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Vecchio 13-11-2011, 18.39.49   #3
Mordred Inlè
Cittadino di Camelot
 
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
Il compleanno di Ginevra era un'occasione particolare e degna di festa e, da sovrano qual era, Artù aveva dato il meglio di sé e di Camelot per rendere il banchetto memorabile. Aveva persino fatto chiamare a corte la dama Nimue che subito aveva iniziato a destreggiarsi con luminosi fuochi scoppiettanti. (Almeno fino a che Morgana, gelosa delle attenzioni alla maga del lago, non li aveva sabotati e dati in pasto ai cani).
Mordred si divertì. Nei panni di Morrigan rise sguaiatamente e si appoggiò ai bracci di cavalieri sconosciuti per poi ritrovarsi accanto a Galahad. Bevve molto e rise molto. Le dame chiacchieravano con lui ed erano sincere come mai erano apparse con lui quando aveva il suo vero aspetto.
I cavalieri facevano la fine per invitarlo a danzare anche se lui non aveva la minima idea di quali fossero i passi.
Ma la cosa più importante fu che Galahad si inchinò davanti a lui e danzò con lui per ore, ignorando le altre dame.
"C'è qualcosa di familiare in voi," disse a Mordred, nel bel mezzo di un ballo, con aria serena, ma leggermente distratta.
Mordred si sentiva euforico (o forse aveva bevuto troppo).
Aveva voglia di abbracciare re Artù e dirgli che ora poteva avere una bellissima figlia da dare in sposa ad un bellissimo lord e nessuno si sarebbe più pentito di nulla. Voleva poi obbligare il padre a nominare Galahad il suddetto bellissimo lord ed ancora, nessuno si sarebbe più pentito di nulla o di lui.
Aveva voglia di ridere e quando Galahad lo raggiunse con della frutta Mordred si chinò su di lui e succhiò i chicchi d'uva direttamente dalle sue mani, divertito nel vedere le guance dell'altro arrossarsi velocemente.
"Balliamo ancora, sir Galahad."
"Non vorrei monopolizzarvi, lady Morrigan. So per certo che sir Perceval ucciderebbe per un ballo con voi." Il cavaliere aveva gli stessi occhi distratti di poco prima e la bocca aveva assunto una piega severa e turbata.
"Non fate il difficile."
"Devo cercare un amico," continuò Galahad, districandosi dall'ubriaco abbraccio di Mordred.
"Un amico? I vostri amici sono tutti qui."
Galahad ebbe la decenza di fingere di guardarsi intorno prima di rispondere con: "Sir Mordred non è presente."
La frase fu come uno schiaffo per l'altro e con essa parte dell'ubriacatura svanì. "Mordred non è vostro amico. E' sempre scortese."
"E' scortese solo perché gli altri sono scortesi con lui."
"Che sciocco che siete, lui è sempre scortese con voi anche quando siete gentile come una regina."
Il volto di Galahad si rabbuiò. Mordred avrebbe voluto assaporare quel momento tutto suo in cui, finalmente, il vero se stesso riusciva a captare una reazione violenta da parte dell'altro, ma non vi riuscì. Si sentì in colpa, freddo.
"Vi riporto nelle vostre stanze, lady Morrigan."
"Posso giungerci anche da solo- sola."
Ignorando il francese, Mordred si incamminò verso le proprie stanze. Era troppo ubriaco per capire che, in qualche modo, avrebbe dovuto inventarsi una scusa perché non poteva certo condurre Galahad nelle vere stanze poiché quelle appartenevano, notoriamente, al vero Mordred.
Galahad infatti se ne accorse perché prese delicatamente il polso di Morrigan.
"Le vostre stanze sono quelle di Mordred?" gli domandò. Gli occhi immensamente grandi ed immensamente azzurri erano particolarmente lucidi.
Era strano, perché Galahad non aveva bevuto nulla di alcolico quella sera.
"Voi siete la sua amante?" domandò improvvisamente il francese, arrossendo.
