggi.
Il passato sicuramente appartiene a tutta l’umanità, ma non dobbiamo dimenticare che l’umanità è formata da diversissime culture, con valori, credi ed ideali differenti.
E forse sta in questo, come hanno ben compreso tutti, la chiave di lettura universale di quel nostro straordinario passato.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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