Non fu l'alcool a far ridere Mordred, ma fu il modo disperato e sorpreso con cui la richiesta era uscita. "Chi potrebbe volere Mordred come amante? Chi? Non di certo io. Anzi, se potessi vorrei non vederlo mai più." Oh, l'alcool. Mordred avrebbe dovuto ricordarsi per il futuro che essere una donna ed essere più minuta comportava anche una minore resistenza alla potenza dell'idromele.
Si sentiva girare la testa e voleva vomitare. Su Galahad possibilmente.
"Perché lo odiate così tanto?"
"Non capireste," sbottò il principe, tentando di aprire la porta senza risultati.
Le mani di Galahad si appoggiarono alle sue e lo aiutarono, ma quando la porta fu spalancata non lasciò la presa.
"State tremando. Dico davvero, lady Morrigan, state tremando."
Ed era vero.
E Mordred riconosceva la sensazione in quel momento, annebbiato da bevande straniere, più che mai. Sentiva le proprie gambe allungarsi, il seno cedere e- ma non era possibile! Avrebbe dovuto avere ancora un'ora intera per essere la bella Morrigan, perché stava accadendo tutto adesso? Forse Morgana aveva fatto qualcosa con la pozione o forse l'acool mescolato ad essa avevano accorciato la sua durata?
"Dovete andarvene, Galahad, ora!"
"Non posso lasciarvi quando-" le parole di Galahad si persero nel silenzio e Mordred seppe che la trasformazione era avvenuta. E cosa c'era di più ridicolo dell'avere il proprio corpo deforme fasciato in un abito da donna?
Si sarebbe ucciso. Ma solo dopo aver ucciso Morgana.
La voce innaturalmente calma dell'altro interruppe il suo momento di meritato auto compatimento. "Sir Mordred, lasciate che vi aiuti a cambiarvi prima che qualcuno ci veda qui fuori."
Ragionevole ed educato come sempre, il francese lo aiutò ad entrare nella stanza senza inciampare nel lungo vestito rosso e dorato. Non disse nulla sul fatto che una spallina della vesta si era rotta o sulle mani di Mordred che ora coprivano il proprio volto (la vergogna sarebbe stata troppa per chiunque).
Galahad chiuse la porta e si sedette accanto all'altro cavaliere.
"Quindi Morrigan non è mai esistita. Siete sempre stato voi?"
Mordred annuì.
"Posso chiedervi il perché?"
Mordred non aveva risposte o forse ne aveva troppe. Avrebbe potuto semplicemente indicare il proprio corpo e dire che era stanco di odiarsi allo specchio, avrebbe potuto indicare Galahad ed aggiungere che l'aveva sognato e che l'aveva desiderato perché era stato gentile con lui in qualsiasi forma, come Mordred, come gatto o come Morrigan.
Non riuscì a dire nulla di tutto questo e si limitò a lasciar cadere le braccia in un gesto di resa.
"L'avete fatto per questo?" continuò Galahad e portò una mano a toccare, delicatamente, la gobba di Mordred. Quest'ultimo sussultò e quasi cadde dal letto sul proprio vestito per la foga di alzarsi. "Pensate che io non la veda? Credete che bastino dei vestiti esageratamente decorati perché quella sparisca. Non è così, Mordred. Io la vedo ed è parte di voi e, davvero, non capisco quale sia il vostro problema."
"Andatevene." La voce non uscì gelida come Mordred avrebbe voluto, ma si sarebbe accontentato. "Non ci conosciamo nemmeno. Sono stato uno sciocco, inseguivo un'idea."
Galahad si alzò, ma non per andarsene, camminò fino alla porta, tornò verso il letto ed infine si sedette nervosamente ad una poltrona che si trovava accanto al camino già spento.
"Oh, Mordred. Sono stato innamorato di voi fin da quando avevo sei anni, come potete dire che non ci conosciamo?"
Mordred sapeva di non avere la memoria migliore del mondo. Al massimo poteva dire di avere una vaga memoria selettiva che eliminava ripetutamente tattiche romane per farci entrare inutili elenchi di nomi di insetti. Aveva sempre avuto difficoltà anche con nomi e facce perché c'era stato un momento in cui i suoi fratelli gli avevano mostrato che il suo corpo era diverso da quello degli altri e deforme e lui aveva smesso di osservare troppo i visi delle persone, temendo che loro potessero rinfacciarglielo.
Per questo fu difficile per lui tornare all'età in cui Galahad doveva aver avuto sei anni. Dovevano essere stati approssimativamente quindici anni fa.
Aggrottò le sopracciglia nello sforzo di scavare in ben quindici anni di vita e ritornare a quando lui stesso ne aveva solo nove.
Quando aveva avuto nove anni aveva viaggiato con la madre.
*°*°*
Morgause non si era mai davvero rassegnata nell'avere un figlio che fosse diverso dal perfetto figlio di re che doveva essere. Per questo capitava spesso che si portasse dietro Mordred in lunghi viaggi per la Britannia alla ricerca di maghe, stregoni o preti che potessero avere una soluzione.
Quell'anno toccò ad un giovane prete che si diceva potesse guarire qualsiasi male. Mordred e Morgause, con l'intero seguito della donna e qualche suo cavaliere, viaggiarono per due settimane prima di raggiungere il monastero di Gwyndi.
Il luogo era incantevole, circondato di campi coltivati e boschi curati dai monaci stessi che avevano avuto il permesso, da parte del re, di poter cacciare in essi. Avere un noto guaritore aveva permesso al monastero di arricchirsi enormemente nonostante il guaritore non chiedesse mai alcuna ricompensa dai suoi pazienti.
Morgause aveva lasciato Mordred nel giardino per poter andare a parlare personalmente con questo famoso santone.
Il giardino era bello, come tutto il resto. Vi erano cespugli di rose rosse ed arancioni e un piccolo salice piangente che stava crescendo riverso su una fontana di marmo senza più acqua nella quale qualche uccello aveva fatto un nido.
Sul bordo della fontanella, seduto scomodamente, vi era un bambino. Era il bambino più piccolo che Mordred avesse mai visto (a parte il suo fratellino Gareth che era ancora un neonato) e per un attimo l'aveva scambiato per una ragazza.
Stava martoriando dell'erba con le sue mani sottili e pallidissime e ogni tanto si toglieva i capelli biondi e troppo lunghi dal viso.
E stava piangendo.
Se non lo avesse sentito piangere probabilmente Mordred non avrebbe mai avuto il coraggio di avvicinarsi a lui.
"Aristotele dice che l'erba è fatta di terra, ma secondo la sua teoria credo che abbia anche un po' d'aria altrimenti non volerebbe quando la lanci."
Il bambino si accorse finalmente della sua presenza e sobbalzò, lasciando cadere il rovinato filo verde.
"E' un tuo amico?"
"Chi? Aristotele?" Il bambino minuto annuì e Mordred rise. "No. E' un filosofo. Ha scritto delle cose su come funziona il mondo."
"Ha scritto cosa succede alle mamme quando vengono portate qui?"
Mordred non aveva la più pallida idea di che cosa succedesse alle mamme che venivano portate in quel monastero, ma forse erano come lui.
"Se la tua mamma è come me forse è qui per essere migliore."
"Come te?"
Mordred si strinse nelle spalle e lasciò che lo sconosciuto lo esaminasse. Che vedesse il suo piede zoppicante e la curvatura della sua schiena.
"No, mia madre tossiva," rispose, infine.
E poiché Mordred aveva conosciuto una pescatrice che aveva iniziato a tossire e non aveva più smesso, si sedette accanto a quel piccolo bambino e gli prese la mano. Non sapeva cosa avrebbe fatto se sua madre si fosse messa a tossire, forse avrebbe pianto anche lui, anche se era difficile immaginare la terribile Morgause in una qualsiasi situazione di malattia.
E così gli raccontò che cosa accadeva alle madri che tossivano e che cosa poteva non accadere. Gli narrò di quello che aveva letto nell'unico regalo che Morgause gli avesse mai fatto, dell'importanza delle domande giuste e del sapere sempre quello che c'era da sapere. Gli spiegò che le persone mentivano sempre e che nessuno avrebbe mai potuto assicurarti nulla poiché la mente di ciascuno doveva avere quel compito.
Passò l'intero pomeriggio con un bambino preoccupato e troppo pallido e la sera vide il famoso guaritore e poiché non vi furono risultati, negli occhi delusi di Morgause, dimenticò tutto.
*°*°*
"Mia madre era molto malata e nessuno voleva spiegarmi la verità. Voi vi siete seduto con me e mi avete narrato di vita e morte. Mi avete detto la verità e per qualche ora ho dimenticato ciò che stava accadendo nella mia vita. Mi avete parlato di Aristotele- continuavate a parlare."
C'era un sorriso affettuoso sul volto di Galahad e la cosa turbò Mordred così profondamente che si costrinse a sedersi sul proprio letto prima di finire a terra.
"Non vi avevo riconosciuto. Non mi ricordavo."
"Lo immaginavo."
"Avete detto-" Mordred deglutì. Anni di gelido ferro tornarono a galla. Tutte le voci che dentro di sé gli ricordavano che uno come lui non solo non meritava l'amore di nessuno, ma non meritava nemmeno di provarlo per qualcuno. Perché tutte le storie d'amore e di cavalieri avevano come protagonisti essere bellissimi e puri e lui non poteva arrogarsi il diritto di immaginarsi come loro.
"Ho detto che sono stato innamorato di voi per tutto questo tempo. Di un ideale, all'inizio. Avevo questa immagine di voi perfetta e meravigliosa che mi ha portato a cercare sempre la verità di tutto anche quando questa non è unica o appare fumosa. E poi sono giunto a Camelot.
Non sapevo ci sareste stato anche voi, allora non sapevo che foste il figlio di Artù. All'inizio non vi riconobbi, poiché la vostra figura si era rimodellata nella mia mente, ma quando vi sentii parlare seppi che eravate voi. Eppure eravate diverso da come vi avevo costruito. Volete sapere cosa ho pensato?"
No, Mordred non voleva saperlo.
"Ho pensato che vi preferivo così."
Quello era troppo. "Non potete dire queste cose!"
"Chi me lo impedisce?" domandò Galahad, alzando il mento. In quel momento il suo voltò ricordò enormemente l'arroganza del padre.
"Se è davvero questo ciò che pensate, se non si tratta di pena o di menzogna, perché evitavate di toccarmi?"
"Voi-" ed a questo punto le guance di Galahad tornarono di un innaturale rosso. "-non siete mai sembrato particolarmente felice della mia presenza. Temevo che vi avrei dato fastidio o che, facendolo, avreste saputo tutto di me."
"Io non so nulla di voi," sussurrò Mordred, sentendosi sconfitto. Era stato così assorbito da se stesso che si accorse che era vero, non sapeva abbastanza di Galahad.
L'altro cavaliere parve capire perfettamente i suoi pensieri perché si alzò dalla poltroncina e si sedette accanto a lui, lasciando deliberatamente che i propri fianchi si toccassero. La soffice ed elegante tunica azzurra di Galahad contro il ridicolo e liscio vestito rosso da donna.
"Non potete amare qualcuno se non amate voi stesso. O se amate troppo voi stesso. Mia madre era sempre solita dire che quest'ultimo era il difetto più grande di mio padre."
"Forse è meglio che mi cambi-"
Le mani del francese si posarono sulle sue. "Se non sapete nulla di me e- e, insomma, se volete sapere qualcosa di me possiamo provare ad unire i quattro elementi assieme. Come ha detto Aristotele."
"Credo che sia la proposta più indecente che mi abbiano mai fatto."
Galahad si concesse un breve sorriso prima di alzarsi. "Ora posso aiutarvi a cambiarvi."
"Non ce ne è bisogno. Faccio da solo."
Non era pronto (e lo sarebbe stato?) a farsi vedere da Galahad il perfetto senza alcun abito addosso. Anche se ora Galahad era diventato Galahad il bambino del monastero, non si sentiva ancora pronto.
L'altro cavaliere annuì e, dopo avergli promesso che sarebbe tornato con dell'acqua da bere, uscì dalla stanza.
Mordred si strappò velocemente il vestito di dosso, appallottolandolo e buttandolo da parte. Non aveva specchi nella propria stanza e per questo ringraziò il cielo poiché l'ultima cosa che voleva era vedere se stesso proprio ora che la speranza stava iniziando vagamente a sbocciare.
Si sentiva stanco, come in una nebbia. Probabilmente avrebbe vomitato tutto quell'alcool prima di andare a dormire, meditò, indossando delle brache ed una camicia e litigando con i lacci. La stanza girava troppo veloce, avrebbe dovuto dirlo a Morgana.
"Se volete conoscermi e me lo permetterete, vi aiuterò ad amare voi stesso," esclamò la voce di Galahad, dietro di lui. (Evidentemente Galahad aveva preso lezioni da Morgana su come entrare segretamente in stanze altrui).
"Non sono abbastanza sobrio per parlarne," bofonchiò Mordred, lasciando, con una certa riluttanza, che l'altro legasse i lacci della camicia al posto suo.
"Avete ragione. Dovreste dormire. Ne parleremo domani."
Una volta che la camicia fu completamente chiusa, Mordred si lasciò condurre verso il letto e vi si lasciò cadere sopra. Avrebbe voluto chiedere a Galahad di rimanere con lui, ma la bocca sembrava non funzionare più molto bene così afferrò il suo polso e lo trascinò accanto a sé. Sapeva di dover dire- di dover dire qualcosa, qualcosa di acido nel caso Galahad non volesse davvero stare lì con lui o delle scuse, di dover dare all'altro una via d'uscita perché chi mai avrebbe voluto dormire con lui- ma quello che gli uscì fu: "Sono Agamennone."
Galahad, che si era comodamente disteso con tanto di stivali lasciati a terra e testa sul cuscino, sobbalzò sorpreso. "Il gatto?"
"Proprio io."
"Oh. Questo spiega perché non l'ho più visto. Temevo di essere stato così terribile da farlo scappare."
Sono tornato, invece.
"Posso chiedervi come avete fatto?" domandò il francese, stendendosi su un fianco, rivolto verso Mordred.
"Mia zia. Ha il laboratorio segreto più cliché del mondo."
"Credete che Morgana ci trasformerebbe in mosche per risolvere il dilemma della carne in putrefazione?"
Mordred ammise che quella era un'ottima idea e che se non fosse stato così accecato da se stesso probabilmente ci avrebbe pensato anche lui (e prima). Imitando la posizione dell'altro, in modo da verlo di fronte, rispose, con un po' di rammarico: "Temo che non mi trasformerà più in nulla. E che voi siate troppo noioso per lei."
Ci fu quasi un accenno di broncio sulla bocca di Galahad prima che questi mettesse da parte la faccenda e tornasse al momento. Portò, lentamente, una mano sulla schiena dell'altro. "Posso?"
No, no, no, no- "Certo, se a voi non disgusta chi sono io per lamentarmi?" rispose Mordred, con il cuore che batteva a mille.
"Bene." La mano si posò e, con una leggera pressione, il principe si ritrovò con la fronte contro quella di Galahad ed un proprio braccio attorno alla sua vita.
"Saprò di alcool," meditò perché di sicuro da così vicino Galahad poteva addirittura sentire i gusti di vini che aveva bevuto.
Galahad fece un mezzo sorriso per poi chinarsi e donargli un veloce bacio a schiocco sulle labbra. "Ed è l'unico motivo per cui non vi do' più di questo."



fin <3
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